Scampoli inediti di storia. La città di Brindisi fece da sponda agli insorti di passaggio
Brindisi e l’insurrezione di Varsavia del 1944, una pagina dimenticata della nostra storia.
Ben pochi brindisini sanno che la loro città nel 1944 fu testimone della tragica vicenda bellica dell’insurrezione di Varsavia e del sacrificio di tanti uomini che parlavano lingue diverse ma accomunati nella lotta per la libertà dal nazifascismo.
Varsavia insorse contro i nazisti il primo agosto del 1944, con l’approssimarsi delle armate sovietiche, ma dopo due mesi di lotta impari fu distrutta e i suoi abitanti uccisi o deportati in Germania a centinaia di migliaia. Una vicenda paradossale che vide Stalin, stizzito dal governo polacco in esilio, che rifiutava gli accordi di spartizione dell’Europa sanciti dai tre Grandi, ordinare all’Armata rossa di fermare l’avanzata e negare l’uso delle basi aeree russe agli aerei alleati che trasportavano aiuti per gli insorti polacchi. Una vicenda che nella Guerra fredda fu rimossa dalle pagine della Storia della II guerra mondiale e relegata ad un episodio minore, ma noi con questa piccola ricerca vorremmo restituire a Brindisi, un pezzo della sua memoria perduta.
Brindisi alba del 7 settembre 1944.
È un’alba radiosa che inizia ad illuminare Brindisi. Sulla pista dell’aeroporto gli infermieri dell’ambulanza e i pompieri sono in attesa dell’arrivo dei quadrimotori Halifax di ritorno da Varsavia. I piloti più anziani con il generale Raisky, comandante dell’aeronautica polacca in esilio, scrutano il mare verso la costa albanese, calcolando quanta benzina rimane ancora nei serbatoi degli aeri in volo. Il rumore familiare dei motori Merlin scuote tutti come un’iniezione di adrenalina: l’Halifax comandato dal tenente Chmiel, con le insegne a scacchi rosse e bianche dell’aviazione polacca tocca terra, tra sobbalzi e stridori di freni, con la fusoliera crivellata di proiettili. È un accorrere di uomini, ansiosi di soccorrere e di sapere come è andata e quando arriveranno gli altri compagni, ma purtroppo dei sei quadrimotori del 138 squadrone speciale polacco della Raf, quello è l’unico che ha fatto ritorno da una missione rivelatasi suicida. Erano partiti alle 7 di sera del giorno prima, sorvolando il porto di Brindisi con le navi attraccate, con 9mila litri di benzina nei serbatoi sufficienti a malapena a garantire il ritorno dopo un viaggio di 12 ore e 3200 chilometri e tre preziose tonnellate di armi, munizioni, radio, destinate agli insorti polacchi che in quelle ore stavano combattendo una lotta impari contro le truppe della Wermacht e le SS Polacchi sono tutti gli appartenenti di quel 138esimo special squadron che in 63 giorni si sacrificherà quasi per intero nella missione impossibile di aiutare Varsavia. Un volo che li ha portati dall’Adriatico ad incontrarsi sul Iago di Scutari in Albania con quattro quadrimotori Liberator sudafricani del 31esimo Squadron, di stanza a Celone a Foggia, per poi risalire insieme lungo la Yugoslavia, il Danubio, i Carpazi e infine la Vistola. Un viaggio nel buio più profondo per non essere intercettati dai caccia tedeschi, ma poi proseguito nello scenario dantesco in cui brucia Varsavia. Tra un mare di case in fiamme, di carri armati e
lanciafiamme in azione, di contraerea ululante verso l’alto, i piloti polacchi e sud-africani hanno cercato la “Dropping zone”, i punti di lancio segnalati a terra dai partigiani e soldati
del generale polacco Bor Komorowsky. Gli aerei hanno volato così bassi da essere accecati dal fumo e dalle fiamme, i polacchi hanno visto precipitare al suolo i quatto aerei dei loro camerati sudafricani, scoppiando come scatole di zolfanelli in quel vulcano che è oggi Varsavia. Pur con le lacrime agli occhi hanno infine lanciato sui punti prescelti quell’esiguo e pur indispensabile aiuto racchiuso in container di acciaio appesi su paracadute, pagato al durissimo prezzo dell’abbattimento anche degli Halifax polacchi ad eccezione di quello del tenente pilota Chmiel rientrato, dopo sei ore da incubo alla lontanissima Brindisi. In sei settimane di appoggio aereo 69 aviatori polacchi e 80 sud-africani, decine di inglesi e americani si sacrificarono per la libertà non solo della Polonia ma di tutti noi in quel lontano 1944. Ricordare il loro sacrificio è dovere di tutti noi amanti della libertà e della democrazia e fare di ciò un occasione di crescita culturale e non solo, della nostra città, rafforzando i rapporti con quei popoli, quelle nazioni che inviarono qui i loro figli migliori a donare la propria vita per un mondo migliore, 69 anni dopo, per non dimenticare.
di Antonio Camuso