Il 10 settembre di 70 anni fa a Brindisi giungeva, a bordo di una nave, il re Vittorio Emanuele III° , in fuga da Roma dopo l’armistizio reso noto l’8 settembre. C’è il rischio che su questa vicenda, complici il tempo e la caduta di ruolo della città, si possa abbattere un’ondata di retorica che non fa i conti con i fatti e la realtà, “Brindisi capitale” può essere un titolo suggestivo, è di sicuro un tema interessante a condizione che la ricostruzione dei fatti sia sfrondata dall’enfasi e descriva fatti realmente accaduti.
Dal tragico 8 settembre ’43 prende l’avvio quel lungo, sanguinoso e durissimo processo che portò, anni dopo, l’Italia alla democrazia e alla repubblica, non vi è dubbio che erano molte le speranze di democrazia degli antifascisti, addirittura sin dal 25 luglio e dalla caduta di Mussolini, ma altrettanto non si può dire del re e del governo di Badoglio che, con la firma dell’armistizio, sicuramente avevano in testa l’idea di salvare un’Italia monarchica e reazionaria, depurata soltanto dalla ormai ingombrante figura di Mussolini. Brindisi quindi dal quel settembre ’43 rappresentò per alcuni la speranza in prospettiva di vedere una nazione democratica, per altri un luogo d’Italia da cui ritessere una strategia per la conservazione del vecchio potere, aldilà delle responsabilità e le compromissioni con il regime fascista antidemocratico che aveva portato alla fame, alle guerre coloniali e allo sciagurato secondo conflitto mondiale. Ci sarebbero dovuti volere altri 20 mesi di Resistenza e di una guerra di Liberazione affianco degli anglo americani per liberare il Paese.
I brani seguenti hanno lo scopo di raccontare le cose vere attorno a Brindisi, il ’43, l’8 settembre e il Regno del Sud, Antonello Sacchetti spiega in modo sintetico gli eventi di scenario ed i complessi eventi attorno alla data dell’8 settembre, la guerra sciagurata, l’armistizio firmato in silenzio con gli anglo americani, oltre che la fuga del re da Roma, il generale opportunismo suo e della sua cerchia . Francesca Mandese racconta e descrive “Brindisi capitale a metà” in termini realistici come una città piegata dalla guerra, i bombardamenti, rarefatta per via dei numerosi sfollati, la fame e l’angoscia per i molti cittadini in guerra dispersi sui diversi fronti, in questo scenario, in questa sperduta città di provincia, diventa la sede del Governo dopo l’8 settembre, un Governo si badi bene che è ancora lontano dall’avere contenuti democratici, anche perché realizzato dal regime di occupazione militare; a tale proposito è prezioso lo scritto di Franco Stasi che ricostruisce nello stesso periodo i primi passi del Comitato Provinciale di Liberazione, è significativo, per definire il “tasso di democrazia del periodo” sapere che la prima manifestazione pubblica dei partiti antifascisti in città viene autorizzata per il 19 marzo del ’44. Il punto di vista degli alleati è riportato nelle pagine di David Stafford storico inglese, dove si narra dell’arrivo a Brindisi dell’unità di sabotaggio inglese, ma anche di una singolare presenza inglese, “un giovanotto alto e biondo” a bordo della nave Baionetta.
Brindisi, autunno ’43 hangar dell’idroscalo, Vittorio Emanuele III
8 Settembre 1943: la fuga del Re
Le trattative con gli anglo americani cominciano ad agosto. Vittorio Emanuele III è in contrasto con il proprio stato maggiore, propenso ad accettare la resa incondizionata. Il re la giudica un’esplicita condanna della monarchia e la rifiuta. Pretende garanzie per la dinastia ed arriva addirittura a chiedere il ripristino dell’impero coloniale italiano in Libia, Somalia ed Eritrea. Spera poi che le operazioni militari alleate si concentrino in Francia e nei Balcani, lasciando in pace l’Italia. Si tratta di pretese assurde. Dal punto di vista strategico, gli alleati vogliono costringere Hitler a concentrare truppe in Italia per distoglierle dalla Normandia (dove era già in programma lo sbarco decisivo) e dalla Russia. Gli Alleati non hanno poi motivo di difendere i Savoia. Il Ministro degli esteri inglese Anthony Eden scrive: “Il nostro atteggiamento verso Casa Savoia è improntato a cautela perché è così screditata che non esercita sugli italiani la sua antica attrattiva”. Il re, oltretutto, continua a tergiversare anche sul fronte interno. Permette a Badoglio di abolire il Partito Fascista, ma gli impedisce di arrestare i gerarchi. Rimangono in vigore le leggi razziali e le norme che proibiscono la costituzione di partiti politici. Molti fascisti rimangono in carcere, altri vengono arrestati. Un ministro arriva a dire che il nuovo regime “è più fascista del vecchio”. In un clima di indecisione ed improvvisazione, le trattative proseguono a rilento. Gli Alleati hanno più volte la netta sensazione che il re sia interessato a difendere soltanto le sue prerogative. Il comandante delle forze alleate Dwight Eisenhower avverte gli italiani che lo sbarco nella penisola è imminente e non c’è più tempo per trattare. Il 3 settembre il Quirinale si rende conto che ormai è possibile soltanto la resa incondizionata. Il giorno stesso a Cassibile, in Provincia di Siracusa, il generale Giuseppe Castellano firma per l’Italia l’armistizio con gli Alleati. L’accordo, che prevede la fine dell’alleanza con la Germania e la consegna agli anglo americani della flotta e dei porti del meridione, deve rimanere segreto fino al nuovo sbarco alleato, programmato a Salerno per l’8 settembre. Gli Alleati si aspettano la collaborazione dell’esercito italiano, ma i vertici militari riprendono a tergiversare. Vittorio Emanuele, in preda al panico, l’8 settembre convoca il consiglio della corona. La maggioranza è pronta a non adempiere agli obblighi assunti con Eisenhower. La decisione sta per essere messa a verbale, quando un ufficiale subalterno fa notare che la firma dell’armistizio è stata filmata e fotografata dagli americani. Un dietrofront sarebbe a questo punto letale per la monarchia. Dopo una breve riflessione, Vittorio Emanuele ordina a Badoglio di rendere pubblico l’armistizio. Radio New York ha già trasmesso la notizia ed è cominciato lo sbarco a Salerno. In tarda serata Badoglio si reca negli studi dell’Eiar e legge l’ambiguo comunicato (non prima della fine di una trasmissione di musica leggera): “Ogni atto di ostilità contro le forze anglo americane deve cessare da parte delle forze italiane. Esse però reagiranno ad altri attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Ancora il 9 settembre, i giornali parlano di successi contro il “nemico anglo americano”. La grande fuga La mattina del 9 settembre il re e Badoglio fuggono verso Pescara. Prima di partire distruggono gli archivi del ministero degli Esteri e della Guerra, ma non danno alcuna disposizione ai ministri e ai comandi militari. Alle porte di Roma si registrano i primi scontri tra italiani e tedeschi. In sei settimane il governo non ha preparato alcun piano di emergenza. E’ l’inizio di una tragedia immane. I soldati italiani, rimasti senza superiori e senza ordini, sono facili vittime delle rappresaglie tedesche. Il re fugge verso Brindisi. Durante la traversata, il 10 settembre, invia un telegramma all’ottantunenne maresciallo Enrico Caviglia, con l’ordine di coordinare la difesa di Roma. Il telegramma non arriva a destinazione, ma è stato comunque spedito troppo tardi. Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da paracadutisti tedeschi. Il duce definisce il re “il più grande traditore della storia d’Italia”, colpevole di aver fatto entrare in Italia un esercito di “ottentotti, sudanesi, indiani venduti, negri statunitensi ed altre varietà zoologiche”. Una volta a Brindisi, Vittorio Emanuele diffonde una dichiarazione in cui spiega la fuga come atto necessario per la salvaguardia di un governo libero, dicendosi pronto a morire per la difesa del suo Paese. Il 23 settembre scrive al re d’Inghilterra e al presidente Roosevelt. Si dice fedele al regime parlamentare ed auspica una veloce avanzata degli anglo americani in modo da ritornare presto a Roma. Soltanto il 13 ottobre, dichiara guerra alla Germania. Rimprovera comunque Badoglio per non aver barattato questa decisone con qualche concessione territoriale da parte degli Alleati. Tenta poi di imporre Grandi come ministro degli Esteri, presentandolo come “un simbolo del movimento antifascista”. L’operazione è bloccata dagli anglo americani che ormai non hanno più nessuna fiducia in lui. A corte, in molti suggeriscono al re di abdicare per salvare la monarchia. Vittorio Emanuele rimane però geloso della sua posizione. Vuole essere ancora un re che governa. Intanto il Paese conosce la tragedia della guerra civile. A Salò, Mussolini guida la Repubblica Sociale, stato fantoccio filo nazista. La guerra durerà ancora un anno e mezzo.
Brindisi capitale a metà – settembre 1943- febbraio 1944
2. Perché proprio Brindisi, questa sperduta città di provincia più vicina all’Oriente che all’Europa? Quali furono i motivi che fecero assurgere la città pugliese all’altissimo ruolo di sede del Governo? Forse la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: Brindisi era, in quei giorni, una delle pochissime città in Italia ad essere completamente libera. I tedeschi, infatti, erano ancora in Puglia, nei pressi di Bari, e a Taranto erano già giunti gli Alleati. Il territorio nazionale senza “invasori” era praticamente ridotto alla zona di Brindisi.
Subito dopo l’armistizio e lo sbarco alleato a Salerno, i tedeschi cominciarono a temere di rimanere completamente accerchiati dalle truppe anglo-americane nel sud dell’Italia e senza alcuna via di uscita. Cominciarono così a risalire la penisola. Anche Brindisi, solo poche ore dopo la divulgazione dell’armistizio, fu abbandonata dai soldati tedeschi.
“Di guarnigioni tedesche ‘alleate’, alla vigilia dell’8 settembre 43, non si notano più le tracce. Ai ‘Caracci’ (una contrada che è ora incorporata nel colosso del Petrolchimico), di fronte ad una masseria semidiroccata (che serviva da rifugio ad alcune famiglie brindisine), c’erano alcuni
capannoni militari con non più di un centinaio di soldati tedeschi. Il giorno dell’armistizio erano svaniti nel nulla.
Dei contadini raccontarono di aver visto quattro-cinque autocarri che nottetempo si dirigevano verso Bari. Nei capannoni non fu trovato quasi nulla: solo dei brandelli di stoffa kaky, barattoli vuoti, una montagnetta di bucce di patate e torsoli di pane nero”-. Così, alla chetichella, gli ex
alleati abbandonarono Brindisi, mentre gli anglo-americani non l’avevano ancora raggiunta. La cosa più importante era, però, che Brindisi aveva un Comando Marina, che poteva fornire al Governo fuggiasco una infrastruttura organizzativa davvero preziosa.
All’arrivo della famiglia reale la situazione a Brindisi non era molto diversa da quella di tutte le altre città italiane. “Una città prostrata per i ripetuti bombardamenti: sulle carni dei suoi abitanti i segni delle ferite … E dei circa 50 mila cittadini, più della metà sono fuori: chi in campagna,
da dove la sera assistono sgomenti ai fuochi divampanti su una città che è zona ‘altamente strategica’; chi nei paesi più vicini, ma almeno sicuri: Mesagne, Oria, Francavilla Fontana, Ceglie Messapico. E intanto si fa una prima conta dei danni materiali: su un totale di 15.160 vani che risultano censiti nel ’40, tremila risultano distrutti dai bombardamenti; 2.095 sono quelli danneggiati o resi inabitabili”.
È in questa città prostrata e distrutta che nasce “il piccolo Quirinale di Brindisi: una reggia per cinque mesi, che ospiterà il Re d’un Regno di quattro province. Brindisi, Bari, Lecce e Taranto. I resti di un impero liquidato in tre anni”.
“Il popolo italiano è tutto stretto attorno al suo Re” scrisse Badoglio, quel 10 settembre, nel telegramma inviato ad Eisenhower. “Il popolo italiano era invece tutto lì: quello disponibile sulla piazza di Brindisi: e non era proprio una gran folla se si considerano i caduti in guerra e
sotto le macerie, gli sfollati, i “separati” e i rivoluzionari che cominciano ad organizzarsi in partiti politici.
Quanto ai soldati, ai marinai, c’è un generale lassismo;perfino le divise sono raccogliticce e a molti mancano le scarpe”.
Ciononostante l’interà città aprì i suoi battenti agli inattesi ospiti, mise a loro completa disposizione mezzi, strutture e ospitalità.
da: Francesca Mandese Brindisi capitale a metà – settembre 1943- febbraio 1944, Taeanto 1994 Pag 17-21
9 agosto ’43 nascita formazione e attività del comitato provinciale di liberazione
[..]. La vita politica in quei mesi si presentava incerta e confusa: vi contribuivano in maniera decisiva il permanere dello stato di guerra e l’ambiguo atteggiamento assunto dalla Monarchia dopo l’allontanamento del duce.
Anche a Brindisi è solo nel mese di agosto di quella calda estate del ’43 che i principali esponenti dell’antifascismo locale si riuniscono per la prima volta ufficialmente nello studio dell’avv. Vittorio Palermo, per formare «un comitato provinciale di concentrazione antifascista» e per costituire « un primo nucleo del Comitato stesso » da allargare poi « con elementi di sicura fede e di condotta patentemente antifascista che, dalla destra alla sinistra, si attengano alle direttive seguite dal Comitato Centrale del Fronte Nazionale ».
Uomo di punta del comitato stesso appare sin dall’inizio l’avv. Vittorio Palermo, militante comunista.
Nell’aprile del ’41, coinvolto nelle indagini condotte sull’attività del gruppo di Tommaso Fiore in Puglia e già in precedenza ripetutamente diffidato egli era stato prelevato nella sua casa di Latiano dal commissario regionale dell’OVRA. In seguito era stato trasferito e trattenuto alcuni giorni nel carcere di Bari. Qui era venuto in contatto con alcuni dei più importanti tra quelli che sarebbero poi diventati i suoi amici antifascisti, con i quali non avrebbe più interrotto i collegamenti allora allacciati. Tra essi l’avv. Michele Cifarelli, l’avv. Domenico Pastina di Trani, gli avv. Vito Mario Stampacchia e Michele De Pietro di Lecce ed altri, tutti arrestati a seguito del ritrovamento da parte della polizia politica di un elenco del prof. Fiore di tutti gli antifascisti nazionali e regionali che si avvicendavano nella sua casa di via Q. Sella a Bari.
Attorno a Palermo, già da questa prima riunione del 9 agosto 1943 ritroviamo altre figure dell’antifascismo brindisino del periodo della clandestinità; tra esse l’ing. Sala, l’avv. Giovanni Stefanelli, Guglielmo Cafiero, che insieme con i vari De Tommaso, Mauro, Prampolini, Ribezzi, Ostuni e Patrono avevano costituito il cuore forte dell’opposizione al regime e il tramite con ambienti antifascisti che operavano al di fuori della provincia ed ai quali alcuni di loro erano legati da rapporti di parentela, di fraterna amicizia o di lavoro e di studio.
Le linee di azione lungo le quali si muovono, immediatamente dopo la caduta di Mussolini, questi primi riorganizzatori del tessuto democratico nella nostra provincia sono comunque già da allora abbastanza chiare ed in linea con le analoghe richieste che il Fronte Nazionale Antifascista e successivamente il Comitato Nazionale di Liberazione portarono avanti sul piano nazionale.
1°) collaborare con il governo Badoglio;
2°) contribuire all’opera di epurazione degli elementi fascisti o compromessi con il fascismo;
3°) lottare contro il nazismo;
4°) fare propaganda in favore di una pace separata.
2. – Attiva sarà la mobilitazione del Comitato provinciale di Brindisi attorno a questi temi.
Già nella quarta seduta, quella del 19 agosto, infatti, si decise « di rivolgere le prime istanze al Governo per la rimozione delle cariche civili, amministrative e sindacali della provincia tenute ancora dalle più note personalità fasciste »7, mentre nella successiva riunione del 24 agosto i componenti del Comitato « dopo ponderata discussione » compilano « l’elenco dei fascisti e profittatori del fascismo indebitamente arricchiti, onde poterlo segnalare alle autorità competenti».
È noto tuttavia che trovava scarsa eco nel re e nel governo Badoglio l’insistenza con cui i partiti antifascisti chiedevano che si procedesse con urgenza ed in modo efficace ad allontanare dai più importanti centri di direzione e di controllo dell’amministrazione pubblica e della vita politica ed economica del Paese i gerarchi fascisti e quanti si erano gravemente compromessi col passato regime.
Per non ricordare che un aspetto soltanto di questa esplicita volontà di mutare il meno possibile gli equilibri politici del Paese si consideri che ben poco mutò, fra il 25 luglio e 1’8 settembre 1943, fra i prefetti che in precedenza erano stati nominati dal governo fascista nelle diverse province.
A Brindisi, ad esempio, il prefetto Pontiglione, già in carica prima del 25 luglio, fu allontanato dal suo posto solo alcuni mesi dopo la « svolta di Salerno » e la costituzione del primo governo di unità nazionale; tra Testate del ’43 e la primavera del ’44 era rimasto al suo posto nonostante le gravi accuse di parzialità e di connivenza con esponenti del passato regime, in vario modo camuffati, rivoltegli unanimemente dalle forze antifasciste.
D’altro canto i limiti imposti dal regime di occupazione militare alleata e dalle autorità di governo al libero dispiegarsi dell’attività politica (a Brindisi bisognerà attendere il 19 marzo 1944 perché possa svolgersi la prima manifestazione pubblica autorizzata dei partiti
antifascisti) oltre ad una diffusa incertezza sul futuro del Paese, impedivano che l’attività del C.P.L. trovasse larga eco nell’opinione pubblica. Non manca, pertanto, tra questi attivi ma numericamente esigui gruppi antifascisti militanti una certa sensazione di isolamento, se è vero che il 9 settembre — proprio cioè all’indomani della firma dell’armistizio e della fuga a Brindisi del governo Badoglio e del re Vittorio Emanuele — ci si riunisce « per discutere sulla opportunità di organizzare una dimostrazione in favore dell’armistizio concluso dall’Italia con le Nazioni Unite; nonché la divulgazione di un manifestino che — espresso il plauso per la realizzazione di uno dei postulati del Fronte Nazionale — inciti la cittadinanza a prendere sempre più netta posizione contro i veri nemici interni ed esterni dell’Italia ».
Le proposte saranno approvate all’unanimità ma non potranno trovare pratica realizzazione per il divieto delle autorità militari e politiche italiane, ben presto notificato all’avv. Palermo.
Primo atto questo di una lunga serie di boicottaggi e difficoltà che il governo Badoglio frapporrà all’attività e alle iniziative del Comitato provinciale di liberazione, aldilà della dichiarata disponibilità a collaborare rimasta sempre e soltanto verbale e nonostante l’ostinazione con cui gli antifascisti brindisini, che nel frattempo andavano aumentando di numero e ramificandosi in tutto il territorio provinciale, si batteranno per la realizzazione dei loro obbiettivi.
Scarso successo ha infatti l’iniziativa presa dall’avv. Felice Assennato, su mandato del C.P.L., per sollecitare la liberazione di elementi antifascisti italiani e stranieri ancora trattenuti nelle carceri di Brindisi mentre l’elenco delle autorità civili, amministrative e sindacali del capoluogo di provincia e dei comuni segnalati al Prefetto di Brindisi in sostituzione dei vecchi elementi fascisti dal Comitato provinciale solo in parte — e per di più molto esigua — sarà tenuto in considerazione dal rappresentante del Governo.
Sicché ben presto l’attività del Comitato di liberazione provinciale rischia di esaurirsi in un lavoro che è prevalentemente di organizzazione interna del fronte antifascista sia nel capoluogo e sia negli altri comuni della provincia, in cui si vanno costituendo analoghi comitati, ovvero di mera propaganda per la costituzione di « Legioni Volontarie » per la lotta al nazifascismo, per il sostegno economico da dare ad esse e per il loro armamento.
Di questo rischio acquistano rapidamente coscienza gli stessi componenti il Comitato, i quali — nella loro tredicesima seduta del 29 settembre — danno mandato ad una loro apposita rappresentanza di « esprimere al Prefetto una protesta formale circa la parziale accettazione della lista concernente le nomine civili e sindacali ».
Si comincia anche a discutere sulla opportunità o meno di consentire che accettassero l’incarico i pochi, fra i tanti indicati dal C.P.L., cui il prefetto aveva affidato responsabilità politiche ed amministrative; in una seduta, alla quale partecipano anche i rappresentanti dei Comitati di liberazione di Lecce e Taranto, il C.P.L. di Brindisi approva in data 5 ottobre un o.d.g. in cui: «si lamenta la sfiducia seguita fino ad ora da parte delle Autorità nei confronti dei Comit.
prov. del Fronte Nazionale; si offre, ancora una volta, la collaborazione sincera ed obbiettiva del Fronte Nazionale nel più alto interesse della Patria; si ripete la richiesta dell’opera di epurazione di tutti gli elementi fascisti; si chiede la revoca delle nomine che non godono
la fiducia dei comitati; il riconoscimento “de facto” dei Comit. Prov. di concentrazione; la facoltà di pubblicare periodici; ed, infine, l’autorizzazione di organizzare le Legioni dei Volontari ».
Proprio a seguito di queste difficoltà, inoltre, cominciano ad insorgere i primi contrasti all’interno dello stesso C.P.L.: mentre, infatti, si invia una seconda lista di persone da sostituire in alcune delicate funzioni civili, amministrative e sindacali del capoluogo e della provincia, si delinea una posizione più intransigente — che fa capo soprattutto all’avv. Palermo — per la quale è opportuno declinare le nomine prefettizie e astenersi « dal continuare a richiedere alle autorità politiche una collaborazione che da queste viene concessa solo di nome ».
da:Franco Stasi la caduta del fascismo e la ripresa della vita democratica in provincia di Brindisi: nascita formazione e attività del comitato provinciale di liberazione. Fasano 1979 Pag77- 84
le Missioni SOE in Italia 1943-1945
[..] ….gli uomini del Corpo Motorizzato Italiano di stanza a Roma resistettero ai tedeschi sino al omeriggio di venerdì 10 settembre 1943, praticamente proprio nel momento in cui la corvetta Baionetta a entrava nel porto di Brindisi con a bordo il Re e Badoglio.Quanto fosse sicuro il porto di Brindisi non si sapeva ancora, visti i timori avuti in mattinata, quando un bombardiere tedesco li aveva sorvolati senza attaccarli e ….timori che si dissiparono appena sbarcati. Proprio quella mattina un’unità delle meno eterodosse dell’8 armata Britannica , al comando del tenente colonnello Vladimir Peniakoff ( il leggendario Popski) era entrata a Brindisi. Si trattava di un’unità di sabotaggio , costituita da un centinaio di uomini e soprannominata “l’armata speciale Popski”
Il suo comandante aveva discusso i termini dell’armistizio con l’ammiraglio italiano al comando delle forze della città. Il risultato di queste trattative fu che adesso dai balconi e dalle finestre di Brindisi pendeva una miriade di bandiere inglesi , affiancate dal tricolore.
….il giorno dopo arrivarono gli uomini della 1° divisione aerotrasportata inglese[sono quelli sbarcati a Taranto 8 settembre n.d.r.] che presero controllo della città e delle zone limitrofe.
Tra coloro che sbarcarono dalla Baionetta c’era un giovanotto alto, biondo e poco più che ventenne, che non faceva parte né del Regio governo né dell’Alto comando militare. E non era neanche italiano, nonostante lo parlasse perfettamente; quell’uomo era un inglese e si chiamava Cecil Richard Mallaby.
Dick, come lo chiamavano tutti i suoi amici, aveva trascorso in Toscana gli anni formativi della sua vita, nei possedimenti di suo padre (un ex coltivatore di tè in Ceylon che aveva sposato un’italiana), e aveva combattuto nel deserto con i commando. Ma da diciotto mesi a questa parte aveva lavorato per il SOE con mansioni di reclutamento, mentre veniva a sua volta addestrato in tutta la gamma di attività connesse con il servizio, dal sabotaggio al paracadutismo; ed eraappena entrato a far parte del corpo di ufficiali dell’Esercito inglese, col grado di sottotenente. L’aspetto più importante del suo reclutamento consisteva nel fatto che. oltre a essere fluentissimo sia in italiano che in inglese, Dick era un abilissimo radiotelegrafista. Inaspettatamente e imprevedibilmente, questo aspetto del suo addestramento aveva fatto di lui un elemento chiave nelle recenti trattative per l’armistizio.
Non più tardi di un mese prima Dick era stato paracadutato nel lago di Como con un piccolo gommone, con il quale si sarebbe dovuto recare a riva e raggiungere un indirizzo sicuro, una casa nella quale ad attenderlo ci sarebbero state una ricetrasmittente e una lista di nomi e indirizzi da contattare, in modo da stabilire un collegamento tra il SOE e i gruppi locali della Resistenza. Sfortunatamente, la sera prima la Royal Air Force aveva sottoposto Milano a un pesante bombardamento e tanti sfollati avevano lasciato la città dirigendosi a nord, appunto verso Como. Per agevolare il cammino di queste persone le rive del lago erano rimaste brillantemente illuminate; di conseguenza, anziché calare dall’alto nell’oscurità, il suo paracadute era stato visto e Mallaby era stato catturato dagli uomini del SIM, il Servizio Informazioni Militari, senza neanche essere riuscito a gonfiare il suo piccolo gommone.
Ma come fortuna volle, questo inaspettato inconveniente accadde proprio all’avvio delle trattative segrete per l’armistizio. Inaspettatamente, Mallaby e la sua radio avevano fornito un elemento cruciale all’operazione, mettendo in atto un validissimo collegamento radio tra gli inglesi e gli italiani. Dall’ultimo piano del quartier generale dell’Alto comando delle Forze Armate Italiane a Roma, Mallaby, assistito da un abile radiotelegrafista italiano, aveva codificato e decodificato le dozzine di messaggi che erano stati trasmessi e ricevuti, usando un cifrario dal nome in codice «Monkey» (scimmia). A conclusione di tutto questo si era arrivati alla firma dell’armistizio dell’8 settembre. Gli italiani avevano immaginato (e il SOE si era guardato bene dal contrariare queste loro supposizioni) che l’arrivo di Mallaby nel lago di Como fosse stato programmato come un’astuta mossa «da parte di quei furbacchioni della British Intelligence» per l’apertura di un possibile dialogo tra le parti.
Mallaby arrivò a Brindisi portando con sé la sua radio e tutti i codici e cifrari del piano «Monkey», che gli avrebberoconsentito sia di mantenersi in contatto diretto con il SOE che di fornire una comunicazione diretta tra l’Alto comandoalleato e il governo italiano. Gli eventi si muovevano molto rapidamente e la situazione generale era ancora molto confusa. Infatti Mallaby ricevette un messaggio (mentre era ancora in navigazione) da Massingham: «Cerca di stabilire immediatamente contatti con tutte le parti d’Italia. Questa è una cosa urgente e della massima importanza». Ebbene, entro ore dal loro arrivo a Brindisi, Mallaby e la sua radio si erano installati in una torre del castello di Brindisi, dove solo poche ore prima Popski aveva incontrato un ammiraglio italiano.
Due giorni dopo, quattro uomini che indossavano un’uniforme tropicale arrivarono da Taranto, la base navale italiana, e si insediarono nell’Hotel Internazionale. Anche loro facevano parte del SOE, e avevano con loro un’altra radio e un altro set di codici e cifrari che avevano portato posati su un mucchio di paglia, con dei fiammiferi a portata di mano, se per caso fossero stati fermati da elementi nemici.
David Stafford: le Missioni SOE in Italia 1943-1945- Mursia editrice 2011, pag 32-33- 34