Carta dei Diritti: iniziativa pubblica Cgil a Brindisi con ANPI e Archivio di Stato

Carta dei Diritti: iniziativa pubblica Cgil a Brindisi con ANPI e Archivio di Stato

Per l’occasione riallestita la mostra documentaria “ SOVVERSIVI (1900-1943) presso l’ex convento S. Chiara

La CGIL di Brindisi continua da mesi la campagna di raccolta firme  e di iniziative pubbliche di confronto sul testo della proposta di legge di iniziativa popolare sulla “Carta dei diritti universali del lavoro”, il nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, e sui tre quesiti referendari: per ripristinare il reintegro nel posto di lavoro quando il licenziamento è illegittimo, abrogare i voucher, e ripristinare la responsabilità solidale nel sistema degli appalti.  Nell’ambito degli incontri pubblici, ha organizzato a Brindisi per il 21 giugno pomeriggio una tavola rotonda sul tema, con la partecipazione del giudice Di Schiena, del docente di diritto del lavoro dell’ Università di Bari Vincenzo Bavaro, della coordinatrice nazionale della Rete della Conoscenza Martina Carpani, del Segretario generale CGIL Puglia Pino Gesmundo e della Segretaria della CGIL Nazionale Serena Sorrentino. Modererà il dibattito la giornalista Tea Sisto. Il titolo della tavola rotonda,  “E’ sempre tempo di diritti”, evidenzia il taglio storico che la CGIL di Brindisi ha voluto dare all’importante appuntamento chiedendo la collaborazione dell’Archivio di Stato e dell’ANPI di Brindisi, con il patrocinio del Comune di Brindisi, per riallestire la mostra documentaria “ SOVVERSIVI (1900-1943) presso l’ex convento S. Chiara, che sarà aperta al pubblico da domani 16 giugno al 23 giugno, in orario pomeridiano (escluso sabato e domenica).

Le lotte per la conquista della libertà e la nascita della  democrazia hanno radici profonde nella storia del territorio e il movimento sindacale è stato protagonista, anche a Brindisi, di momenti importanti di questa storia, attraverso l’impegno e il sacrificio, anche della vita,  dei suoi padri fondatori. Tra i  Sovversivi indicati dal casellario politico della questura prima, durante e dopo gli anni della dittatura in Italia, troviamo tanti  di loro: i dissidenti impegnati sul versante sindacale e politico a difesa dei diritti. Oggi che viviamo in una fase storica in cui le condizioni di vita e di lavoro di tante cittadine e cittadini sono peggiorate,  in una provincia in cui la disoccupazione è a livelli allarmanti e i nostri giovani sono costretti a emigrare, l’esempio di quelle donne e quegli uomini dà senso e forza alle nostre rivendicazioni. La campagna straordinaria aperta da mesi dalla CGIL in tutta Italia parte dalla consapevolezza che per costruire un futuro differente bisogna rendere esigibili i diritti fondamentali  garantiti dalla Costituzione, e che in quanto tali, non sono privilegio per pochi ma diritti universali ed effettivi per tutti. Per dare concretezza al progetto di cambiamento,  la CGIL propone di riscrivere le regole del diritto del lavoro attraverso un nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, che nel mondo del lavoro amplia l’orizzonte delle tutele anche a quanti oggi continuano ad esserne esclusi, che regolamenta le relazioni tra le parti datoriali e sindacali e mette ordine, riducendole, tra le diverse tipologie di rapporto di lavoro. Tutta la cittadinanza è invitata all’iniziativa  del 21 giugno e a visitare la bellissima mostra documentaria.

La CGIL di Brindisi ringrazia l’Archivio di Stato e l’ANPI per l’impegno profuso nel rendere fruibile la mostra in questi giorni.

MEDAGLIE PER IL 70° DELLA LIBERAZIONE PER IL 25 APRILE DI BRINDISI

LUNEDÌ 25 APRILE ALLE ORE  SI È TENUTA , PRESSO IL MONUMENTO AI CADUTI, IN PIAZZA SANTA TERESA, LA CELEBRAZIONE DEL 71° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE.

Alla cerimonia solenne, presieduta da Sua Eccellenza il Prefetto di Brindisi, Annunziato Vardè,  parteciperanno, oltre all’ANPI, le Autorità Civili Militari e Religiose della Città e della Provincia di Brindisi, le rappresentanze delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma di Brindisi e Provincia e le Rappresentanze degli Istituti scolastici della Città.

Subito dopo il prefetto si è  spostato in piazza Sottile De Falco, davanti a Palazzo Nervegna, un luogo simbolo della coscienza civile della città dove sono affisse le lapidi che ricordano i due finanzieri, vittime innocenti di mafia, e il comandante partigiano brindisino Vincenzo Gigante medaglia d’oro al Valor militare, ucciso nella Risiera di San Sabba, per rendere onore ai partigiani e i combattenti per la libertà brindisini alla presenza di tutte le Autorità.

Quest’anno in occasione del 25 aprile, sono state consegnate dal Prefetto dieci medaglie del 70° anniversario della Liberazione ad altrettanti Partigiani e Internati Militari ancora in vita e ai  familiari di coloro che ci hanno lasciato.  Questo l’elenco di coloro che hanno ricevuto  le medaglie:

 

 

 

 

 

 

 

Buzzerio Alfredo. Nato a Brindisi nel 1923. Partigiano della Formazione “Magni Magnino” in Toscana. Entrato nella 23° Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia”, proveniente dalla formazione Magni Magnino, nome di battaglia “Brindisi”. Dopo l’11 settembre 1943, da aviere stazionato a Vigna di Valle( Roma) in aeroporto militare, fugge nell’Appennino  Toscano con le armi. È stato nella Brigata da fine settembre ’43 a marzo ’44.

 

 

Colombo Ambrogio nato a Milano il 25 agosto 1920. Nel 1939  arruolato a Novara, nel Reggimento 17° artiglieria ippotrainata per essere poi trasferito in Sardegna dove rimase fino al 1942. L’8 settembre 1943 come tanti altri fu bloccato da un reparto militare e fatto prigioniero per non aver aderito alla Repubblica di Salò. Internato a Peschiera fu preso in carico dalle truppe SS e il 22 settembre arriva al campo di Dachau. Il viaggio avveniva con carri ferroviari – bestiame, senza mangiare e senza avere a disposizione un locale per i bisogni corporali. Successivamente fu trasferito nel campo di Kottern ai lavori forzati. Rimasto 21 mesi in campo di concentramento, con l’avanzata degli Americani fu costretto con gli altri prigionieri a mettersi in marcia per tentare di andare verso l’interno della Germania. Finalmente dopo due mesi e alterne vicende , fu condotto dalla Croce Rossa Internazionale al centro di raccolta di Bolzano dove trovò assistenza, abiti puliti e scarpe, diverse dagli zoccoli in legno che eravamo costretti ad indossare. Fu trasferito a Milano dal Centro di Liberazione dell’Alto Adige con un regolare foglio di viaggio.

Durante Cosimo marinaio del 1920 di Brindisi. Marinaio in servizio presso la Capitaneria di Porto dell’isola di Cefalonia, viene catturato dai tedeschi all’indomani dell’8 settembre 1943 a seguito del rifiuto di consegna delle armi. Condotto insieme ad altri prigionieri alla Caserma Mussolini di Argostoli ed imbarcato su una nave che poco dopo affondava a causa di una esplosione, viene recuperato insieme a pochi altri commilitoni mentre quasi mille prigionieri perdono la vita. Trasferito nei campi di prigionia prima di Patrasso poi di Atene, è deportato in Germania in una fabbrica di munizioni, poi in un campo di lavoro a Genthin . Il 25 aprile riesce a fuggire rientrando a Brindisi nel settembre del 1945.

Parisi Pietro. Nato il 6 luglio 1924 a Cisternino (BR). Contadino e Partigiano, con il nome di battaglia “Brindisi”,   milita nella 176a Brg. Garibaldi dal 1° novembre 1943 al 7 giugno 1945 in Val d’Aosta. Attualmente vive a Cisternino. Ricordando la sua esperienza ha così ha dichiarato:  A 19 anni fui chiamato alle armi per combattere una guerra di cui non capivo ne il senso ne lo scopo. L’8 settembre 1943, in tutte le caserme, fra tutti i militari la confusione fu enorme. Soldati sbandati spesso prendevano decisioni personali, ma altrettanto spesso finivano per cadere nelle mani dei tedeschi che li deportavano in Germania. Sarebbe stata anche la mia sorte se non mi fossi deciso a nascondermi e a vivere di espedienti aiutando i contadini nei loro lavori. Ma non dovevo soltanto guardarmi dai tedeschi perche anche i fascisti ci braccavano e talora ci prendevano con l’inganno per consegnarci ai tedeschi. Dall’Astigiano, dove in un primo momento mi nascosi, passai nella Valle D’Aosta, dove cominciò la mia vera e propria azione partigiana. Svolgevo col nome di battaglia “Brindisi” il ruolo di staffetta; presto rivelai delle qualità insospettate e insospettabili tanto che mi proposero di fare il comandarne delta 176ma brigata Garibaldi, incarico che io decisamente rifiutai. Il nostro compito era quello di tenere a bada fascisti e tedeschi aspettando le truppe regolari con le quali operare la definitiva liberazione dell’Italia.

Pronat Oscar. E’ stato internato nei lager nazisti, patriota col compagno Gigante in quel di Trieste nel 1944. Nacque a Brindisi il 25 novembre 1923. A 18 anni si arruolò in Marina come motorista navale. L’8 settembre 1943 apprese che la guerra contro americani, inglesi e francesi era terminata e che si sarebbe continuato a combattere contro i tedeschi. Oscar si imbarcò sulla nave “Eridania” che, dirigendosi verso Taranto, fu attaccata dagli aerei “Stuka” che imposero un cambio di rotta. Sbarcato a Fiume fu arrestato dai soldati del Generale Gambara, un italiano schieratosi con i tedeschi e a questi fu consegnato il 14 Settembre 1943. Fu portato a Venezia dove i tedeschi gli chiesero di combattere a fianco al loro esercito e, al suo rifiuto, fu caricato insieme ad altri su treni della deportazione. Dopo due giorni giunse a Furstenberg-Oder in Germania. A piedi, camminando nella neve, raggiunse il “lager 3b”coperto da sputi ed insulti. Fu spogliato e marchiato con il numero 310584.  Dopo gli strazi fisici e psicologici, nell’aprile 1945 approfittando del caos provocato dai  bombardamenti, scappò rifugiandosi in uno scantinato sepolto dalle macerie di un palazzo. I soldati russi lo trovarono e gli fornirono un salvacondotto. A 21 anni tornò nella sua città


Cafaro Vincenzo. Nato a Muro Leccese il 30 maggio 1922. Arruolato volontario nel CEMM in qualità di allievo cannoniere dal 1 10 1941, poi sottocapo cannonieri dal 1 ottobre 1942. Destinazioni Maridepo Taranto,  dal 4 novembre ’40 al 6 11 ’40; Mariscuola/ Mariottica  Pola dal 7 11 ’40 al 13 6 1941: Imbarcato su nave Maestrale  dal 14 giugno ’41 al  8  settembre  ’43. Internato in Germania dal 9 settembre ’43 all’ 11 settembre ’45. Insignito con il distintivo  d’onore “patrioti volontari della libertà”  il  5 12 1979: FOM.n.97 del 5.12/1979 .Art.5 – Il Tenente di Vascello (CEMM) s.p. Vincenzo CAFARO, essendo stato deportato nei lager ed avendo rifiutato la liberazione per non servire l’invasore tedesco e la repubblica sociale durante la resistenza, è stato autorizzato a fregiarsi,  ai sensi della legge 1 dicembre 1977 n.907, del distintivo d’onore per il Patrioti Volontari della Libertà, istituito con decreto luogotenenziale 3.5.1945 n.350.

 

D’Ancona Carmelo – Fante – Classe 1920. Chiamato allo armi noi 225° Reggimento Fanteria AREZZO il 9 gennaio 1941 ; imbarcatosi a Bari o partito per l’Albania il 17 agosto 1941 ; sbarcato a Durazzo il 20 agosto 1941 ; operante in territorio dichiarato in stato di guerra, partecipa allo opera/ioni svoltesi alla Frontiera Greco-Albanese fino alla data dell’8 settembre 1943: fatto prigioniero dei Tedeschi il 9 settembre 1943; internato in un Campo vicino Sarajevo dove lavora in miniera; successivamente viene trasferito in un Arbeìtskommando nei pressi di Belgrado impegnato allo sgombero di macerie; liberato dai Russi e trattenuto in territorio slavo, viene rimpatriato il 10 novembre 1945.

 

Gravili Donato – Aviere – Classe 1922. Designato per il ruolo servizi al Centro di Accoglienza di Brindisi e aggregato al 226° Deposito Fanteria di Molfetta il 12 giugno 1942; destinato alla Base Militare di Mestre il 19 agosto 1942; mobilitato in zona di operazioni al Comando Aeronautica Grecia – Atene , il 30 agosto 1942; inviato a Rodi e assegnato al Reparto Presidiario Aeronautico Egeo – Rodi  l’11dicembre 1942; partecipa alle operazioni di guerra svoltesi nel
Mediterraneo – Egeo fino alla data dell’8 settembre 1943; catturato dalle Forze Tedesche il 9 settembre 1943; è internato insieme con Bungaro Pompilio, Baldassarre Domenico e Pennetta Antonio prima a Rodi e in seguito a  Scàrpanto, Creta e Atene: inviato in Germania il 12 marzo 1944, giunge a Lipsia, via Bucarest – Budapest – Belgrado – Lubiana – Vienna, il 13 aprile 1944, giorno della Domenica delle Palme; successivamente viene trasferito in un Campo nei pressi di Brema, dove viene separato dai suoi compagni, destinati ad altri Campi; viene portato a Kiel e poi ad Amburgo, svolgendo il lavoro di addetto alla preparazione della colla per la costruzione di alianti; liberato dagli Inglesi il 3 maggio 1945; rimpatriato il 30 agosto, giunge al Brennero il 5 settembre 1945.

Elia Carmine – Artigliere – Classe 1922 Chiamato alle armi il 31 gennaio 1942 nel Deposito 2° Reggimento Artiglieria Antiaerea di stanza a Napoli; designato quale complemento alla 14″ Batteria Reggimento Artiglieria Contraerea da 75/27 A. V. O.P. – Anti Velivolo Obice da Posizione/86 del 1942 e avviato al Comando Base di Mestre per l’ulteriore destinazione in Egeo il 21 agosto 1942; giunto nel Deposito Smistamento Truppe per l’Egeo in Barletta il 21 agosto 1942; partito da Mestre con tradotta destinazione Atene il 23 agosto 1942; imbarcatosi al Pireo, giunto a Rodi e aggregato al 35° Raggruppamento il 5 settembre 1942; partecipa alle operazioni di guerra svoltesi nel Mediterraneo – Egeo fino alla data dell’8 settembre 1943; catturato dai Tedeschi l’8 settembre 1943 a Rodi; trasferito in uno Stalag nei pressi di Belgrado, ha lavorato come contadino e in una fabbrica di armi; liberato dai Russi nell’ottobre 1944. non potendo tornare in Italia, ha combattuto al fianco dei Partigiani di Tito; rimpatriato con i propri mezzi il 9 giugno 1946.

Patisso Amleto – Fante – Classe 1922. Chiamalo alle armi nel 35° Reggimento Fanteria PISTOIA di stanza a Bologna quale predesignato per il 2° Battaglione Chimica – Lanciafiamme, il 4 febbraio 1942; partito per il Montenero, imbarcatosi a Bari il 12 agosto 1942: sbarcato a Cattaro il 14 agosto 1942; partecipa alle operazioni di guerra svoltesi in Balcania -Territori ex Jugoslavia fino alla data dell’8 settembre 1943; catturato dai Tedeschi il 9 settembre 1943; internato in Serbia dove lavora come manovale nella costruzione di un campo di aviazione in cui sono impegnati 4.000 deportati dei quali, per decessi o per trasferimenti, ne restarono solo 600; liberato l’ 8 maggio 1945 dagli Americani; rimpatriato il 22 settembre 1945.

 

 

 

 

 

 

Il secondo congresso provinciale dell’Anpi provinciale di Brindisi

 


Il secondo congresso provinciale dell’Anpi che si è svolto giovedì scorso  nel salone di palazzo Guerrieri alla presenza di Vito Antonio Leuzzi, presidente dell’Anpi Puglia,e di Vincenzo Calo’, dirigente nazionale dell’Anpi. Un’affollata e partecipata assemblea congressuale sui temi dell’importanza della memoria della storia democratica e antifascista, della difesa della Costituzione e della legalità, della lotta ad ogni forma di razzismo. Dopo l’intervento di Donato Peccerillo, che ha presentato il bilancio degli ultimi anni di attività dell’Associazione e ha preannunciato la proposta di dedicare una strada di Brindisi alla Liberazione, nonché la pubblicazione del catalogo della mostra sulla memoria “I Sovversivi”, numerosi sono stati gli interventi, tra i quali quelli di dirigenti della Cgil, dell’Unione degli studenti, dei Giovani democratici, di Libera contro le mafie dell’Assoarma, Un posto d’onore alla presidenza è stato riservato al partigiano Pietro Parisi.  Il congresso ha eletto all’unanimità anche i componenti del comitato provinciale Anpi del quale fanno parte partigiani, donne, adulti e  giovani e giovanissimi, tutti legati dalla volontà di portare avanti i valori della Resistenza e della Costituzione per un futuro democratico e antifascista, Donato Peccerillo è stato confermato presidente provinciale di Brindisi dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia . Ora ci si prepara al congresso nazionale dell’Anpi che si svolgerà a Rimini dal 12 al 15 maggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANPI COMITATO PROVINCIALE BRINDISI                               

 BIASI LUIGI

AYROLDI ISABELLA

CAFORIO GIOVANNI

CAMUSO ANTONIO

CAROLLA MARIO

CASONE VINCENZO
FISIOLA LORENZO

LUCARIELLO ILARIA                                                      

MELCORE ANTONIO

MEO MARIANO

NIGRO CLAUDIA

GIANMARCO PALUMBO

PARISI PIETRO partigiano

PECCERILLO DONATO

PINTO ORESTE

POLITO ALFREDO                                                          

RODIA ALESSANDRO

SANAPO VINCENZO

VENTRICELLI MARIA

PRESIDENTE COMITATO PROVINCIALE

PECCERILLO DONATO

COMITATO GARANZIA

CUCCI MIMMO

PINTO ORESTE

SCIVALES MARIO

COLLEGIO SINDACI REVISORI

BIASI LUIGI

CAMUSO ANTONIO

MASIELLO CATERINA

IN MORTE DI OSCAR PRONAT, IL COMMOSSO SALUTO DELL’ANPI

L’ANPI di Brindisi si unisce al dolore della famiglia di Oscar Pronat, dei compagni, degli amici e di quanti per l’intera sua vita di combattente per la libertà, lo hanno amato e stimato. Oscar Pronat era uno dei più apprezzati e stimati iscritti della nostra Associazione.

Figura storica del Pci brindisino Oscar, è stato consigliere comunale (per due mandati), segretario del Sindacato postelegrafonici della Cgil-Fip. La sua è stata una vita dedicata all’antifascismo militante e alla lotta per la democrazia. E’ stato internato nei lager nazisti, patriota col compagno Gigante in quel di Trieste nel 1944. Questa sua terribile e coraggiosa esperienza di vita ha ispirato un lavoro teatrale, “Italiano, prigioniero sono” solo pochi anni fa andata in scena nel Nuovo Teatro Verdi di Brindisi tra la commozione generale. Nacque a Brindisi il 25 novembre 1923. A 18 anni si arruolò in Marina. Dopo il corso di motorista navale richiese di essere destinato al 12°gruppo di sommergibilisti. L’8 settembre 1943, dall’isola di Scoglio Olive, base dei sommergibili, da un comunicato radio del nuovo capo del Governo fascista Badoglio, apprese che la guerra contro americani, inglesi e francesi era terminata e che si sarebbe continuato a combattere contro i tedeschi qualora avessero invaso l’Italia. Questa notizia fece scoppiare il caos specialmente negli ambienti militari, non c’erano più ordini precisi e fu carneficina.

Così Oscar si imbarcò sulla nave “Eridania” che, dirigendosi verso Taranto, fu attaccata dagli aerei “Stuka” che imposero un cambio di rotta. Sbarcato a Fiume fu arrestato dai soldati del Generale Gambara, un italiano schieratosi con i tedeschi e a questi fu consegnato il 14 Settembre 1943. Fu portato a Venezia dove i tedeschi gli chiesero di combattere a fianco al loro esercito e, al suo rifiuto, fu caricato insieme ad altri su treni della deportazione. Dopo due giorni giunse a Furstenberg-Oder in Germania. A piedi, camminando nella neve, raggiunse il “lager 3b”coperto da sputi ed insulti. Fu spogliato e marchiato con il numero 310584.

Dopo gli strazi fisici e psicologici, nell’aprile 1945 approfittando del caos provocato dai bombardamenti, scappò rifugiandosi in uno scantinato sepolto dalle macerie di un palazzo. I soldati russi lo trovarono e gli fornirono un salvacondotto. A 21 anni tornò nella sua città che oggi lo piange e lo celebra.

L’ANPI Brindisi


 

 

 

 

 

 

Pubblichiamo qui di seguito  il breve e sentito ricordo che ne ha fatto Emanuele Castrignanò a nome dei familiari, degli amici e dei compagni nella cerimonia funebre :

Sono grato a Lucia per avermi scelto per leggere quanto Lei stessa, a nome dei fratelli, ha voluto scrivere per salutare papà Oscar.

La ringrazio, anche, perché, mi offre l’opportunità, salutandolo, di inchinarmi dinnanzi ad un uomo, come Oscar.

Un grande uomo: marito e padre esemplare.

Cittadino e lavoratore virtuoso. Combattente per la libertà. Antifascista. Internato nei lager nazisti, dopo essere stato arrestato a Fiume dai soldati del Generale Gambara, un italiano schieratosi con i tedeschi. Al suo rifiuto di combattere con i tedeschi, fu caricato sul treno che lo portò a Fustemberg, in Germania, nel lager 3b. Liberato dai russi. Tornò in Italia. Aveva 21 anni.

A Brindisi si impegnò nel PCI e nel Sindacato dei Postelegrafonici CGIL. Resta una figura storica di militante comunista.

Distintosi, sempre, per essere “persona” e non “personaggio”.

Sento ancora l’eco dell’ultima chiacchierata fatta, non molte sere fa, nella clinica Salus.

Lucidissimo nelle analisi e nei giudizi.

Impressionante.

Di un realismo, direi, spietato. Forse, perché, ormai, profondamente estraneo e disgustato da certa politica. Distaccato da un mondo che lo aveva deluso. E questo suo distacco rendeva ancor più libero, il suo già libero pensiero.

Quella sera, tra una battuta e l’altra contro Berlusconi, si soffermò, più del solito e con, meravigliato per me, entusiasmo, su Papa Francesco. Avrei dovuto portargli un libro. Non ho fatto in tempo.

La stessa sera nel salutarmi, mi baciò la mano e mi disse: “sei fortunato, come lo sono stato io con mia moglie, ad avere tu una moglie così affianco”.

Mi verrebbe da dire, semplicemente: “ Oscar, un uomo sino in fondo”, ma avendo conosciuto ed apprezzato il suo modo di essere e di testimoniarlo, mi va di aggiungere, come diceva Don Tonino Bello “ un uomo sino in alto”, perché “in fondo” si annidano le debolezze, le miserie e le cattiverie umane, “in alto” si respirano i grandi valori, e lui aggiungeva si respira santità.

Tra l’atro, perché non dire così di Oscar, uomo profondamente laico, che ha sempre vissuto per affermare e difendere alti valori quali la pace, la giustizia, l’uguaglianza?

Sempre dalla parte dei giusti, dei deboli, dei bisognosi, sempre contro ogni forma di sopraffazione e/o corruzione.

Trasparenza e coerenza, anche se scomode. Dall’apparente sguardo severo, lo era soprattutto con se stesso,

Renè Bazin, un romanziere francese , a cavallo tra fine ottocento ed inizio novecento, ci ricorda che “Occorre accettare la morte come un atto della vita”.

E’ difficile.

Una Sentenza indiana dice che : “ Gli artefici di opere buone non devono essere pianti. Essi continuano a vivere”.

Lo stesso Foscolo, senza sconfessare la sua posizione materialista, di negazione di ogni trascendenza, canta, nei Sepolcri, la sacralità della tomba, luogo sacro di ideali da trasmettere nel tempo.

L’uomo muore, ma se ha saputo vivere e morire per i propri ideali, ne lascia il ricordo ai posteri che li faranno rivivere.

Ed Oscar, continuerà a vivere, non nel semplice ricordo di quanti lo hanno conosciuto e voluto bene, ma in quello che ha fatto, in quello che ha lasciato.

E continuerà a vivere, soprattutto, nell’incommensurabile amore della sua famiglia, che nessuna cosa terrena potrà mai cancellare.

Nella stessa cerimonia sempre Emanuele Castrignanò ha dato la voce ad una lettera dei figli di Oscar:

 

A NOSTRO PADRE

Pensavamo di essere pronti!

Pronti a separarci da te.

Ma non è cosi.

Non si è mai intimamente pronti a separarsi dalle persone care.

Sei stato, sempre sarai, il nostro faro.

 

La tua forza, il tuo rigore morale, sono stati per noi esempio e motore delle nostre vite.

• Il tuo grande amore per la mamma, per noi figli e per i tuoi nipoti,

• Il tuo profondo senso di giustizia sociale,

• La coerenza delle tue azioni,

• L’inesauribile umanità insieme con il desiderio di spenderti sempre in favore dei più deboli.

Sono i valori che ci hai trasmesso.

 

Perfino dopo la tragica esperienza del lager, non ti abbiamo mai sentito pronunciare parole o frasi xenofobe.

 

Hai sempre saputo distinguere con enorme lucidità dove si annida il male e dove è racchiuso il bene.

 

Ci hai insegnato a comprendere che gli uomini nascono uguali ma, spesso, sono resi diversi dalle avversità della vita.

 

Nella tua convinta laicità, hai considerato sacri l’amore per la famiglia ed il rispetto per l’amicizia.

 

Queste cose, insieme a tutto quanto altro di buono e di bello alberga in te, saranno le cose per cui sarai giudicato con umana e pietosa considerazione, al di là ed al di fuori di ogni rispettabile fede religiosa.

 

Ciao papà!

 

NOI TUOI FIGLI E TUOI NIPOTI, INSIEME CON LA MAMMA, SAREMO SEMPRE LA TUA FAMIGLIA.

FINCHE’ VIVREMO, TU SARAI IMMORTALE NEI NOSTRI CUORI.

 


Brindisi, 31 gennaio 2016 Emanuele Castrignanò

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Nel giorno della memoria: tre brindisini antifascisti morti nei campi di sterminio

Nella giornata che ricorda l’immane tragedia, l’orrore per lo sterminio e la persecuzione del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi di concentramento, si ricordano tre brindisini morti in lager diversi.

 

 

 

 

 

 

 

 

GIGANTE Antonio Vincenzo. Nato a Brindisi il 3 febbraio 1901 . Muratore. Dirigente comunista. Denunciato al Tribunale speciale nel 1934, al termine di una condanna ventennale, per “costituzione del PCI, appartenenza allo stesso e propaganda”, viene internato il 3 gennaio 1942. Evaso nel settembre 1943. Diventa responsabile della Resistenza a Trieste. Catturato dai nazisti nel novembre 1944 ed ucciso nella risiera di San Saba. Medaglia d’oro al valor militare.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

CHIONNA Umberto Nato a Brindisi il 28.1.1911 – Operaio. Falegname alla Pirelli Bicocca. Residente a Milano, via Farini 35. Arrestato a 15 anni a Brindisi e condannato dal Tribunale Speciale a tre anni. Arrestato nuovamente è inviato al confino a Lipari. Il 17 marzo 1944 è arrestato a casa, di notte in seguito agli scioperi del marzo 1944. È deportato a Mauthausen, poi trasferito a Gusen, infine torna a Mauthausen dove muore il 23 aprile 1945.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

FAGGIANO Pompilio Nato a San Donaci (Brindisi) il 4 giugno 1916. Militare coniugato con due figli, ucciso a Bolzano il 19 settembre del ‘44. Partito da Brindisi il 25.02.1944 da per una missione di sabotaggio, sbarcò con altro agenti nella notte tra il 27 ed il 28 febbraio 1944 a sud di Pesaro. Arrestato successivamente, fu ucciso nel lager di Bolzano il 12.09.1944. Viene concessa la medaglia al valor militare.

 

Il giorno della memoria è anche una memoria di triangoli identificativi, di colori diversi, di stoffa colorata: giallo (o una stella di David composta da due triangoli sempre gialli) per gli ebrei; rosso per i prigionieri politici; marrone per gli “zingari”; nero per gli “asociali” (mendicanti, vagabondi, venditori ambulanti, malati di mente, disabili, alcolisti, prostitute, lesbiche), rosa per gli omosessuali, viola per i Testimoni di Geova, azzurro per i fuoriusciti (quasi sempre oppositori del nazismo poi rientrati in patria), verde per i delinquenti comuni.

I COLORI DELLA PAURA

Triangoli di stoffa

Su camicioni a strisce

Nel freddo campo nazista

Triangoli a colori

Giallo per gli ebrei

Rosso per gli antifascisti

Rosa per gli omosessuali

Purple per gli amici della Bibbia

Verde per i delinquenti

Nero per gli emarginati

Marrone per i Rom

Bianco per chi sciopera

Blu per gli immigrati

Dieci colori una sola paura

Nel grigio campo di Auschwitz.

 


Sulla strada di casa, una “pietra d’inciampo” per il maggiore Ayroldi

Domenica 10 gennaio, una cerimonia partecipata è stata posta in Ostuni, dinanzi alla casa natale di Antonio Ayroldi in Corso Cavour n. 52, una “pietra d’inciampo” (Stolpersteine), un monumento originale e diffuso, ideato dall’artista tedesco Gunter Demnig per ricordare le persone che hanno perso la vita per mano dei nazi-fascisti.

Antonio Ayroldi fu uno degli ultimi fucilati delle fosse Ardeatine . Ufficiale dell’esercito italiano, dopo l’8 Settembre 1943 non diede seguito alle insistenti richieste di presentarsi al comando tedesco ed entrò in contatto con la Resistenza romana. Scoperto insieme ad altri nel corso di una riunione clandestina fu imprigionato in Via Tasso . Torturato, fu condotto e ucciso alle Ardeatine dopo neanche un mese di prigionia. Antonio Ayroldi è Medaglia d’argento al valor militare alla memoria.

La Pietra d’inciampo ( Stolpersteine) dell’artista tedesco Gunter Demnig è l’azione di aggregare nel selciato stradale, accanto all’abitazione della vittima del nazismo, una piccola pietra d’ottone delle dimensioni di un sampietrino sulla quale è inciso il nome e l’anno di nascita e di morte della vittima . Con questa azione semplice ma altamente simbolica si intende ridare un nome a chi è stato ridotto ad un numero . L’espressione ” inciampo ” deve intendersi in senso visivo e mentale , per far fermare a riflettere chi si imbatte , anche casualmente nell’opera .


 

 

 

 

La cerimonia, dell’installazione della pietra, era iniziata a con l’ intervento del sindaco di Ostuni, Gianfranco Coppola, seguito da quello di Isabella Ayroldi, nipote di Antonio che, insieme a sua sorella Antonella, portano avanti il lavoro di sensibilizzazione e testimonianza iniziato da loro padre Carlo. Isabella, visibilmente emozionata, ha letto un messaggio di sua zia Isabella, sorella di Antonio, che vive a Roma e non ha potuto presenziare alla cerimonia, ma ha voluto essere comunque presente con il suo vibrante ricordo a un momento così importante per la sua famiglia. Si sono poi susseguiti i saluti di Annunziata Ferrara, dirigente scolastica del Liceo Classico e Scientifico “Pepe-Calamo” che ha ricordato l’importanza di questi accadimenti tragici nella memoria soprattutto delle giovani generazioni e l’intervento del partigiano Pietro Parisi, che ha voluto prendere la parola per offrire la sua testimonianza.

 

 

 

 

La cerimonia è poi continuata a Palazzo di Città dove l’iniziativa è ripresa con la trasmissione di un video in ricordo del Maggiore Ayroldi, con una vecchia intervista audio del compianto fratello Carlo, intervallata dai canti partigiani eseguiti dai ragazzi del gruppo teatrale “Officina del Sole”, guidati da Alessandro Fiorella, e dalle letture dei ragazzi del Liceo Classico “Antonio Calamo”, che hanno rappresentato alcuni testi e lettere di e su Antonio Ayroldi. A chiudere la cerimonia, l’intervento di Lidia Menapace, partigiana politica e scrittrice, ultranovantenne che ha contribuito a scrivere un pezzo di storia dando il suo apporto attivo alla Resistenza. A chiudere la cerimonia “Mare Nostrum”, un canto inedito presentato dai ragazzi dell’”Officina del Sole”, a suggellare una giornata che grazie a una mattonella d’ottone incastonata in un marciapiede, si è dato un contributo a rafforzare di una memoria collettiva. Al’iniziativa era presente una delegazione dell’ANPI.



Una brutta storia

Ci ha colpito in modo particolare una lettera apparsa sul sito: http://www.piazzasalento.it/ del 25 novembre di questo anno, racconta una storia di violenze sulle donne nel lontano ’42, fatti accaduti a Gallipoli nel cosiddetto “Capo di Lecce”, perché qualcuno non finga e continui a dire che i fascisti non sono mai esistiti o che erano tutti brave persone, come scrive la stessa autrice della lettera, il tempo è trascorso, gli autori delle violenze, sono morti da tempo, come scrive la lettera firmata, ma rimane storia terribile ed un “contesto” di cui è bene tenerne memoria, ed è questa la ragione della pubblicazione sul sito dell’ANPI di Brindisi.

 

 

 

 

 

Quel Ferragosto del ’42 che non dimenticherò mai. Per giustizia, non deve scomparire con me

 

Caro direttore,

ti prego di pubblicare la mia lettera, per non dimenticare. Era il giorno di Ferragosto del 1942 e io avevo 8 anni. Vivevo a Gallipoli Vecchia con solo mia madre, perché il mio papà era in guerra. Quasi tutti i padri delle mie amiche erano in guerra e c’era molto poco da mangiare. Quel giorno a tavola c’era un po’ di pane e la scapece. Io, bambina, odiavo la scapece che sapeva di aceto e stavo facendo i capricci per non mangiarla. A pomeriggio saremmo andate, io e la mamma, a piedi ad Alezio, dove si festeggiava la Lizza e avremmo venduto dei cappellini fatti all’uncinetto da lei, così avremmo avuto qualche soldo. Mi prometteva la mamma che lì avremmo comprato qualcosa di più buono da mangiare. All’improvviso quattro uomini sfondarono la porta ed entrarono in casa. Urlavano, la mamma piangeva, io pure. La nostra vicina entrò e, anche lei piangendo, li tirava per la camicia e chiamava aiuto. Ma nessuno veniva. Si sapeva di loro. Entravano nelle case dove sapevano che non c’erano uomini e aggredivano le donne. Erano camicie nere. Gente potente, sapevano di essere intoccabili e così era. Ci spogliarono entrambe e mi costrinsero a guardare mentre approfittavano della mia mamma e la picchiavano. Poi si gettarono addosso a me. Ci dicevano che nessun uomo c’era a difenderci, nessuna legge, neanche Dio. Ricordo benissimo le loro voci, i loro volti, la loro puzza. All’improvviso, come erano venuti, se ne andarono ed entrarono nella casa accanto alla nostra. Lì i bambini erano sei, maschietti e femminucce. Li sentivo piangere, li sentivo urlare. Mia madre mi chiese di non raccontare niente a nessuno.

Non ci fu mai nessun Ferragosto nella mia vita. In quel giorno andavo via da Gallipoli. E non andai mai più neanche ad Alezio. Tornarono ancora. E andarono in altre case. La guerra finì, papà tornò, non gli dicemmo mai nulla, ma quei mostri restarono a vivere le loro vite come se niente fosse. Chi lavorava come impiegato pubblico, chi aveva l’impresa, chi affittava appartamenti.

Quando mi sposai avevo paura di mio marito e non sono mai stata veramente felice con lui, anche se è sempre stato un brav’uomo. Hanno approfittato di tante altre bambine della città vecchia. Non sono mai stati puniti. Alcune, da grandi, hanno provato a denunciarli ma sono state prese per pazze o trattate come prostitute in cerca di denaro. Io non ho mai svelato il segreto a mio marito, né ai miei figli. Temevo facessero una pazzia. Sono morti tutti quei quattro, da vecchi. Sono andata a ciascun funerale, perché volevo vederli morti. Tante volte ho sognato che li stavo uccidendo io… Pochi anni fa è morto l’ultimo, vecchio vecchio, non lasciava l’anima a Dio. Al suo funerale ho raccontato tutto alla figlia, quasi della mia età. Bastardo, aveva una figlia della mia età. All’inizio ha finto di non credermi, ma poi è venuta a cercarmi per offrirmi dei soldi. Le ho fatto una scenata e l’ho cacciata fuori di casa, quella stessa casa in cui suo padre era entrato e non una volta sola.

Prima di morire, voglio lasciare questo ricordo, perché qualcuno non finga e continui a dire che i fascisti non sono mai esistiti o che erano tutti brave persone.

Lettera firmata, Gallipoli

Si ringrazia il direttore di Piazzasalento Fernando D’Aprile

La lettera è sul sito: http://www.piazzasalento.it/ del 25 nov 2015, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

La lettera era già presente sul numero 17 di Piazzasalento 27 agosto- 9 settembre 2015

 

I TRAGICI FATTI DI PARIGI E I PERICOLI DI UNA “GUERRA GLOBALE”.

NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI CARLO SMURAGLIA:

I TRAGICI FATTI DI PARIGI E I PERICOLI DI UNA “GUERRA GLOBALE”.

Contrapporre agli assassini l’unità dei popoli e dei governi del mondo e respingere ogni tentativo di approfittare di una situazione drammatica in nome del razzismo di sempre

Ciò che è avvenuto a Parigi, nella notte tra venerdì e sabato, suscita un orrore infinito e una angoscia immensa per le tante vite spezzate, tra cui moltissimi giovani, nella dolorosa certezza che il macabro elenco dei morti sia destinato ad aumentare e nella speranza che la maggior parte dei numerosissimi feriti riesca a uscire da questa esperienza, recando con sè soltanto un ricordo terribile.

Questi moti dell’animo sono insopprimibili e devono resistere anche al decorso dei giorni e del tempo, per chiunque abbia chiara nozione di quanto grande sia il valore della vita umana e quanto deprecabile ogni atto di violenza che colpisca prima di tutto le persone.

Noi sappiamo che chi compie questi atti non ha alcun rispetto per la vita e per la persona; si spara nel mucchio, non solo per fare presto, ma per convincerci che nessuno può sentirsi al sicuro. In un contesto del genere, la vita, la persona, i sentimenti, la felicità, la gioia e l’allegria non esistono: c’è solo la cupa immagine di chi è pronto perfino a rinunciare alla propria vita, se è necessario, per raggiungere un obiettivo pazzesco, nel quale la vita degli altri non conta nulla.

Non dobbiamo dimenticarlo. Tutto questo, senza querimonie, senza isterismi e senza indulgere troppo sulle scene più strazianti. Per chi ragiona, basta molto meno per provare l’orrore e il desiderio spasmodico di fare il possibile perché questi drammi non possano avvenire mai più, pur con la consapevolezza atroce che, invece, si ripeteranno ancora e ci saranno altri disperazioni, altri lutti, fino a quando non si risveglierà la ragione.

Questo è il senso del dolore e dell’orrore, che non tollerano schematizzazioni e insistenza sui particolari nel descrivere il peggio. Un dolore e un orrore simili possono oggi essere leniti solo da un gesto che è accaduto e che ci richiama al senso dell’umanità: una donna appesa disperatamente ad una finestra che grida e una mano sconosciuta che l’afferra e la salva. Qui c’è tutto il senso del confronto che non possiamo non fare tra chi dà consapevolmente la morte e chi crede alla solidarietà ed al valore inestimabile della persona. Finché ci saranno gesti di questo genere, potremo avere la speranza che l’umanità e la solidarietà riescano a trionfare.

Tuttavia, non c’è orrore, non c’è dolore, per quanto grande, che non richieda – per assumere un significato vero – una riflessione seria e adeguata. Ed è quella che in questi giorni, pur col cuore ed i sentimenti sconvolti, dobbiamo riuscire a fare, resistendo anche a qualche impulso spontaneo ma improduttivo.

C’è una guerra in atto, diversa da tutte le guerre che abbiamo, purtroppo, conosciuto (ed alcune, vissuto); diversa, certamente, dalla guerra tradizionale dove sono due o più nemici che si scontrano con i loro eserciti e il fatto che ci vadano di mezzo, talvolta, anche donne e uomini che non vestono una divisa e non impugnano un’arma, è deprecabile, ma pur “secondario” rispetto al dato principale.

Qui non c’è nulla di tutto questo; non c’è un nemico facilmente identificabile, non ci sono eserciti tradizionali in campo. Siamo di fronte a una guerra con connotati che non corrispondono neppure alle altre forme assunte, nel tempo, dalla violenza e dalla contrapposizione di idee e/o interessi, visibili e percepibili facilmente, perché non si tratta neppure di ritorsioni o di rappresaglie (ricordate la vicenda di Charlie Hebdo?), ma di atti che, in altri tempi, sarebbero stati definiti come “gratuiti”.

Diversa perfino rispetto al terrorismo “classico”, quello che nel mondo si è sperimentato in questo scorcio di secolo e in una parte di quello precedente. Un terrorismo che colpiva specifici obbiettivi, anche sbagliati, ma pur sempre obiettivi definiti, in nome di una idea, di un fanatismo, di un fondamentalismo, insomma di qualcosa che si poteva percepire e dunque anche combattere con (relativa) facilità.

Siamo di fronte ad una situazione nuova anche rispetto a quel tragico 11 settembre di New York, dove c’era un’evidente organizzazione, una provenienza definibile ed un obiettivo altrettanto percepibile. Questa è una situazione, in qualche modo, ancora più perversa. C’è un “Califfato” che si autoproclama come Stato, ci sono forze e mezzi militari che uniscono all’orrore di alcuni atti individuali, quello di vere e proprie battaglie, di esecuzioni di massa, di “vittorie” conseguite colpendo vite umane incolpevoli e solo indirettamente coinvolte in un ipotetico conflitto e talora rivolgendo la furia distruttiva su beni artistici di inestimabile valore. Ma c’è, accanto a tutto questo, anche una sorta di esercito invisibile, sparso in varie zone e in vari Stati e capace di colpire, dall’interno – senza una vera logica ed un qualsiasi collegamento – in luoghi svariati, con massacri di valore simbolico e ammonitivo.

In un limitato lasso di tempo, c’è stato l’assalto a Charlie Hebdo, del gennaio scorso, a Parigi, l’attentato in Tunisia, l’attentato (ormai sicuro, per quasi tutti, come tale), contro l’aereo russo, precipitato, in mille pezzi, in Egitto; ed ora questo mostruoso, molteplice attentato in varie zone di Parigi, diretto contro persone inermi, intente a seguire uno spettacolo o un concerto e addirittura tentato contro uno stadio, pieno di folla (per fortuna quest’ultimo, non riuscito).

Tutto questo sembra fatto per dire che nessuno può stare tranquillo da nessuna parte ed in nessun momento della sua vita; che non c’è un nemico preciso, individuabile, contro cui si spara, ma c’è una folla in qualche modo anonima, come quella di Parigi, o quella che viaggiava sull’aereo russo, “utilizzata” per un sacrificio che sarà di ammonimento per tutti.

Qualcuno ha detto che è una guerra “globale”. Può darsi, ma solo nel senso che è diretta verso un bersaglio globale, perché ognuno può essere colpito o dall’esercito dell’ISIS nei luoghi ove esso è impegnato, oppure da una schiera non identificata né identificabile di persone disposte a tutto, per creare insicurezza nel mondo e dimostrare che c’è solo una forza invincibile, l’ISIS.

Di fronte ad un fatto del genere, tutte le guerre che conosciamo, in Africa ed in altre parti del mondo, scolorano, perché nessuna di esse riesce ad assumere questo carattere di intimidazione e di violenza “globale”, in nome di qualcosa che è addirittura peggiore di un “fondamentalismo“ classico.

Come si reagisce ad una “guerra” del genere? Certo, come tutte le “novità”, anche questa non consente ricette predefinite; ma di alcune cose possiamo già essere convinti e certi.

La prima è che, se vogliono intimidirci e renderci insicuri, la cosa peggiore da fare sarebbe quella di cedere e rinunciare a fatti ed eventi già predisposti (penso, per esempio, al Giubileo), perché questa sarebbe una prima, sicura, vittoria di questo inafferrabile nemico. La seconda è che non dobbiamo cedere alle paure e chiuderci in casa; le manifestazioni subito avvenute in tante parti d’Italia, al di là del dolore e della partecipazione commossa, dimostrano proprio questo, che c’è voglia di reagire, di non farsi chiudere nel recinto delle paure, di impegnarsi contro gli assassini, anche se alcuni di loro possono assomigliare al vicino di casa ed apparire “normali”. E fin qui, si tratta delle cose che competono a noi, cittadine e cittadini, che amiamo la libertà, respingiamo la violenza, la sopraffazione e l’intimidazione. Ma poi c’è ben altro, e questo compete agli Stati, a chi ci governa, a chi – insomma – dovrebbe “governare” il mondo, almeno su una base comune, quella del rispetto dei diritti umani. Molti Stati, compreso il nostro, hanno già adottato misure di sicurezza, intensificato i servizi di controllo, allertato i presìdi nei luoghi più simbolici; va bene ma, certo, occorre ancora di più, proprio perché uno dei “simboli”, il peggiore in un certo senso, è costituito proprio, dall’eccidio di massa, dall’assassinio di persone inermi, che mai potrebbero o dovrebbero costituire un obiettivo. Si impone allora un collegamento fra gli Stati e soprattutto fra i loro servizi segreti. Si sono già viste, in varie occasioni, falle clamorose nei presìdi di sicurezza, come a Sharm-el-Sheik, o anche, con ogni probabilità, a Parigi. Un collegamento forte e stretto fra i servizi aiuterebbe certamente a “prevenire”, ad individuare per tempo i soggetti pericolosi, ad apprestare quanto necessario, anche con l’aiuto dei cittadini e delle Autorità locali, per individuare le fonti sospette e foriere di tempesta.

C’è ancora di più, alla fine. Qui entra in campo la politica, quella con la “P” maiuscola, che ancora non si riesce ad intravvedere, a livello europeo e mondiale, riducendosi spesso a mosse isolate, non adeguate alla bisogna, in alcuni casi generiche e in altri, addirittura avventate. Si è avuta l’impressione, più volte, in Libia, ma poi anche in Iraq, in Siria, in Medio Oriente, che ognuno si adoperasse per combattere il “nemico”, ma in realtà, perseguendo un proprio interesse, talora non compatibile con quelli degli altri e, in ogni caso, da essi indipendente. Ci vuole una “politica europea” e ci vuole un politica mondiale. Bisogna finirla con l’idea che con i bombardamenti si risolve tutto ed, a maggior ragione, con il sistema che ognuno bombarda per conto proprio (e per ragioni sue). Questo, non serve a nulla, neppure contro la forma più organizzata (il Califfato), ma a maggior ragione contro il “nemico” isolato, diffuso, che colpisce all’improvviso, in questo o quel Paese. Se non si costruisce un fronte veramente compatto, che contrapponga alla violenza mortale e alla volontà di dominare il mondo, una barriera che sappia al tempo stesso muoversi sul terreno militare e su quello dell’intelligence, avremo altri lutti e altri attentati e continueremo a disperarci, senza costrutto. E’ possibile, è necessario, realizzare, almeno su questo, una vera unità di intenti, senza retropensieri e senza interessi più o meno confessabili. Se questa “guerra” è contro

tutti, occorre che siano proprio “tutti” a reagire, a impegnarsi, perché solo così si può pensare di vincerla. E si deve vincerla, in nome dell’umanità, della solidarietà e della fratellanza. Parole forse nuove per alcuni governanti, che hanno perso, anche in Europa, l’abitudine di usarle, ma che dovranno crescere nella mentalità collettiva degli Stati e dei cittadini di tutti i Paesi del mondo. Insomma di fronte al fenomeno drammatico di giovani che si esaltano e uccidono sulla base di princìpi inesistenti, bisogna riaffermare il contenuto ed il significato dei valori veri, quelli della nostra democrazia e della nostra civiltà.

Certo, ha ragione Claudio Magris, quando ci ammonisce che “la violenza va repressa con la violenza, ma anche esorcizzata con l’insegnamento del rispetto reciproco”, e, se posso permettermi un’aggiunta “con l’insegnamento dell’esigenza assoluta di rispetto dei diritti umani, delle ragioni della cultura e delle ragioni della civiltà”.

So che tutto questo rappresenta un impegno nuovo e diverso rispetto al passato e che per perseguire simili obiettivi bisogna riuscire a mettere da parte, tutti, una serie di pregiudizi e di interessi personali (di singoli e di Stati). Se davvero si tratta di una guerra “globale”, l’unica risposta sicura non può che essere, a sua volta, “globale”.

Voglio soffermarmi un momento, prima di concludere, su un altro aspetto, estremamente pericoloso, che può essere determinato (e lo è già in qualche modo) da vicende come quelle di cui stiamo parlando.

La Polonia, per fare un esempio, ha già dichiarato che “di fronte a questi fatti, non si possono più accettare stranieri” e non è certamente un caso isolato. Sono in molti ad avere interesse a inserire il “nemico” invisibile, in un’area ben precisa, che è quella dei migranti. Non importa che già sia dimostrato che fra gli assassini emergono figure di cittadini europei, francesi, belgi e così via; la speculazione è troppo a portata di mano perché non ne approfittino i razzisti, gli xenofobi di sempre. Io sono d’accordo che qualche misura vada presa, prontamente, da tutti gli Stati per accelerare, al massimo, le procedure di identificazione e riconoscimento di chi vuole entrare in un Paese che non è il suo. A questo si sarebbe dovuto provvedere da un pezzo, nell’interesse di tutti; ma ci sono ritardi enormi. Questa è una misura da adottare finalmente dagli Stati europei se davvero temono l’ingresso di soggetti pericolosi e “non identificabili”.

Al di là di questo, che corrisponde a razionalità e perfino a ragioni umanitarie (oltre a quelle di sicurezza), non c’è alcuna ragione per opporre barriere a tanta gente che fugge proprio da violenza, terrorismo, fondamentalismi e guerra. Chi specula su questo dimostra, ancora una volta, il suo vero volto che è solo sempre quello del razzista; e come tale va trattato. E il razzismo, come è noto, è – assai spesso – anche l’anticamera del fascismo. Bisogna rispondere, dunque, anche con un lavoro di grande informazione e di formazione culturale, per impedire che certe idee, spesso non spontanee ma incrementate e diffuse ad arte, attecchiscano, sulla scia dell’orrore e della paura. Anche sotto questo profilo, ci incombe il dovere della chiarezza.

Il nostro ruolo, quello di una Associazione che si basa sui valori fondanti della nostra Repubblica, è quello di pretendere, con forza, che si faccia tutto quanto necessario per garantire la sicurezza dei cittadini, senza cedere di un millimetro di fronte alle intimidazioni ed agli assalti; rendendo evidente, nel contempo, che occorre anche la collaborazione e l’impegno fattivo di tutti, cittadine e cittadini e c’è anche – e va sottolineato con forza – il dovere di respingere, con altrettanta forza, i tentativi di chi pensa di approfittare di una drammatica “guerra mondiale”, del tutto innovativa rispetto alle precedenti, per realizzare i loschi obiettivi che sono tipici del peggior razzismo.