335 martiri uccisi alle Fosse Ardeatine

l´ordine è già stato eseguito” queste sono le parole con cui si concludeva il comunicato emesso la sera del 24 marzo del 1944 alle ore 22,55 dall’alto comando tedesco di Roma e trasmesso dall´Agenzia Stefani, che appare sui quotidiani romani soltanto il giorno dopo (il 25 di marzo) nella loro edizione di mezzogiorno.

Il comunicato in questione che facendo riferimento all’attentato di via Rasella, l’aveva qualificato come “imboscata eseguita da comunisti-badogliani“, dichiarava la volontà di “stroncare l’attività di questi banditi” e rivelava che “per ogni tedesco ammazzato dieci comunisti-badogliani saranno fucilati”

Il terribile comunicato dell’alto comando tedesco era stato emesso, senza ombra di dubbio, quando i 335 martiri erano già stati uccisi con un colpo di pistola alla nuca e sepolti nella cava di pozzolana minata dai genieri tedeschi, sulla via Ardeatina poco lontano da Roma.

 

Era accaduto che i giorno prima, il 23 marzo del 1944, una bomba sistemata in via Rasella, da un gruppo di partigiani membri dei GAP ( i Gruppi di Azione Patriottica),aveva ucciso 33 soldati tedeschi e 6 civili italiani.

L’attentato aveva causato la violenta rappresaglia nazista. I tedeschi rastrellarono 335 persone in tutta Roma, e il giorno dopo furono uccise e sepolte nelle fosse Ardeatine. Era stata compiuta una delle stragi più gravi fatte in Italia durante la seconda guerra mondiale e, insieme all’azione di via Rasella, ha continuato a causare polemiche strumentali fino ad oggi.


In realtà nessun annuncio della rappresaglia venne affisso sui muri di Roma e non venne fatta nessuna richiesta di consegnarsi agli autori dell’attentato. La rappresaglia venne portata avanti rapidamente e in segreto. L’annuncio ( come già si è visto) venne dato soltanto il giorno successivo.

Pare che quando gli venne comunicata la notizia dell’attacco, Adolf Hitler chiese una punizione esemplare: cinquanta italiani avrebbero dovuto essere fucilati per ognuno dei soldati tedeschi morti nell’attentato. Scrive infatti Robert Katz, in Roma città aperta,a pag. 265:” Adolf Hitler venne avvertito nel primo pomeriggio, egli dispose una rappresaglia immediata “che avrebbe fatto tremare il mondo”


L’esercito tedesco – come quello italiano quando aveva occupato la Grecia e la Jugoslavia – aveva da sempre praticato la tattica della rappresaglia. Ma una proporzione di uno a cinquanta sembrò eccessiva anche ai militari nazisti. Albert Kesselring, il comandante dell’esercito tedesco in Italia, si oppose insieme a molti degli altri ufficiali e riuscì a persuadere Hitler ad abbassare le sue richieste. Venne deciso che dieci italiani sarebbero stati uccisi per ognuno dei tedeschi morti nell’attentato.

“Alle ore 15.30 arrivarono anche i prigionieri provenienti da Regina Coeli e dopo pochi minuti ebbero inizio le fucilazioni. I prigionieri, suddivisi in gruppi di cinque, vennero condotti nelle gallerie illuminate da soldati tedeschi muniti di torce elettriche; all’entrate del luogo di esecuzione il capitano Priebke richiedeva il nome al condannato e controllava la lista; quindi le vittime venivano fatte inginocchiare e gli esecutori, all’ordine del capitano Schütz, sparavano un colpo di pistola dall’alto in basso all’altezza del collo; in questo modo si riteneva di ottenere una morte immediata. Un soldato accanto all’esecutore illuminava la scena con un’altra torcia. Il colonnello Kappler prese parte al secondo turno di eliminazione; il capitano Priebke invece sparò con il terzo turno. In totale furono effettuati 67 turni di esecuzioni; mentre all’inizio la procedura di annientamento delle vittime sembrò avviarsi con precisione e disciplina, con il passare del tempo la situazione divenne più confusa” (da R. Katz, Roma città aperta, pp. 288-289)



 

Tra le 335 vittime, 16 sono pugliesi:

 

tra cui un prete, don Pietro Pappagallo, medaglia d’oro al merito civile, e un professore di filosofia, Giacchino Gesmundo medaglia d’oro al valore militare, entrambi di Terlizzi. Diversi i decorati con significative onorificenze al valore militare, tra cui gli ufficiali dell’Esercito Antonio Ayroldi di Ostuni e Manfredi Azzarita, nato a Venezia, figlio di molfettesi; Antonio Pisino di Maglie, ufficiale di Marina, e Federico Carola di Lecce, capitano d’aviazione (arrestato e fucilato assieme al fratello Mario, nato a Gaeta); Umberto Bucci un impiegato nato a Lucera e suo figlio Bruno (arrestati perché trovati in possesso di una copia di «Italia Libera»); due artigiani originari di Andria, Giuseppe Lotti e Vincenzo Saccottelli; Teodato Albanese, un avvocato di Cerignola; Gaetano La Vecchia, un ebanista di Barletta; Nicola Ugo Stame, un tenore lirico di Foggia; Ugo Baglivo un giurista e docente universitario di Alessano, tutti protagonisti dopo l’8 settembre della Resistenza militare e civile contro i tedeschi. A questo elenco va aggiunto anche la medaglia d’oro al valore militare, il maggiore dei carabinieri, Ugo De Carolis, nativo di Napoli, ma tarantino di adozione, al quale è stata intitolata, tra l’altro, nell’immediato dopoguerra, la Caserma della Legione dei carabinieri di Taranto.

 

 

Antonio Ayroldi

Antonio Ayroldi, nato a Ostuni (Brindisi) il 10 settembre 1906, ucciso alle Fosse Ardeatine era maggiore dell’Esercito. Nel 1925 era entrato nell’Esercito a Roma, come allievo sottufficiale dell’8° reggimento del Genio, specialità telegrafisti. L’anno dopo guadagnò la prima promozione, a caporale. Fece rapidamente carriera e nel 1933 divenne tenente. Quando scoppiò la guerra, fu inviato in Libia, e impiegato nel Comando del XX Corpo d’armata. Dal febbraio del ‘41 al dicembre del ‘42 partecipò alle operazioni di guerra in Africa settentrionale, meritando sul fronte la Croce al valor militare italiana e la Croce di ferro tedesca. Proprio in Africa maturarono le sue convinzioni antifasciste, come testimoniano le lettere alla famiglia.

Rientrato a Roma allo Stato maggiore, dopo l’8 settembre del ‘43, nonostante i bandi tedeschi e italiani, non si arruolò nell’esercito della Repubblica Sociale e si nascose per qualche settimana nella clinica “Bianca Maria”. A novembre entrò nella banda militare comandata dal colonnello Ezio De Michelis, che faceva parte del Fronte clandestino del colonnello Giuseppe Cordero Lanza Montezemolo.

Il suo ruolo era importante: organizzò una rete di informazioni nella Capitale, teneva i collegamenti con le bande dei Castelli e del Lazio Sud, trasportava documenti e carichi di armi e munizioni.

Ricercato dalla polizia, il 2 marzo del ’44 Antonio Ayroldi fu arrestato dai tedeschi con altri partigiani e rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 11. Il 24 marzo fu fucilato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine. Dopo la Liberazione è stato decorato “alla memoria” con la medaglia d’argento al valor militare.

Fu scritto sul periodico “La Lanterna”, del 1° maggio 1945: “Pedinato e scoperto viene il 2 marzo arrestato insieme ad altri e condotto nel carcere via Tasso. Interrogatori, torture, sofferenze; ed infine il 24 marzo viene condotto su di un autocarro alle Fosse Ardeatine. Lungo il percorso, tra i passanti, scorge la moglie di un collega e le sorride con rassegnazione ma anche con fierezza.

E’ l’ultimo ricordo che di lui sia restato!

Era un uomo semplice e modesto che dagli affetti concreti e quotidiani, da una vita di lavoro e di onestà ha saputo ascendere alla luce della gloria, esempio di quelle che sono le migliori qualità dei figli della nostra terra.

Onore alla memoria di Antonio Ayroldi. Onore a tutti quanti combattono e muoiono per la libertà della propria Patria.”

Altri militari del fronte clandestino trucidati alle Fosse Ardeatine


Il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo dall’8 settembre 1943, era incaricato di dirigere l’Ufficio affari civili di Roma. Due settimane dopo è già alla macchia, sotto il nome di ing. Giacomo Cateratto. Per quattro mesi organizza l’attività militare clandestina di ufficiali in gran parte di orientamento monarchico, si collega sia con il governo Badoglio sia con il Comando Alleato, tiene contatti con esponenti del Comitato di liberazione nazionale centrale di Roma. I nazifascisti, furibondi, lo cercano dappertutto; mettono su Montezemolo una grossa taglia. Infine riescono a sorprendere il colonnello nella casa del tenente Filippo De Grenet, che è uno dei suoi principali collaboratori. Arrestato con De Grenet, Montezemolo finisce, con il suo subalterno, nel comando della polizia tedesca di via Tasso. I due ufficiali vengono torturati, ma non parlano. Al colonnello vengono strappati ad uno ad uno i denti; poi i carnefici passano alle unghie dei piedi. Nella motivazione della ricompensa al valore è scritto che l’alto ufficiale, “sottoposto alle più inumane torture, manteneva l’assoluto segreto, salvando così l’organizzazione e la vita ai propri collaboratori”. Due mesi è durato il calvario di Montezemolo, poi lui e De Grenet finirono trucidati, con altre 335 persone, alle Fosse Ardeatine.

Sabato Martelli Castaldi, di anni 47 – generale di Brigata Aerea – nato a Cava dei Tirreni (Salerno) il 19 agosto 1896.Generale a 36 anni – decorato di una Medaglia d’Argento e tre di Bronzo nel 1934 collocato nella riserva perchè, in qualità di capo-gabinetto del Ministero dell’Aeronautica, aveva redatto un rapporto a Mussolini denunciando l’effettiva consistenza e la reale efficienza dell’Arma – direttore, con il generale Lordi pure trucidato alle Fosse Ardeatine, del Polverificio Stacchini di Roma, dopo 1’8 settembre 1943 sabota la produzione destinata ai tedeschi, fornisce al fronte clandestino di Roma e ai partigiani del Lazio e dell’Abruzzo forti quantitativi di dinamite, mine, detonatori e armi, esponendosi spesso di persona per il loro trasporto – esegue e trasmette rilievi di zone e installazioni militari – prepara un campo di fortuna per aerei nei dintorni di Roma -compie missioni militari -. Il 16 gennaio 1914, nel tentativo di ottenere il rilascio del titolare del Polverificio Stacchini , che era stato arrestato, si reca con il generale Lordi in via Tasso – E’ fermato dal colonnello tedesco Kappler venuto in possesso di prove schiaccianti sulla attività da lui svolta e gettato nella cella ove rimarrà 67 giorni – molte volte torturato – Trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine fuori Roma per rappresaglia all’attentato di via Rasella, con altri trecentotrentaquattro detenuti politici prelevati dalle carceri di via Tasso e Regina Coeli Medaglia d’Oro al Valor Militare.

 

 

Sabato 25 gennaio 2014 Sala Consiliare del Comune di Bari cerimonia per il 70° anniversario del primo Congresso dei CLN

70° Anniversario

Congresso di Bari dei CLN del 28 e 29 gennaio 1944.

Sala Consiliare del Comune di Bari

Sabato 25 gennaio 2014

Organizzato da: l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, il Comune di Bari, l’ Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea “Tommaso Fiore”, e Istituto Campano per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea “Vera Lombardi”

con la collaborazione dell’Istituto Nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, e la CGIL Camera del Lavoro di Bari

Ore 9,00

Saluti Istituzionali

Antonio Nunziante, Prefetto di Bari

Nichi Vendola, Presidente della Regione Puglia

Onofrio Introna, Presidente del Consiglio Regionale

Francesco Schittulli, Presidente Amministrazione Provinciale

 

Ore 9,30

Apertura dei lavori

Michele Emiliano, Sindaco di Bari

Marta Herling, Istituto italiano studi storici

Gerardo Marotta, Istituto italiano studi filosofici

Giovanni Battafarano, ANPI nazionale

Pino Gesmundo, CGIL Camera del Lavoro di Bari

Francesco Giustino, Fondazione cultura e cooperazione europea

 

Ore 10,15

Relazioni

Guido D’Agostino, Università di Napoli Federico II e Presidente ICSR

Luigi Masella, Direttore Dipartimento Fless Università di Bari Aldo Moro

Vito Antonio Leuzzi, IPSAIC

Letture a cura degli studenti dei Licei Classici “Socrate” e “Orazio Flacco” di Bari

Ore 12,00

Canti che hanno fatto l’Italia “… a conquistare la rossa primavera…” Coro Antiphonia diretto da Francesco Lucatuorto

Con l’adesione dell’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, Dipartimento Fless Università di Bari Aldo Moro, Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, Istituto Italiano per gli studi filosofici di Napoli, Fondazione di cultura e cooperazione europea, Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, Biblioteca Consiglio regionale della Puglia, Fondazione “Giuseppe Di Vagno”, Fondazione “Gramsci di Bari”, “Associazione Casa Di Vittorio”, Associazione mazziniana italiana di Bari, Liceo Classico “Socrate”, Liceo Classico “Orazio Flacco” Istituto studi filosofici e scientifici “G. Tarantino” Gravina.

 


Vite spezzate – Costantino Gargaro – Storia di un’ingiustizia di Stato

“Vite spezzate – Costantino Gargaro – Storia di un’ingiustizia di Stato”, è l’ultimo volume di Alessandro Rodia, pubblicato con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Comunale di Francavilla Fontana, riporta alla luce la storia di un fatto di cronaca accaduto novant’anni fa e le mistificazioni messe in atto dal regime fascista per creare il mito del martire caduto sotto il piombo sovversivo per la causa nazionale.

Il 16 agosto 1925, mentre una diecina di giovani avanguardisti percorre le vie di Francavilla Fontana cantando inni fascisti, viene ferito mortalmente, da colpi di pistola, il diciassettenne Elio Galiano. Il dolore per la sua morte porta la fidanzata Laura Del Mare al suicidio, suscitando nella popolazione una palpitante ed enorme commozione.

Di questo assassinio viene incolpato e arrestato un contadino-operaio Costantino Gargaro, fervente socialista.

Il fascismo provinciale e nazionale organizza pubbliche manifestazioni per celebrare e far crescere il mito dell’eroe avanguardista assassinato dalla mano comunista. In onore del martire Elio Galiano vengono innalzati monumenti e intitolate strade e scuole. A Brindisi, il 29 novembre 1931, alla presenza di Renato Ricci, presidente centrale dell’Opera Nazionale Balilla, si inaugura la nuova palestra intitolata a “Elio Galiano”.

Costantino Gargaro subisce anni di durissimo carcere e lotta instancabilmente e disperatamente per affermare la propria innocenza ma la scientifica e mostruosa costruzione di un labirinto processuale, con l’utilizzo di testimonianze false, lo condanna a 18 anni di carcere.

La sua tenacia indomabile proiettata totalmente a dimostrare la propria innocenza e far emergere tutte le manovre poste in essere, soprattutto gli intrighi attuati per “pagare” i testimoni falsi, per incolparlo è, per il regime fascista, un pericolo che bisogna eliminare.

Nel giugno 1932 viene disposta la sua detenzione in un luogo irraggiungibile per la moglie e per i parenti: l’isola dell’Asinara, uno stabilimento penale durissimo fuori dal mondo, un inferno galleggiante e senza speranza di ritorno. La traduzione all’Asinara è la condanna all’emarginazione definitiva di Costantino Gargaro. Quel trasferimento è la sua condanna a morte.

Costantino Gargaro lotta per non soccombere, cerca di aggrapparsi ad ogni speranza per uscirne vivo ma non tornerà mai più. I resti mortali non ritorneranno a casa né durante la dittatura fascista né dopo con la democrazia.

Il 19 ottobre 1960, la Commissione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il riconoscimento delle provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti riconosce alla moglie Maria Fontana Principale l’Assegno vitalizio di Benemerenza, dopo aver accertato che Costantino Gargaro “ noto quale attivo antifascista venne arrestato e processato del reato per il quale fu condannato per motivi politici. Gli accertamenti dei Carabinieri di Bari hanno esplicitamente confermato l’indole politica dei fatti che provocarono l’imputazione del marito dell’instante noto antifascista”.

Una pista d’indagine, mai voluta prendere in considerazione dalla polizia politica fascista, è l’ipotesi inserita nella relazione della Stazione dei Carabinieri di Francavilla Fontana, in data 18 maggio 1959, inviata al Ministero del Tesoro – Ufficio Perseguitati Politici “Dato il lungo periodo di tempo trascorso dalla data in cui ebbe a verificarsi l’omicidio del giovane Elio Galiano, delitto attribuito a Gargaro Costantino, ed anche perché non esiste più il carteggio dell’epoca agli atti di quest’arma, non si è in grado di fornire sufficienti e precisi elementi chiarificatori in merito al fatto di cui innanzi. Tuttavia, secondo quanto è stato possibile appurare mediante accertamenti esperiti fra persone del luogo, degne di fiducia, si è venuto a sapere (…). Siccome il giovane Elio Galiano precedentemente aveva sedotta una certa Del Mare, ragazza che aveva minacciato di abbandonare, la quale dopo la morte del fidanzato si suicidò, si stabilirono due correnti di persone, una delle quali attribuiva l’omicidio del Galiano ad un giovane fratello della Del Mare, il quale giovane avrebbe ucciso per vendicare l’onore della congiunta (…)”.

La vicenda umana di Costantino Gargaro ha stimolato Alessandro Rodia a scavare nella storia di una città del Sud per riportare alla luce e far conoscere fatti politici e sociali accaduti negli anni in cui le squadre fasciste imponevano le dimissioni dei Sindaci eletti democraticamente dal popolo. Molti contadini ed operai meridionali, schedati come “sovversivi”, hanno pagato, con anni di carcere, di confino e con la vita, per difendere ed affermare l’idea di libertà. Libertà di cui, oggi, tutti noi ne godiamo i frutti.

 

Francavilla F. piazza Umberto I° anni '20

Ringraziamenti dell’ANPI di Brindisi a tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita della Mostra documentaria Sovversivi 1900-1943.

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Pubblicato in data 24/nov/2013 Il video è stato realizzato per la mostra documentaria “Sovversivi 1900-1943” promossa e organizzata dall’Archivio di Stato di Brindisi e ANPI Brindisi Palazzo Nervegna Brindisi 22 novembre 2013- 9 gennaio 2014.
Ideazione: Associazione AB² – Luoghi di educazione attraverso l’arte. Testi: Vincenza Lodeserto Voci recitanti: Martina Barbagallo, Sara Dadamo, Lorenza Picoco, Federica Viola del Liceo “Ettore Palumbo” di Brindisi. Realizzazione: Emiliano Leo con Chiara Di Presa, Paola Selicato,Sveva Solimene del Liceo Artistico “Edgardo Simone” di Brindisi. Editing: Emiliano Leo

 

A nome del Comitato provinciale dell’ANPI di Brindisi ringrazio tutti coloro che hanno  contribuito alla riuscita della iniziativa  del 22 novembre 2013 che ha inaugurato la Mostra  Sovversivi  1900-1943 a palazzo Granafei – Nervegna.

Innanzitutto si  ringrazia l’Amministrazione Comunale  che ha  dimostrato una sensibilità particolare e dato un sostegno concreto ai temi della salvaguardia della memoria democratica ed antifascista del nostro territorio. Tale azione ha permesso, negli ultimi anni, che  simili iniziative divenissero patrimonio dell’intera collettività e momento di crescita civile e culturale  per le nuove generazioni.

Si ringrazia tutto Il personale  dell’Archivio di Stato di Brindisi, con cui l’ANPI da anni trova il massimo di collaborazione, di competenza e professionalità, l’Archivio di Stato è il  punto di riferimento e luogo di eccellenza   per la costruzione di progetti di ricerca sulla storia locale per valorizzare il patrimonio di documenti della città e del territorio.

Si ringrazia il prof Vitantonio Leuzzi  che a nome dell’ L’ANPI Regionale pugliese e l’IPSAIC  (Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea) ha svolto la sua articolata  ricostruzione storica, nel solco di una disponibilità sempre pronta  in questa come in precedenti iniziative dell’ANPI di Brindisi.

Si ringrazia per la novità in questa terza mostra l’apporto e  la partecipazione di studenti e professori  del liceo linguistico “E. Palumbo” e  del liceo artistico “E. Simone” che attraverso l’Associazione “AB2-Luoghi di educazione attraverso l’arte” hanno curato gli allestimenti speciali, e i supporti didattici vari e in particolare  con n una performance teatrale  tanto apprezzata che ha  già prodotto delle richieste di replica anche al di fuori della città di Brindisi.

Ricordiamo che il rapporto tra ANPI, Archivio di Stato, Comune di Brindisi è parte integrante del progetto “Prova di Democrazia” che da anni coinvolge il personale insegnate e gli studenti delle scuole superiori brindisine, con l’augurio che sia un elemento integrato  alle attività didattiche dei ragazzi,   che contribuisca, fornendo informazioni sulla storia delle radici democratiche locali, alla  crescita culturale, civica e democratica  delle nuove generazioni alle quali  è affidato il futuro della nostra città.

Ringraziamo anche la presenza di alcuni figli e parenti di quei sovversivi citati nella Mostra. È impegno dell’ANPI  raccogliere e valorizzare il loro contributo di documenti e di memoria  tali da dare una dimensione particolare alle sofferenze e alle battaglie che contraddistinsero  la vita e i sacrifici dei loro parenti.

Donato Peccerillo

Presidente  Comitato Provinciale ANPI ( Associazione  Nazionale  Partigiani d’ Italia) di Brindisi

 

 

 

Sovversivi 1900-1943- Mostra documentaria palazzo Granafei-Nervegna 22 novembre 2013 – 9 gennaio 2014

Le radici dell’antifascismo brindisino, il controllo e la repressione del dissenso politico prima, durante e dopo la dittatura.
Fatti e personaggi attraverso i documenti del casellario politico della questura conservati nell’Archivio dì Stato di Brindisi

mostra documentaria e fotografica “Sovversivi (1900 – 1943)”

Palazzo Granafei – Nervegna – 22 novembre 2013– 09 gennaio 2014

Venerdì 22 novembre alle ore 17.30 sarà aperta al pubblico nelle sale di Palazzo Granafei – Nervegna la mostra documentaria e fotografica dal titolo “Sovversivi (1900–1943)” curata dall’Archivio di Stato di Brindisi, con il Comitato provinciale ANPI e il Comune di Brindisi.

Dopo i saluti del sindaco Mimmo Consales, di Donato Peccerillo presidente provinciale dell’ANPI e di Francesca Casamassima, direttore dell’Archivio di Stato, interverrà Vito Antonio Leuzzi direttore dell’IPSAIC (Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea) e coordinatore dell’ANPI Puglia.

 

A seguire, visita alla mostra a cura dei funzionari dell’Archivio di Stato, letture e recitazione da parte di studenti del Liceo artistico “E. Simone” e di studentesse del Liceo linguistico “E. Palumbo”, di testi ispirati alle storie presentate, elaborati dall’Associazione AB²-Luoghi di educazione attraverso l’arte. Alla stessa associazione si deve la cura di allestimenti speciali e attività educative all’interno della mostra, realizzati con gli studenti del Liceo artistico.

Sono previste visite guidate a cura dell’Archivio di Stato e laboratori didattici artistici per le scuole e le famiglie a cura dell’Associazione AB² Luoghi di educazione attraverso l’arte: prenotazione obbligatoria ai numeri 0831 523412/13 e 3487288029.

La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 22 novembre 2013 al 09 gennaio 2014

L’ingresso libero e gratuito dal martedì alla domenica dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 17,00 alle 20,00

 

[..]Sovversivo, secondo il dizionario, è colui che «cospira, minaccia o agisce per distruggere l’ordinamento dello Stato» o chi «professa idee rivoluzionarie o appartiene a movimenti eversivi». Con il nome generico di sovversivi vennero indicati durante il governo di Francesco Crispi gli oppositori politici più pericolosi: i socialisti, i repubblicani ed in particolare gli anarchici

Nel 1894 in seguito ad una serie di attentati di matrice anarchica il governo Crispi emanò una legge speciale (19 luglio 1894, n. 316) intitolata «Provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza», che con l’art. 5 vietava le «associazioni e riunioni che abbiano per oggetto di sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali».

Nello stesso anno istituiva presso la Direzione generale della pubblica sicurezza lo Schedario dei sovversivi, in cui vennero raccolte le biografie di socialisti e anarchici segnalati dagli organi di governo locali.[..]

FRONTE NAZIONALE D’AZIONE Comitato Provinciale di Brindisi (poi Comitato di Liberazione Provinciale) nasce in città il 9 agosto del 1943

Il Fronte Nazionale d’Azione Comitato Provinciale di Brindisi più noto in seguito come Comitato di Liberazione Provinciale, nasce il 9 di agosto del 1943, di seguito sono riportate le trascrizioni dei verbali della prima riunione e quello della riunione del 14 settembre (ottava riunione). Per rendere il clima del periodo sono pubblicate le riproduzioni: del voantino del Fronte Nazionale d’azione del 12 settembre ’43, di un appello ai giovani, un divieto di assembramento e manifestazioni dell’ambiguo e contradditorio regno del sud, un volantino del Comitato di Liberazione di Ostuni, una copia del giornale di Giustizia e Libertà di Brindisi, e infine la copia del volantino del Comitato di Liberazione che chiama alla prima libera manifestazione  indetta per il 19 marzo ’44; e la pagina della Gazzetta del Mezzogiorno sul congresso dei CLN a Bari.

FRONTE NAZIONALE D’AZIONE
Comitato Provinciale di Brindisi

Verbale della prima seduta

L’anno 1943, il giorno 9 agosto, alle ore 15 pomeridiane, nello studio dell’avv. Vittorio Palermo, in Brindisi, si sono riuniti: il sig. Guglielmo Cafiero,il sig. Donato Ruggiero, l’ing. Pietro Sala, l’avv. Giovanni Stefanelli e l’avv.
Vittorio Palermo, (alcuni dei quali erano diggià in intenso e quotidiano contatto da un paio d’anni fra loro ed altri elementi antifascisti pugliesi ed italiani) e, — ritenuta la opportunità di realizzare la formazione dì un Comitato provinciale di concentrazione antifascista —, stabiliscono di costituire nella stessa data un primo nucleo del Comitato stesso e di allargarlo con elementi di sicura fede e di condotta patentemente antifascista che, dalla destra alla sinistra, si
attengano alle direttive seguite dal Comitato Centrale del Fronte Nazionale; e particolarmente:

1°) collaborazione con il Governo di S. E. Badoglio;

2°) contributo all’opera di epurazione degli elementi fascisti o compromessi con il fascismo;

3°) lotta contro il nazismo;

4°) propaganda in favore di una pace separata.

I singoli componenti di questo primo nucleo prendono specifici incarichi di avvicinare altri elementi di sicuro passato antifascista per invitare costoro a far parte del Comitato provinciale del Fronte Nazionale.

Funge da segretario ufficioso l’avv. Vittorio Palermo che fa una relazione sintetica sulla situazione politica italiana raccolta nei suoi ultimi viaggi a Bari, Roma, Milano nel giugno-luglio 1943 a seguito dei contatti presi con alcuni
esponenti (di cui fa i nomi specifici) del movimento antifascista di quelle città.

La seduta si chiude con il formale impegno di riunirsi il giorno 11 agosto.

Brindisi, 9 agosto 1943

Il f. segretario
avv. Vittorio Palermo

Verbale della ottava seduta
Addì 14 settembre 1943 i componenti il Comitato prov. si sono riuniti nello studio dell’avv. Giovanni Stefanelli ed hanno approvato l’ordine del giorno con cui si stabilisce di fornire alle Autorità militari italiane — che lo hanno richiesto — l’elenco dei membri costituenti il Comitato prov. di Brindisi  ed un pro-memoria composto di sei punti nel quale sono elencati i desiderata del Comitato stesso riguardante i termini di collaborazione con il Governo Badoglio per la epurazione da farsi in seno alla provincia ed alle FF.AA. degli elementi fascisti, l’appello di fornitura di armi a lutti gli aderenti al Comitato prov. onde poter combattere, se del caso, il comune nemico, nonché la richiesta di un locale per le riunioni del Comitato stesso. In fine si approva di lanciare un
Manifesto  incitante i Salentini a costituire delle « Legioni Garibaldine » di volontari onde insorgere contro l’eterno nemico dell’Italia.

Si designano l’avv. Palermo e De Tommaso, a diffondere in provincia il Manifesto.

il f. segretario

avv. V. Palermo

PROMEMORIA

1°) Arresto di tutti gli squadristi residenti nel capoluogo e nella provincia.

 

2°) Eliminazione dai ranghi di tutti gli squadristi che prestano servizio e che fanno opera deleteria nelle Forze Armate (in particolar modo nella M.V.S.N.).

 

3°) Permesso di circolazione per tutto il territorio della Provincia di Brindisi al fine di effettuare propaganda pro Legione Salentina. Per tale scopo può essere, previa requisizione, utilizzata la macchina dell’ing. Dall’Olio.

4°) Permesso e fornitura armi ai componenti il Comitato e sottocomitati della Provincia ed a tutti coloro che, sotto la responsabilità dei Comitati, si dichiareranno e saranno ritenuti idonei e pronti a collaborare con le FFAA. per respingere ogni offesa nemica.

5°) Concessione al Comitato Provinciale ed ai sottocomitati della Provincia di locali (possibilmente ex fascisti) ad uso ufficio reclutamento volontari.

6°) Autorizzazione a raggiungere Taranto con auto per incontrare i componenti il Comitato locale e prendere accordi per l’organizzazione del volontariato.
Brindisi 15 settembre 1943

Da questa terra è partito il nuovo Paese – 10 settembre ’43, a Brindisi i Topi del deserto

Brindisi, porto interno dopo 8 settembre 1943, seno di ponente, Cant Z 506 della 288^ Squadriglia, sullo sfondo, il Collegio Navale e il Monumento al Marinaio e le navi scuola Amerigo Vespucci e Cristoforo Colombo

 

Il prof. Vito Antonio Leuzzi ricorda le rappresaglie tedesche e la resistenza degli operai tarantini

L’importanza che la Puglia e Brindisi in particolare ebbero, dopo l’armistizio, nel cammino dell’Italia verso la nuova identità nazionale è sottolineata da Vito Antonio Leuzzi, storico e direttore dell’Ipsaic (Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea), oltre che curatore di diversi volumi che hanno trattato il periodo della resistenza. Un ruolo, quello del nostro territorio, che spesso sembra essere dimenticato dalla storiografia nazionale.

Con l’arrivo del re, il territorio salentino e quello pugliese diventano cruciali nella  vita politica del Paese. Con quali risvolti?

«Il porto di Brindisi fu ben difeso sin dalle ore immediatamente successive alla firma,pur in assenza di disposizioni precise. I primi ordini diretti arrivarono intorno air 11 settembre, con i comunicati di Badoglio attraverso Radio Bari che per la prima volta indicavano i tedeschi come nemici. Loro, d’altro canto, si erano arroccati dalle parti di Ceglie Messapica, da dove potevano dominare la pianura circostante, ma lì furono respinti dall’esercito e si guardarono dall’intervenire. Precedentemente, avevano distrutto la postazione di Leuca e l’antenna radio a Montesardo. Va ricordato anche che tra le prime forme di resistenza c’è anche quella di Taranto, con gli operai dei cantieri navali».

Si può dire che da qui sia nato lo spunto per la lotta di liberazione  dell’Italia?

«La resistenza in quella fase è partita da questo territorio, anche se non c’è stato mai alcuno scontro tra gente che apparteneva alla stessa popolazione. I tedeschi misero in atto diverse rappresaglie, come la distruzione dell’acquedotto all’altezza dell’Alta Murgia, con

alcune città che rimasero a secco per diverso tempo. Ci sono state anche diverse indagini degli alleati sui crimini di guerra iniziati dai nazisti proprio in Puglia».

La popolazione, perciò, era sin da subito dalla parte degli alleati?

 

«Gli angloamericani, con loro grande sorpresa, trovarono Brindisi e Taranto che di fatto erano state liberate dagli stessi italiani, contrariamente a quanto accadde altrove, dove ci furono diverse perdite. L’intera Puglia fu libera in pochi mesi».

A livello delle diverse strutture sociali, quali furono i cambiamenti più evidenti che hanno preso il via in quel periodo?

 

«Ci fu una ripresa importante della vita politica e sindacale, l’Italia si avvicinava ad essere una vera e propria democrazia. Lo stesso Comitato di Liberazione nazionale a Brindisi fu uno dei primi a mobilitarsi, indicando la necessità di una svolta politica».

Come si svilupparono, invece, le relazioni internazionali?

«Sul piano dei rapporti con gli altri Paesi, in questo periodo il comando di Algeri, guidato dal futuro presidente americano Eisenhower, era preoccupato dal rispetto delle clausole dell’armistizio: Brindisi, Taranto e Bari si dimostrarono vicini agli angloamericani e lo fecero in maniera spontanea. In questo contesto, fu importante il contributo dei cantieri navali di Brindisi e Taranto, che ripararono le navi alleate a tempo di record».

Il dibattito sul ruolo di Brindisi, se effettivamente possa essere considerata o meno capitale, è ancora un capitolo aperto nel mondo della storiografia.

«Al di là di tutto, senza entrare troppo nel dettaglio di questo dibattito, va riconosciuto che a partire da questo periodo specifico, l’Italia ha iniziato un nuovo corso: a Brindisi come al resto del territorio bisogna dare atto di quanto è stato fatto, senza scadere nella retorica ma analizzando gli avvenimenti. Una nazione nuova è nata proprio a partire da questa terra: la Puglia rappresenta il seme dell’Italia libera».

 

Intervista di Francesco Trinchera pubblicato su  Quotidiano del 10 settembre 2013-09-10

 

 

Poposki su di una jepp

 

 

 

10 settembre 1943

La città di Brindisi si arrende ai Topi del deserto !….

…dopo 70 anni uno squarcio sui misteri dell’arrivo del Re a Brindisi.

 

E’ importante per una città come Brindisi, che si fregia dell’esser stata per cento giorni la Capitale del “regno del Sud”, che molti dei luoghi comuni sull’8 settembre, la fuga del Re da Roma e il suo arrivo a Brindisi siano messi da parte e che si faccia chiarezza anche sugli aspetti più nascosti di quelle vicende, contribuendo a restituire alla città la sua corretta memoria storica.

Una memoria che solo oggi è confortata non solo dalle pur poche testimonianze orali ma anche dai documenti ufficiali che ultimamente, dopo decenni, sono stati resi accessibili dagli Alleati ed in particolare dagli inglesi sul ruolo che ebbero le diplomazie, i servizi segreti ed i condizionamenti che la Monarchia e la classe politica che in seguito governò l’Italia dovettero subire, in nome della spartizione dell’Europa tra i vincitori del Secondo Conflitto mondiale.

Gli americani a Salerno e gli inglesi a Taranto

Nei due giorni successivi all’armistizio molte cose accadono nell’Italia del Sud: gli americani con un ampio dispiegamento di forze aeronavali sbarcano a Salerno, fiduciosi di raggiungere Roma in pochi giorni, subito smentiti dalla accanita resistenza delle truppe tedesche che contenderanno ad essi , sino al 25 aprile del 1945, ogni palmo del territorio italiano.

Gli inglesi, a cui le sorti della monarchia italiana stanno più a cuore, sbarcano senza colpo ferire a Taranto, onde rendere sicuro una parte del territorio italiano che possa accogliere Vittorio Emanuele, la sua corte e barattare la continuità della monarchia sabauda con l’acquiescenza della futura Italia alle mire imperiali inglesi.

Sono navi americane quelle che, scortando i parà della 1° divisione aerotrasportata inglese, attraccano l’8 settembre a Taranto. Da una di esse, l’incrociatore Boise, reduce dalle battaglie aeronavali contro i giapponesi nel Pacifico, sui moli della città dei due mari vengono calate delle strane automobili, irte di mitragliatrici e senza insegne, salvo uno stemma simile ad uno astrolabio apposto sul radiatore.

Gli stessi uomini che le prendono in consegna hanno un aspetto poco militare, più simili a dei predoni del deserto che ad appartenenti all’Esercito imperiale di Sua Maestà Britannica. Su quella specie di uniforme che portano indosso non hanno gradi, non si salutano militarescamente ed è impossibile ad un primo colpo d’occhio comprendere chi li comanda. Sono poco meno di 100 e si definiscono “l’ Armata Privata di Pospki” , dal soprannome dato al loro comandante ed ideatore di questa particolare unità delle SAS, il belga di origini russe Vladimir Peniakoff.

Questi uomini per anni sono stati la bestia nera dei soldati italiani e dei tedeschi dell’Afrika Korps in Libia. Con le loro jeep WILLIS “taroccate” hanno attaccato le retrovie dell’Asse colpendo depositi di munizioni e carburante di Rommel, distruggendo aerei, seminando il terrore lungo le vie di rifornimento e guadagnandosi insieme ai loro colleghi delle SAS l’appellativo di “Topi del deserto”.

La mattina del 10 settembre1943, agli uomini di Popski, è dato un compito ben diverso ma forse ancor più importante: accettare formalmente la resa dai comandanti militari dell’Esercito e della Regia Marina della piazzaforte di Brindisi e comunicare ciò al Comando inglese a Taranto , in maniera tale che la corvetta Baionetta con il Re a bordo possa entrare in sicurezza in città. ( Visto che da Bari giungono notizie contrastanti di scontri con i tedeschi e sull’atteggiamento infido dei comandanti della Milizia territoriale, mentre gli aerei nazisti hanno sorvolato il convoglio reale col rischio di attaccarlo e ripetere la tragedia della corazzata Roma).

E’ una corsa contro il tempo che solo un’uomo come Popski può vincere e ancora una volta la sua fama sarà confermata. Nel loro tragitto da Taranto a Brindisi , le jeep dei Topi del deserto si fermano solo a Francavilla Fontana per accettare la resa del distretto militare del Salento da un generale dell’Esercito, poi l’ingresso a Brindisi dove, nel Castello, sede della Marina, è un ammiraglio a firmare l’accettazione delle clausole dell’armistizio ed ordinare che per le strade di una città semideserta si dispieghino bandiere inglesi affiancati al tricolore.

I servizi segreti in azione

Tocca ora ai servizi segreti gestire l’operazione “ sbarco del Re”, che formalmente naviga su una nave italiana ed è scortato dall’incrociatore Scipione e non accetterebbe ordini che da un comando italiano.

Il via libera dato dalle radio delle jeeps di Popski, giunto alla sezione di ascolto del Comando inglese a Taranto è ritrasmesso alla Baionetta, in codice, dai radiotelegrafisti inglesi del servizio segreto SOE, presenti in città e sbarcati insieme alle truppe inglesi .

Quell’uomo misterioso sulla Baionetta.

Al seguito del re, c’è un giovane silenzioso, che pur non indossando nessuna divisa ha accesso alla cabina radio della nave. Chi è questo ragazzo dai lineamenti delicati che parla l’italiano con un forte accento toscano e a cui piace bere del buon Chianti?

E’ Richard “Dick” Mallaby, il primo agente segreto inglese del SOE lanciato sul territorio italiano nell’agosto del 1943 per organizzare la Resistenza, catturato sul lago di Como dal SIM , il servizio Segreto Militare (l’alter ego monarchico della famigerata OVRA) e divenuto in pochi giorni l’anello fondamentale , grazie alla sua radio e ai suoi cifrari, dei contatti tra monarchia ed Alleati per i colloqui e la conseguente firma dell’armistizio reso pubblico l’8 settembre . Quest’ uomo, che avrebbe dovuto in altri tempi esser fucilato all’istante, viene accolto come la manna caduta dal cielo da un Badoglio in difficoltà dopo la caduta della Sicilia.

“Dick” dalla cella dei servizi segreti è direttamente condotto al Ministero della Guerra a Roma da dove, con la sua radio contatta gli alleati, accompagna il generale Castellano a Cassibile, assiste alla firma dell’armistizio, ritorna a Roma e l’8 settembre insieme a 53 dignitari sale con il Re sulla Baionetta, riceve via radio da Taranto in codice l’OK per l’attracco in sicurezza della Baionetta Brindisi, ponendo fine alla rocambolesca, se non grottesca, fuga del Re.

Un giovane agente che, appena sbarcato con la sua radio ed i cifrari è condotto in una torre del Castello Svevo da dove immediatamente si mette in contatto con la base algerina del SOE :

“-Missione compiuta! Il Re è sotto la custodia degli inglesi!”_

Poche ore dopo, ad affiancarsi a lui giungeranno da Taranto e via mare altri agenti segreti e Brindisi, per la durata dell’intero conflitto, diverrà parte integrante di una, sin ora poco conosciuta, guerra segreta ai nazisti in tutta l’Europa occupata, al fianco dei movimenti di Resistenza compresa quella Italiana. Una storia che come ANPI ( Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Brindisi vorremmo far rendere partecipi le giovani generazioni, la cittadinanza e le istituzioni in un cammino ideale che ci porti da oggi, sino al 25 aprile del 2015 a festeggiare il 70esimo della liberazione dell’Italia dal Nazifascismo.

 

(Di Antonio Camuso pubblicato sul Quotidiani di Brindisi il 12 settembre 2013)

 

 

Periakoff Poposky

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settembre 1943, la fuga del re, Brindisi capitale a metà? Luci e ombre senza retorica

10 luglio 43 Sicilia Scherman
Il 10 settembre di 70 anni fa a Brindisi giungeva, a bordo di una nave, il re Vittorio Emanuele III° , in fuga da Roma dopo l’armistizio reso noto l’8 settembre. C’è il rischio che su questa vicenda, complici il tempo e la caduta di ruolo della città, si possa abbattere un’ondata di retorica che non fa i conti con i fatti e la realtà, “Brindisi capitale” può essere un titolo suggestivo, è di sicuro un tema interessante a condizione che la ricostruzione dei fatti sia sfrondata dall’enfasi e descriva fatti realmente accaduti.
Dal tragico 8 settembre ’43 prende l’avvio quel lungo, sanguinoso e durissimo processo che portò, anni dopo, l’Italia alla democrazia e alla repubblica, non vi è dubbio che erano molte le speranze di democrazia degli antifascisti, addirittura sin dal 25 luglio e dalla caduta di Mussolini, ma altrettanto non si può dire del re e del governo di Badoglio che, con la firma dell’armistizio, sicuramente avevano in testa l’idea di salvare un’Italia monarchica e reazionaria, depurata soltanto dalla ormai ingombrante figura di Mussolini. Brindisi quindi dal quel settembre ’43 rappresentò per alcuni la speranza in prospettiva di vedere una nazione democratica, per altri un luogo d’Italia da cui ritessere una strategia per la conservazione del vecchio potere, aldilà delle responsabilità e le compromissioni con il regime fascista antidemocratico che aveva portato alla fame, alle guerre coloniali e allo sciagurato secondo conflitto mondiale. Ci sarebbero dovuti volere altri 20 mesi di Resistenza e  di una guerra di Liberazione affianco degli anglo americani per liberare il Paese.
I brani seguenti hanno lo scopo di raccontare le cose vere attorno a Brindisi, il ’43, l’8 settembre e il Regno del Sud, Antonello Sacchetti spiega in modo sintetico gli eventi di scenario ed i complessi eventi attorno alla data dell’8 settembre,  la guerra sciagurata, l’armistizio firmato in silenzio con gli anglo americani, oltre che la fuga del re da Roma, il generale opportunismo suo e della sua cerchia . Francesca Mandese racconta e descrive “Brindisi capitale a metà” in termini realistici come una città piegata dalla guerra, i bombardamenti, rarefatta per via dei numerosi sfollati, la fame e l’angoscia per i molti cittadini in guerra dispersi sui diversi fronti, in questo scenario, in questa sperduta città di provincia, diventa la sede del Governo dopo l’8 settembre, un Governo si badi bene che è ancora lontano dall’avere contenuti democratici, anche perché realizzato dal regime di occupazione militare; a tale proposito è prezioso lo scritto di Franco Stasi che ricostruisce nello stesso periodo i primi passi del Comitato Provinciale di Liberazione, è significativo, per definire il “tasso di democrazia del periodo” sapere che la prima manifestazione pubblica dei partiti antifascisti in città viene autorizzata per il 19 marzo del ’44. Il punto di vista degli alleati è riportato nelle pagine di David Stafford storico inglese, dove si narra dell’arrivo a Brindisi dell’unità di sabotaggio inglese, ma anche di una singolare presenza inglese, “un giovanotto alto e biondo” a bordo della nave Baionetta.
Brindisi, autunno ’43 hangar dell’idroscalo, Vittorio Emanuele III

8 Settembre 1943: la fuga del Re

Le trattative con gli anglo americani cominciano ad agosto. Vittorio Emanuele III è in contrasto con il proprio stato maggiore, propenso ad accettare la resa incondizionata. Il re la giudica un’esplicita condanna della monarchia e la rifiuta. Pretende garanzie per la dinastia ed arriva addirittura a chiedere il ripristino dell’impero coloniale italiano in Libia, Somalia ed Eritrea. Spera poi che le operazioni militari alleate si concentrino in Francia e nei Balcani, lasciando in pace l’Italia. Si tratta di pretese assurde. Dal punto di vista strategico, gli alleati vogliono costringere Hitler a concentrare truppe in Italia per distoglierle dalla Normandia (dove era già in programma lo sbarco decisivo) e dalla Russia. Gli Alleati non hanno poi motivo di difendere i Savoia. Il Ministro degli esteri inglese Anthony Eden scrive: “Il nostro atteggiamento verso Casa Savoia è improntato a cautela perché è così screditata che non esercita sugli italiani la sua antica attrattiva”. Il re, oltretutto, continua a tergiversare anche sul fronte interno. Permette a Badoglio di abolire il Partito Fascista, ma gli impedisce di arrestare i gerarchi. Rimangono in vigore le leggi razziali e le norme che proibiscono la costituzione di partiti politici. Molti fascisti rimangono in carcere, altri vengono arrestati. Un ministro arriva a dire che il nuovo regime “è più fascista del vecchio”. In un clima di indecisione ed improvvisazione, le trattative proseguono a rilento. Gli Alleati hanno più volte la netta sensazione che il re sia interessato a difendere soltanto le sue prerogative. Il comandante delle forze alleate Dwight Eisenhower avverte gli italiani che lo sbarco nella penisola è imminente e non c’è più tempo per trattare. Il 3 settembre il Quirinale si rende conto che ormai è possibile soltanto la resa incondizionata. Il giorno stesso a Cassibile, in Provincia di Siracusa, il generale Giuseppe Castellano firma per l’Italia l’armistizio con gli Alleati. L’accordo, che prevede la fine dell’alleanza con la Germania e la consegna agli anglo americani della flotta e dei porti del meridione, deve rimanere segreto fino al nuovo sbarco alleato, programmato a Salerno per l’8 settembre. Gli Alleati si aspettano la collaborazione dell’esercito italiano, ma i vertici militari riprendono a tergiversare. Vittorio Emanuele, in preda al panico, l’8 settembre convoca il consiglio della corona. La maggioranza è pronta a non adempiere agli obblighi assunti con Eisenhower. La decisione sta per essere messa a verbale, quando un ufficiale subalterno fa notare che la firma dell’armistizio è stata filmata e fotografata dagli americani. Un dietrofront sarebbe a questo punto letale per la monarchia. Dopo una breve riflessione, Vittorio Emanuele ordina a Badoglio di rendere pubblico l’armistizio. Radio New York ha già trasmesso la notizia ed è cominciato lo sbarco a Salerno. In tarda serata Badoglio si reca negli studi dell’Eiar e legge l’ambiguo comunicato (non prima della fine di una trasmissione di musica leggera): “Ogni atto di ostilità contro le forze anglo americane deve cessare da parte delle forze italiane. Esse però reagiranno ad altri attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Ancora il 9 settembre, i giornali parlano di successi contro il “nemico anglo americano”. La grande fuga La mattina del 9 settembre il re e Badoglio fuggono verso Pescara. Prima di partire distruggono gli archivi del ministero degli Esteri e della Guerra, ma non danno alcuna disposizione ai ministri e ai comandi militari. Alle porte di Roma si registrano i primi scontri tra italiani e tedeschi. In sei settimane il governo non ha preparato alcun piano di emergenza. E’ l’inizio di una tragedia immane. I soldati italiani, rimasti senza superiori e senza ordini, sono facili vittime delle rappresaglie tedesche. Il re fugge verso Brindisi. Durante la traversata, il 10 settembre, invia un telegramma all’ottantunenne maresciallo Enrico Caviglia, con l’ordine di coordinare la difesa di Roma. Il telegramma non arriva a destinazione, ma è stato comunque spedito troppo tardi. Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da paracadutisti tedeschi. Il duce definisce il re “il più grande traditore della storia d’Italia”, colpevole di aver fatto entrare in Italia un esercito di “ottentotti, sudanesi, indiani venduti, negri statunitensi ed altre varietà zoologiche”. Una volta a Brindisi, Vittorio Emanuele diffonde una dichiarazione in cui spiega la fuga come atto necessario per la salvaguardia di un governo libero, dicendosi pronto a morire per la difesa del suo Paese. Il 23 settembre scrive al re d’Inghilterra e al presidente Roosevelt. Si dice fedele al regime parlamentare ed auspica una veloce avanzata degli anglo americani in modo da ritornare presto a Roma. Soltanto il 13 ottobre, dichiara guerra alla Germania. Rimprovera comunque Badoglio per non aver barattato questa decisone con qualche concessione territoriale da parte degli Alleati. Tenta poi di imporre Grandi come ministro degli Esteri, presentandolo come “un simbolo del movimento antifascista”. L’operazione è bloccata dagli anglo americani che ormai non hanno più nessuna fiducia in lui. A corte, in molti suggeriscono al re di abdicare per salvare la monarchia. Vittorio Emanuele rimane però geloso della sua posizione. Vuole essere ancora un re che governa. Intanto il Paese conosce la tragedia della guerra civile. A Salò, Mussolini guida la Repubblica Sociale, stato fantoccio filo nazista. La guerra durerà ancora un anno e mezzo.
(di: Antonello Sacchetti/Grandinotizie.it http://www.storiaxxisecolo.it )

Brindisi capitale a metà – settembre 1943- febbraio 1944

2. Perché proprio Brindisi, questa sperduta città di provincia più vicina all’Oriente che all’Europa? Quali furono i motivi che fecero assurgere la città pugliese all’altissimo ruolo di sede del Governo? Forse la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: Brindisi era, in quei giorni, una delle pochissime città in Italia ad essere completamente libera. I tedeschi, infatti, erano ancora in Puglia, nei pressi di Bari, e a Taranto erano già giunti gli Alleati. Il territorio nazionale senza “invasori” era praticamente ridotto alla zona di Brindisi.
Subito dopo l’armistizio e lo sbarco alleato a Salerno, i tedeschi cominciarono a temere di rimanere completamente accerchiati dalle truppe anglo-americane nel sud dell’Italia e senza alcuna via di uscita. Cominciarono così a risalire la penisola. Anche Brindisi, solo poche ore dopo la divulgazione dell’armistizio, fu abbandonata dai soldati tedeschi.
“Di guarnigioni tedesche ‘alleate’, alla vigilia dell’8 settembre 43, non si notano più le tracce. Ai ‘Caracci’ (una contrada che è ora incorporata nel colosso del Petrolchimico), di fronte ad una masseria semidiroccata (che serviva da rifugio ad alcune famiglie brindisine), c’erano alcuni
capannoni militari con non più di un centinaio di soldati tedeschi. Il giorno dell’armistizio erano svaniti nel nulla.
Dei contadini raccontarono di aver visto quattro-cinque autocarri che nottetempo si dirigevano verso Bari. Nei capannoni non fu trovato quasi nulla: solo dei brandelli di stoffa kaky, barattoli vuoti, una montagnetta di bucce di patate e torsoli di pane nero”-. Così, alla chetichella, gli ex
alleati abbandonarono Brindisi, mentre gli anglo-americani non l’avevano ancora raggiunta. La cosa più importante era, però, che Brindisi aveva un Comando Marina, che poteva fornire al Governo fuggiasco una infrastruttura organizzativa davvero preziosa.
All’arrivo della famiglia reale la situazione a Brindisi non era molto diversa da quella di tutte le altre città italiane. “Una città prostrata per i ripetuti bombardamenti: sulle carni dei suoi abitanti i segni delle ferite … E dei circa 50 mila cittadini, più della metà sono fuori: chi in campagna,
da dove la sera assistono sgomenti ai fuochi divampanti su una città che è zona ‘altamente strategica’; chi nei paesi più vicini, ma almeno sicuri: Mesagne, Oria, Francavilla Fontana, Ceglie Messapico. E intanto si fa una prima conta dei danni materiali: su un totale di 15.160 vani che risultano censiti nel ’40, tremila risultano distrutti dai bombardamenti; 2.095 sono quelli danneggiati o resi inabitabili”.
È in questa città prostrata e distrutta che nasce “il piccolo Quirinale di Brindisi: una reggia per cinque mesi, che ospiterà il Re d’un Regno di quattro province. Brindisi, Bari, Lecce e Taranto. I resti di un impero liquidato in tre anni”.
“Il popolo italiano è tutto stretto attorno al suo Re” scrisse Badoglio, quel 10 settembre, nel telegramma inviato ad Eisenhower. “Il popolo italiano era invece tutto lì: quello disponibile sulla piazza di Brindisi: e non era proprio una gran folla se si considerano i caduti in guerra e
sotto le macerie, gli sfollati, i “separati” e i rivoluzionari che cominciano ad organizzarsi in partiti politici.
Quanto ai soldati, ai marinai, c’è un generale lassismo;perfino le divise sono raccogliticce e a molti mancano le scarpe”.
Ciononostante l’interà città aprì i suoi battenti agli inattesi ospiti, mise a loro completa disposizione mezzi, strutture e ospitalità.
da: Francesca Mandese  Brindisi capitale a metà – settembre 1943- febbraio 1944, Taeanto 1994 Pag 17-21
Brindisi 13 settembre '43, cadetti della R. Marina sbarcano dal Saturnia

9 agosto ’43 nascita formazione e attività del comitato provinciale di liberazione

[..]. La vita politica in quei mesi si presentava incerta e confusa: vi contribuivano in maniera decisiva il permanere dello stato di guerra e l’ambiguo atteggiamento assunto dalla Monarchia dopo l’allontanamento del duce.
Anche a Brindisi è solo nel mese di agosto di quella calda estate del ’43 che i principali esponenti dell’antifascismo locale  si riuniscono per la prima volta ufficialmente nello studio dell’avv. Vittorio Palermo, per formare «un comitato provinciale di concentrazione antifascista» e per costituire « un primo nucleo del Comitato stesso » da allargare poi « con elementi di sicura fede e di condotta patentemente antifascista che, dalla destra alla sinistra, si attengano alle direttive seguite dal Comitato Centrale del Fronte Nazionale ».
Uomo di punta del comitato stesso appare sin dall’inizio l’avv. Vittorio Palermo, militante comunista.
Nell’aprile del ’41, coinvolto nelle indagini condotte sull’attività del gruppo di Tommaso Fiore in Puglia e già in precedenza ripetutamente diffidato egli era stato prelevato nella sua casa di Latiano dal commissario regionale dell’OVRA. In seguito era stato trasferito e trattenuto alcuni giorni nel carcere di Bari. Qui era venuto in contatto con alcuni dei più importanti tra quelli che sarebbero poi diventati i suoi amici antifascisti, con i quali non avrebbe più interrotto i collegamenti allora allacciati. Tra essi l’avv. Michele Cifarelli, l’avv. Domenico Pastina di Trani, gli avv. Vito Mario Stampacchia e Michele De Pietro di Lecce ed altri, tutti arrestati a seguito del ritrovamento da parte della polizia politica di un elenco del prof. Fiore di tutti gli antifascisti nazionali e regionali che si avvicendavano nella sua casa di via Q. Sella a Bari.
Attorno a Palermo, già da questa prima riunione del 9 agosto 1943 ritroviamo altre figure dell’antifascismo brindisino del periodo della clandestinità; tra esse l’ing. Sala, l’avv. Giovanni Stefanelli, Guglielmo Cafiero, che insieme con i vari De Tommaso, Mauro, Prampolini, Ribezzi, Ostuni e Patrono avevano costituito il cuore forte dell’opposizione al regime e il tramite con ambienti antifascisti che operavano al di fuori della provincia ed ai quali alcuni di loro erano legati da rapporti di parentela, di fraterna amicizia o di lavoro e di studio.
Le linee di azione lungo le quali si muovono, immediatamente dopo la caduta di Mussolini, questi primi riorganizzatori del tessuto democratico nella nostra provincia sono comunque già da allora abbastanza chiare ed in linea con le analoghe richieste che il Fronte Nazionale Antifascista e successivamente il Comitato Nazionale di Liberazione portarono avanti sul piano nazionale.
1°) collaborare con il governo Badoglio;
2°) contribuire all’opera di epurazione degli elementi fascisti o compromessi con il fascismo;
3°) lottare contro il nazismo;
4°) fare propaganda in favore di una pace separata.
2. – Attiva sarà la mobilitazione del Comitato provinciale di Brindisi attorno a questi temi.
Già nella quarta seduta, quella del 19 agosto, infatti, si decise « di rivolgere le prime istanze al Governo per la rimozione delle cariche civili, amministrative e sindacali della provincia tenute ancora dalle più note personalità fasciste »7, mentre nella successiva riunione del 24 agosto i componenti del Comitato « dopo ponderata discussione » compilano « l’elenco dei fascisti e profittatori del fascismo indebitamente arricchiti, onde poterlo segnalare alle autorità competenti».
È noto tuttavia che trovava scarsa eco nel re e nel governo Badoglio l’insistenza con cui i partiti antifascisti chiedevano che si procedesse con urgenza ed in modo efficace ad allontanare dai più importanti centri di direzione e di controllo dell’amministrazione pubblica e della vita politica ed economica del Paese i gerarchi fascisti e quanti si erano gravemente compromessi col passato regime.
Per non ricordare che un aspetto soltanto di questa esplicita volontà di mutare il meno possibile gli equilibri politici del Paese si consideri che ben poco mutò, fra il 25 luglio e 1’8 settembre 1943, fra i prefetti che in precedenza erano stati nominati dal governo fascista nelle diverse province.
A Brindisi, ad esempio, il prefetto Pontiglione, già in carica prima del 25 luglio, fu allontanato dal suo posto solo alcuni mesi dopo la « svolta di Salerno » e la costituzione del primo governo di unità nazionale; tra Testate del ’43 e la primavera del ’44 era rimasto al suo posto nonostante le gravi accuse di parzialità e di connivenza con esponenti del passato regime, in vario modo camuffati, rivoltegli unanimemente dalle forze antifasciste.
D’altro canto i limiti imposti dal regime di occupazione militare alleata e dalle autorità di governo al libero dispiegarsi dell’attività politica (a Brindisi bisognerà attendere il 19 marzo 1944 perché possa svolgersi la prima manifestazione pubblica autorizzata dei partiti
antifascisti) oltre ad una diffusa incertezza sul futuro del Paese, impedivano che l’attività del C.P.L. trovasse larga eco nell’opinione pubblica. Non manca, pertanto, tra questi attivi ma numericamente esigui gruppi antifascisti militanti una certa sensazione di isolamento, se è vero che il 9 settembre — proprio cioè all’indomani della firma dell’armistizio e della fuga a Brindisi del governo Badoglio e del re Vittorio Emanuele — ci si riunisce « per discutere sulla opportunità di organizzare una dimostrazione in favore dell’armistizio concluso dall’Italia con le Nazioni Unite; nonché la divulgazione di un manifestino che — espresso il plauso per la realizzazione di uno dei postulati del Fronte Nazionale — inciti la cittadinanza a prendere sempre più netta posizione contro i veri nemici interni ed esterni dell’Italia ».
Le proposte saranno approvate all’unanimità ma non potranno trovare pratica realizzazione per il divieto delle autorità militari e politiche italiane, ben presto notificato all’avv. Palermo.
Primo atto questo di una lunga serie di boicottaggi e difficoltà che il governo Badoglio frapporrà all’attività e alle iniziative del Comitato provinciale di liberazione, aldilà della dichiarata disponibilità a collaborare rimasta sempre e soltanto verbale e nonostante l’ostinazione con cui gli antifascisti brindisini, che nel frattempo andavano aumentando di numero e ramificandosi in tutto il territorio provinciale, si batteranno per la realizzazione dei loro obbiettivi.
Scarso successo ha infatti l’iniziativa presa dall’avv. Felice Assennato, su mandato del C.P.L., per sollecitare la liberazione di elementi antifascisti italiani e stranieri ancora trattenuti nelle carceri di Brindisi mentre l’elenco delle autorità civili, amministrative e sindacali del capoluogo di provincia e dei comuni segnalati al Prefetto di Brindisi in sostituzione dei vecchi elementi fascisti dal Comitato provinciale solo in parte — e per di più molto esigua — sarà tenuto in considerazione dal rappresentante del Governo.
Sicché ben presto l’attività del Comitato di liberazione provinciale rischia di esaurirsi in un lavoro che è prevalentemente di organizzazione interna del fronte antifascista sia nel capoluogo e sia negli altri comuni della provincia, in cui si vanno costituendo analoghi comitati, ovvero di mera propaganda per la costituzione di « Legioni Volontarie » per la lotta al nazifascismo, per il sostegno economico da dare ad esse e per il loro armamento.
Di questo rischio acquistano rapidamente coscienza gli stessi componenti il Comitato, i quali — nella loro tredicesima seduta del 29 settembre — danno mandato ad una loro apposita rappresentanza di « esprimere al Prefetto una protesta formale circa la parziale accettazione della lista concernente le nomine civili e sindacali ».
Si comincia anche a discutere sulla opportunità o meno di consentire che accettassero l’incarico i pochi, fra i tanti indicati dal C.P.L., cui il prefetto aveva affidato responsabilità politiche ed amministrative; in una seduta, alla quale partecipano anche i rappresentanti dei Comitati di liberazione di Lecce e Taranto, il C.P.L. di Brindisi approva in data 5 ottobre un o.d.g. in cui: «si lamenta la sfiducia seguita fino ad ora da parte delle Autorità nei confronti dei Comit.
prov. del Fronte Nazionale; si offre, ancora una volta, la collaborazione sincera ed obbiettiva del Fronte Nazionale nel più alto interesse della Patria; si ripete la richiesta dell’opera di epurazione di tutti gli elementi fascisti; si chiede la revoca delle nomine che non godono
la fiducia dei comitati; il riconoscimento “de facto” dei Comit. Prov. di concentrazione; la facoltà di pubblicare periodici; ed, infine, l’autorizzazione di organizzare le Legioni dei Volontari ».
Proprio a seguito di queste difficoltà, inoltre, cominciano ad insorgere i primi contrasti all’interno dello stesso C.P.L.: mentre, infatti, si invia una seconda lista di persone da sostituire in alcune delicate funzioni civili, amministrative e sindacali del capoluogo e della provincia, si delinea una posizione più intransigente — che fa capo soprattutto all’avv. Palermo — per la quale è opportuno declinare le nomine prefettizie e astenersi « dal continuare a richiedere alle autorità politiche una collaborazione che da queste viene concessa solo di nome ».
da:Franco Stasi  la caduta del fascismo e la ripresa della vita democratica in provincia di Brindisi: nascita formazione e attività del comitato provinciale di liberazione. Fasano 1979 Pag77- 84

le Missioni SOE in Italia 1943-1945

[..] ….gli uomini del Corpo Motorizzato Italiano di stanza a Roma resistettero ai tedeschi sino al omeriggio di venerdì 10 settembre 1943, praticamente proprio nel momento in cui la corvetta Baionetta a entrava nel porto di Brindisi con a bordo il Re e Badoglio.Quanto fosse sicuro il porto di Brindisi non si sapeva ancora, visti i timori avuti in mattinata, quando un bombardiere tedesco li aveva sorvolati senza attaccarli e ….timori che si dissiparono appena sbarcati. Proprio quella mattina un’unità delle meno eterodosse dell’8 armata Britannica , al comando del tenente colonnello Vladimir Peniakoff ( il leggendario Popski) era entrata a Brindisi. Si trattava di un’unità di sabotaggio , costituita da un centinaio di uomini e soprannominata “l’armata speciale Popski”

Il suo comandante aveva discusso i termini dell’armistizio con l’ammiraglio italiano al comando delle forze della città. Il risultato di queste trattative fu che adesso dai balconi e dalle finestre di Brindisi pendeva una miriade di bandiere inglesi , affiancate dal tricolore.

….il giorno dopo arrivarono gli uomini della 1° divisione aerotrasportata inglese[sono quelli sbarcati a Taranto 8 settembre n.d.r.] che presero controllo della città e delle zone limitrofe.

Tra coloro che sbarcarono dalla Baionetta c’era un giovanotto alto, biondo e poco più che ventenne, che non faceva parte né del Regio governo né dell’Alto comando militare. E non era neanche italiano, nonostante lo parlasse perfettamente; quell’uomo era un inglese e si chiamava Cecil Richard Mallaby.

Dick, come lo chiamavano tutti i suoi amici, aveva trascorso in Toscana gli anni formativi della sua vita, nei possedimenti di suo padre (un ex coltivatore di tè in Ceylon che aveva sposato un’italiana), e aveva combattuto nel deserto con i commando. Ma da diciotto mesi a questa parte aveva lavorato per il SOE con mansioni di reclutamento, mentre veniva a sua volta addestrato in tutta la gamma di attività connesse con il servizio, dal sabotaggio al paracadutismo; ed eraappena entrato a far parte del corpo di ufficiali dell’Esercito inglese, col grado di sottotenente. L’aspetto più importante del suo reclutamento consisteva nel fatto che. oltre a essere fluentissimo sia in italiano che in inglese, Dick era un abilissimo radiotelegrafista. Inaspettatamente e imprevedibilmente, questo aspetto del suo addestramento aveva fatto di lui un elemento chiave nelle recenti trattative per l’armistizio.

Non più tardi di un mese prima Dick era stato paracadutato nel lago di Como con un piccolo gommone, con il quale si sarebbe dovuto recare a riva e raggiungere un indirizzo sicuro, una casa nella quale ad attenderlo ci sarebbero state una ricetrasmittente e una lista di nomi e indirizzi da contattare, in modo da stabilire un collegamento tra il SOE e i gruppi locali
della Resistenza. Sfortunatamente, la sera prima la Royal Air Force aveva sottoposto Milano a un pesante bombardamento e tanti sfollati avevano lasciato la città dirigendosi a nord, appunto verso Como. Per agevolare il cammino di queste persone le rive del lago erano rimaste brillantemente illuminate; di conseguenza, anziché calare dall’alto nell’oscurità, il suo
paracadute era stato visto e Mallaby era stato catturato dagli uomini del SIM, il Servizio Informazioni Militari, senza neanche essere riuscito a gonfiare il suo piccolo gommone.

Ma come fortuna volle, questo inaspettato inconveniente accadde proprio all’avvio delle trattative segrete per l’armistizio. Inaspettatamente, Mallaby e la sua radio avevano fornito un elemento cruciale all’operazione, mettendo in atto un validissimo collegamento radio tra gli inglesi e gli italiani.
Dall’ultimo piano del quartier generale dell’Alto comando delle Forze Armate Italiane a Roma, Mallaby, assistito da un abile radiotelegrafista italiano, aveva codificato e decodificato le dozzine di messaggi che erano stati trasmessi e ricevuti, usando un cifrario dal nome in codice «Monkey» (scimmia).
A conclusione di tutto questo si era arrivati alla firma dell’armistizio dell’8 settembre. Gli italiani avevano immaginato (e il SOE si era guardato bene dal contrariare queste loro
supposizioni) che l’arrivo di Mallaby nel lago di Como fosse stato programmato come un’astuta mossa «da parte di quei furbacchioni della British Intelligence» per l’apertura di un
possibile dialogo tra le parti.

Mallaby arrivò a Brindisi portando con sé la sua radio e tutti i codici e cifrari del piano «Monkey», che gli avrebberoconsentito sia di mantenersi in contatto diretto con il SOE che di fornire una comunicazione diretta tra l’Alto comandoalleato e il governo italiano. Gli eventi si muovevano molto rapidamente e la situazione generale era ancora molto confusa. Infatti Mallaby ricevette un messaggio (mentre era ancora in navigazione) da Massingham: «Cerca di stabilire immediatamente contatti con tutte le parti d’Italia. Questa è una cosa
urgente e della massima importanza». Ebbene, entro ore dal loro arrivo a Brindisi, Mallaby e la sua radio si erano installati in una torre del castello di Brindisi, dove solo poche ore prima Popski aveva incontrato un ammiraglio italiano.

Due giorni dopo, quattro uomini che indossavano un’uniforme tropicale arrivarono da Taranto, la base navale italiana, e si insediarono nell’Hotel Internazionale. Anche loro facevano parte del SOE, e avevano con loro un’altra radio e un altro set di codici e cifrari che avevano portato posati su un mucchio di paglia, con dei fiammiferi a portata di mano,
se per caso fossero stati fermati da elementi nemici.



David Stafford: le Missioni SOE in Italia 1943-1945- Mursia editrice 2011, pag 32-33- 34

 

Nel sito con la novità di una pagina dedicata alla Resistenza nel Sud

 

Napoli 1943 barricate

 

Una storia organica della Resistenza nel Mezzogiorno non è stata mai scritta. Si ricordano soltanto le quattro giornate di Napoli della fine di settembre e poco più. Eppure nel breve periodo dell’occupazione tedesca, in Campania, in Puglia, in Lucania e negli Abruzzi si verificarono numerosi episodi spontanei di resistenza militare e civile ai tedeschi. Persino in Sicilia ancor prima dell’armistizio, il 2 agosto del ’43 era esplosa la rabbia popolare contro la guerra e contro i tedeschi.

E ancora prima, nell’agosto del ’42, in Puglia a Monteleone, le donne erano scese in piazza, in modo spontaneo contro la guerra, la manifestazione fu soffocata e provocò un centinaio di arresti.

Infine molti luoghi del Mezzogiorno sono avvenute stragi naziste contro civili italiani, stragi spesso sottovalutate o addirittura dimenticate, stragi che hanno sconvolto il Sud dalla Calabria all’Abruzzo.

L’ANPI di Brindisi raccoglie nel sito con la novità di una pagina dedicata a la Resistenza nel Sud, la pagina contiene documenti e testimonianze accaduti in vari luoghi del Mezzogiorno, pezzi e frammenti di storie di Resistenza al Sud, raccontate da autori diversi, per non dimenticare i sacrifici meridionali di sangue, e di eroismo, nella speranza che qualcuno continui a ricercare.

 

 

 

 

Già l’ANPI nel 2012 si era fatta promotrice di una Mostra documentaria e fotografica “VENTO DA SUD”, che partiva dallo sbarco degli alleati in Sicilia e arriva alla liberazione di Roma, con lo sguardo volto al Sud del nostro Paese, gli oltre 300 documenti selezionati raccontano la guerra, le condizioni difficili delle popolazioni meridionali, le atroci rappresaglie e l’orrore delle stragi di civili, commesse dai tedeschi ,in ritirata, ma anche i momenti di lotta e di diffusa attività anti tedesca e antifascista, a partire dalla vittoriosa insurrezione popolare delle “quattro giornate “di Napoli che liberò la città dai tedeschi, a fine settembre del 1943 o alla rivolta della popolazione di Matera del 21 settembre 1943.“VENTO DA SUD” quindi, con i suoi tredici pannelli, densi di immagini storiche, aveva sviluppato un viaggio meridionale di scoperta e di ricerca della nostra memoria, anche locale, delle radici di libertà, pace, dignità, uguaglianza, solidarietà, da cui nasce la nostra Costituzione democratica, che proprio in questo momento presente è più che mai necessario compiere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inoltre nella pagina Indice della Memoria l’ANPI di Brindisi raccoglie da tempo note biografiche degli antifascisti e dei partigiani della terra di Brindisi.

Adesso nel sito con la pagina dedicata a la Resistenza nel Sud, si intende rendere pubblici frammenti di storie di Resistenza del Mezzogiorno.

Il 25 APRILE 2013 A BRINDISI

Il 25 aprile a Brindisi è iniziato il 24 pomeriggio con l’incontro con Miuccia Gigante

Miuccia Gigante

il 24 aprile alle ore 17.30 presso palazzo Granafei- Nervegna , è avvenuto  l’incontro con Miuccia Gigante e la presentazione , a cura del prof Vito Antonio Leuzzi, del catalogo della mostra su Gigante , prodotta dall’Archivio di Stato , nel 2012.
Miuccia Gigante al tavolo della presidenza
il 24 aprile alle ore 17.30 presso palazzo Granafei- Nervegna , c’è stato l’incontro con Miuccia Gigante poi anche la presentazione , a cura del prof Vito Antonio Leuzzi, del catalogo della mostra su Gigante , prodotta dall’Archivio di Stato , nel 2012.

il pubblico presente all'incontro
Il 25 aprile:

1l 25 aprile alle ore 10 l’ANPI era presente con una propria rappresentanza alla cerimonia istituzionale presso Piazza Santa Teresa per il 68° della Liberazione.
Poi alle ore 11.15 in Piazzetta Sottile, De Falco è avvenuto lo scoprimento della lapide a Vincenzo Gigante , alla presenza delle massime autorità il Prefetto e il sindaco Consales