1) Contrariamente ad ogni regola o prassi, è il Governo che ha impostato, voluto e portato avanti con determinazione, la riforma costituzionale, riducendo drasticamente le discussioni in Parlamento, perfino sostituendo alcuni membri della Commissione affari costituzionali, perché non seguivano la linea governativa. Così questo e inaccettabile.
2) La riforma del Senato, concomitante con la Legge elettorale, fa evolvere il sistema in senso antidemocratico, perché restringe la rappresentanza, riduce i poteri dei cittadini, incide sull’esercizio della sovranità popolare (che è consacrata nella prima patte della Costituzione).
3) È giusto “fare”. Ma bisogna fare bene e non stravolgendo la Costituzione.
Il Senato, come esce dalla riforma, è un mostriciattolo, che non e né carne né pesce, non rappresenta i cittadini, ma neppure il sistema delle autonomie; è composto da “Senatori” a mezzo tempo, che dovrebbero fare leggi anche importanti, mentre svolgono l’onerosa funzione di Sindaco o quella di Consigliere regionale.
4) Il sistema non è alleggerito, ma anzi complicato; non viene eliminato il bicameralismo perfetto, ma vengono escogitati una serie di sistemi e di rapporti tra le due Camere, che complicheranno tutto e creeranno contrasti e problemi per la Corte Costituzionale che dovrà dirimere potenziali conflitti.
5) Non si riduce il numero dei parlamentari seriamente perche non lo si fa in modo proporzionale tra Deputati e Senatori; ma si incide solo sul numero del Senato creando disparità evidenti tra le due Camere e una sorta di “sudditanza” dei Senatori, ridotti a solo 100, a fronte dei 630 componenti della Camera.
6) Non si riducono le spese, perche resteranno in piedi tutte le strutture organizzative, di personale e di studio del Senato, che sono le più rilevanti; e perché è certo che poi ci vorranno le diarie e i rimborsi spesa per i Senatori (Sindaci o Consiglieri regionali ) per le loro trasferte a Roma.
7) Si rinforza il potere dell’esecutivo, perfino mettendogli in mano l’agenda del Parlamento, che dovrà dare una precedenza vincolante a ciò che il Governo ritiene urgente; e si realizza una concentrazione di potere inauditi), nel rapporto riforma del Senato-legge elettorale, finendo per prospettare, sotto il mito della governabilità, il dominio di un solo partito (o peggio, di un solo uomo).
8) La vittoria del NO produrrebbe un solo effetto; la difesa dello “spirito” della Costituzione e dei diritti fondamentali dei cittadini (rappresentanza ed esercizio della sovranità popolare). Per “correggere”‘ l’eccessivo rimpallo di leggi fra le due Camere, basterebbero pochi giorni di lavoro serio del Parlamento. Inoltre si potrebbe dar vita ..1 l’attuazione di norme fondamentali della Costituzione, quali quelle sul lavoro, ull’uguaglianza, sulla salute, sull’ambiente.
9) La vittoria del SI produrrebbe solo una grande confusione, perche il nuovo sistema non potrebbe entrare in vigore se non con la prossima legislatura (e dunque dopo il 2018) e dopo l’approvazione da entrambe le Camere —della legge sulle modalità di elezione dei Senatori (v. art. 57 della Costituzione, c. 6, come modificato dall’art, 2 dalla legge di riforma).
Dunque due anni di caos legislativo, con un Senato ancora in vita, ma in via di estinzione e la necessità di approntare quanto servirebbe per il futuro funzionamento del complicatissimo sistema delineato dall’art 70, nella nuova formulazione, potenzialmente creatrice solo di problemi, difficoltà e ricorsi anche alla Corte Costituzionale.
10) La vittoria del NO non potrebbe comportare alcun disastro economico, perché non c’è alcun collegamento tra i problemi dell’economia, del lavoro e della società c una riforma che inciderebbe solo sul sistema legislativo. D’altronde, non è facile immaginare che la situazione possa peggiorare ancora, visti i dati forniti dall’Istat sulla crescita, sugli investimenti, sul lavoro, indipendentemente da ogni tipo di riforma, che non sia “strutturale” come da tempo e richiesto anche da Draghi (e per “strutturale” si intende una riforma che incida sul PIL, sugli investimenti, sull’occupazione, sull’ambiente, beni collettivi su cui occorre intervenire subito, in attuazione di molti principi costituzionali ancora non applicati).