Da questa terra è partito il nuovo Paese – 10 settembre ’43, a Brindisi i Topi del deserto

Brindisi, porto interno dopo 8 settembre 1943, seno di ponente, Cant Z 506 della 288^ Squadriglia, sullo sfondo, il Collegio Navale e il Monumento al Marinaio e le navi scuola Amerigo Vespucci e Cristoforo Colombo

 

Il prof. Vito Antonio Leuzzi ricorda le rappresaglie tedesche e la resistenza degli operai tarantini

L’importanza che la Puglia e Brindisi in particolare ebbero, dopo l’armistizio, nel cammino dell’Italia verso la nuova identità nazionale è sottolineata da Vito Antonio Leuzzi, storico e direttore dell’Ipsaic (Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea), oltre che curatore di diversi volumi che hanno trattato il periodo della resistenza. Un ruolo, quello del nostro territorio, che spesso sembra essere dimenticato dalla storiografia nazionale.

Con l’arrivo del re, il territorio salentino e quello pugliese diventano cruciali nella  vita politica del Paese. Con quali risvolti?

«Il porto di Brindisi fu ben difeso sin dalle ore immediatamente successive alla firma,pur in assenza di disposizioni precise. I primi ordini diretti arrivarono intorno air 11 settembre, con i comunicati di Badoglio attraverso Radio Bari che per la prima volta indicavano i tedeschi come nemici. Loro, d’altro canto, si erano arroccati dalle parti di Ceglie Messapica, da dove potevano dominare la pianura circostante, ma lì furono respinti dall’esercito e si guardarono dall’intervenire. Precedentemente, avevano distrutto la postazione di Leuca e l’antenna radio a Montesardo. Va ricordato anche che tra le prime forme di resistenza c’è anche quella di Taranto, con gli operai dei cantieri navali».

Si può dire che da qui sia nato lo spunto per la lotta di liberazione  dell’Italia?

«La resistenza in quella fase è partita da questo territorio, anche se non c’è stato mai alcuno scontro tra gente che apparteneva alla stessa popolazione. I tedeschi misero in atto diverse rappresaglie, come la distruzione dell’acquedotto all’altezza dell’Alta Murgia, con

alcune città che rimasero a secco per diverso tempo. Ci sono state anche diverse indagini degli alleati sui crimini di guerra iniziati dai nazisti proprio in Puglia».

La popolazione, perciò, era sin da subito dalla parte degli alleati?

 

«Gli angloamericani, con loro grande sorpresa, trovarono Brindisi e Taranto che di fatto erano state liberate dagli stessi italiani, contrariamente a quanto accadde altrove, dove ci furono diverse perdite. L’intera Puglia fu libera in pochi mesi».

A livello delle diverse strutture sociali, quali furono i cambiamenti più evidenti che hanno preso il via in quel periodo?

 

«Ci fu una ripresa importante della vita politica e sindacale, l’Italia si avvicinava ad essere una vera e propria democrazia. Lo stesso Comitato di Liberazione nazionale a Brindisi fu uno dei primi a mobilitarsi, indicando la necessità di una svolta politica».

Come si svilupparono, invece, le relazioni internazionali?

«Sul piano dei rapporti con gli altri Paesi, in questo periodo il comando di Algeri, guidato dal futuro presidente americano Eisenhower, era preoccupato dal rispetto delle clausole dell’armistizio: Brindisi, Taranto e Bari si dimostrarono vicini agli angloamericani e lo fecero in maniera spontanea. In questo contesto, fu importante il contributo dei cantieri navali di Brindisi e Taranto, che ripararono le navi alleate a tempo di record».

Il dibattito sul ruolo di Brindisi, se effettivamente possa essere considerata o meno capitale, è ancora un capitolo aperto nel mondo della storiografia.

«Al di là di tutto, senza entrare troppo nel dettaglio di questo dibattito, va riconosciuto che a partire da questo periodo specifico, l’Italia ha iniziato un nuovo corso: a Brindisi come al resto del territorio bisogna dare atto di quanto è stato fatto, senza scadere nella retorica ma analizzando gli avvenimenti. Una nazione nuova è nata proprio a partire da questa terra: la Puglia rappresenta il seme dell’Italia libera».

 

Intervista di Francesco Trinchera pubblicato su  Quotidiano del 10 settembre 2013-09-10

 

 

Poposki su di una jepp

 

 

 

10 settembre 1943

La città di Brindisi si arrende ai Topi del deserto !….

…dopo 70 anni uno squarcio sui misteri dell’arrivo del Re a Brindisi.

 

E’ importante per una città come Brindisi, che si fregia dell’esser stata per cento giorni la Capitale del “regno del Sud”, che molti dei luoghi comuni sull’8 settembre, la fuga del Re da Roma e il suo arrivo a Brindisi siano messi da parte e che si faccia chiarezza anche sugli aspetti più nascosti di quelle vicende, contribuendo a restituire alla città la sua corretta memoria storica.

Una memoria che solo oggi è confortata non solo dalle pur poche testimonianze orali ma anche dai documenti ufficiali che ultimamente, dopo decenni, sono stati resi accessibili dagli Alleati ed in particolare dagli inglesi sul ruolo che ebbero le diplomazie, i servizi segreti ed i condizionamenti che la Monarchia e la classe politica che in seguito governò l’Italia dovettero subire, in nome della spartizione dell’Europa tra i vincitori del Secondo Conflitto mondiale.

Gli americani a Salerno e gli inglesi a Taranto

Nei due giorni successivi all’armistizio molte cose accadono nell’Italia del Sud: gli americani con un ampio dispiegamento di forze aeronavali sbarcano a Salerno, fiduciosi di raggiungere Roma in pochi giorni, subito smentiti dalla accanita resistenza delle truppe tedesche che contenderanno ad essi , sino al 25 aprile del 1945, ogni palmo del territorio italiano.

Gli inglesi, a cui le sorti della monarchia italiana stanno più a cuore, sbarcano senza colpo ferire a Taranto, onde rendere sicuro una parte del territorio italiano che possa accogliere Vittorio Emanuele, la sua corte e barattare la continuità della monarchia sabauda con l’acquiescenza della futura Italia alle mire imperiali inglesi.

Sono navi americane quelle che, scortando i parà della 1° divisione aerotrasportata inglese, attraccano l’8 settembre a Taranto. Da una di esse, l’incrociatore Boise, reduce dalle battaglie aeronavali contro i giapponesi nel Pacifico, sui moli della città dei due mari vengono calate delle strane automobili, irte di mitragliatrici e senza insegne, salvo uno stemma simile ad uno astrolabio apposto sul radiatore.

Gli stessi uomini che le prendono in consegna hanno un aspetto poco militare, più simili a dei predoni del deserto che ad appartenenti all’Esercito imperiale di Sua Maestà Britannica. Su quella specie di uniforme che portano indosso non hanno gradi, non si salutano militarescamente ed è impossibile ad un primo colpo d’occhio comprendere chi li comanda. Sono poco meno di 100 e si definiscono “l’ Armata Privata di Pospki” , dal soprannome dato al loro comandante ed ideatore di questa particolare unità delle SAS, il belga di origini russe Vladimir Peniakoff.

Questi uomini per anni sono stati la bestia nera dei soldati italiani e dei tedeschi dell’Afrika Korps in Libia. Con le loro jeep WILLIS “taroccate” hanno attaccato le retrovie dell’Asse colpendo depositi di munizioni e carburante di Rommel, distruggendo aerei, seminando il terrore lungo le vie di rifornimento e guadagnandosi insieme ai loro colleghi delle SAS l’appellativo di “Topi del deserto”.

La mattina del 10 settembre1943, agli uomini di Popski, è dato un compito ben diverso ma forse ancor più importante: accettare formalmente la resa dai comandanti militari dell’Esercito e della Regia Marina della piazzaforte di Brindisi e comunicare ciò al Comando inglese a Taranto , in maniera tale che la corvetta Baionetta con il Re a bordo possa entrare in sicurezza in città. ( Visto che da Bari giungono notizie contrastanti di scontri con i tedeschi e sull’atteggiamento infido dei comandanti della Milizia territoriale, mentre gli aerei nazisti hanno sorvolato il convoglio reale col rischio di attaccarlo e ripetere la tragedia della corazzata Roma).

E’ una corsa contro il tempo che solo un’uomo come Popski può vincere e ancora una volta la sua fama sarà confermata. Nel loro tragitto da Taranto a Brindisi , le jeep dei Topi del deserto si fermano solo a Francavilla Fontana per accettare la resa del distretto militare del Salento da un generale dell’Esercito, poi l’ingresso a Brindisi dove, nel Castello, sede della Marina, è un ammiraglio a firmare l’accettazione delle clausole dell’armistizio ed ordinare che per le strade di una città semideserta si dispieghino bandiere inglesi affiancati al tricolore.

I servizi segreti in azione

Tocca ora ai servizi segreti gestire l’operazione “ sbarco del Re”, che formalmente naviga su una nave italiana ed è scortato dall’incrociatore Scipione e non accetterebbe ordini che da un comando italiano.

Il via libera dato dalle radio delle jeeps di Popski, giunto alla sezione di ascolto del Comando inglese a Taranto è ritrasmesso alla Baionetta, in codice, dai radiotelegrafisti inglesi del servizio segreto SOE, presenti in città e sbarcati insieme alle truppe inglesi .

Quell’uomo misterioso sulla Baionetta.

Al seguito del re, c’è un giovane silenzioso, che pur non indossando nessuna divisa ha accesso alla cabina radio della nave. Chi è questo ragazzo dai lineamenti delicati che parla l’italiano con un forte accento toscano e a cui piace bere del buon Chianti?

E’ Richard “Dick” Mallaby, il primo agente segreto inglese del SOE lanciato sul territorio italiano nell’agosto del 1943 per organizzare la Resistenza, catturato sul lago di Como dal SIM , il servizio Segreto Militare (l’alter ego monarchico della famigerata OVRA) e divenuto in pochi giorni l’anello fondamentale , grazie alla sua radio e ai suoi cifrari, dei contatti tra monarchia ed Alleati per i colloqui e la conseguente firma dell’armistizio reso pubblico l’8 settembre . Quest’ uomo, che avrebbe dovuto in altri tempi esser fucilato all’istante, viene accolto come la manna caduta dal cielo da un Badoglio in difficoltà dopo la caduta della Sicilia.

“Dick” dalla cella dei servizi segreti è direttamente condotto al Ministero della Guerra a Roma da dove, con la sua radio contatta gli alleati, accompagna il generale Castellano a Cassibile, assiste alla firma dell’armistizio, ritorna a Roma e l’8 settembre insieme a 53 dignitari sale con il Re sulla Baionetta, riceve via radio da Taranto in codice l’OK per l’attracco in sicurezza della Baionetta Brindisi, ponendo fine alla rocambolesca, se non grottesca, fuga del Re.

Un giovane agente che, appena sbarcato con la sua radio ed i cifrari è condotto in una torre del Castello Svevo da dove immediatamente si mette in contatto con la base algerina del SOE :

“-Missione compiuta! Il Re è sotto la custodia degli inglesi!”_

Poche ore dopo, ad affiancarsi a lui giungeranno da Taranto e via mare altri agenti segreti e Brindisi, per la durata dell’intero conflitto, diverrà parte integrante di una, sin ora poco conosciuta, guerra segreta ai nazisti in tutta l’Europa occupata, al fianco dei movimenti di Resistenza compresa quella Italiana. Una storia che come ANPI ( Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Brindisi vorremmo far rendere partecipi le giovani generazioni, la cittadinanza e le istituzioni in un cammino ideale che ci porti da oggi, sino al 25 aprile del 2015 a festeggiare il 70esimo della liberazione dell’Italia dal Nazifascismo.

 

(Di Antonio Camuso pubblicato sul Quotidiani di Brindisi il 12 settembre 2013)

 

 

Periakoff Poposky

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settembre 1943, la fuga del re, Brindisi capitale a metà? Luci e ombre senza retorica

10 luglio 43 Sicilia Scherman
Il 10 settembre di 70 anni fa a Brindisi giungeva, a bordo di una nave, il re Vittorio Emanuele III° , in fuga da Roma dopo l’armistizio reso noto l’8 settembre. C’è il rischio che su questa vicenda, complici il tempo e la caduta di ruolo della città, si possa abbattere un’ondata di retorica che non fa i conti con i fatti e la realtà, “Brindisi capitale” può essere un titolo suggestivo, è di sicuro un tema interessante a condizione che la ricostruzione dei fatti sia sfrondata dall’enfasi e descriva fatti realmente accaduti.
Dal tragico 8 settembre ’43 prende l’avvio quel lungo, sanguinoso e durissimo processo che portò, anni dopo, l’Italia alla democrazia e alla repubblica, non vi è dubbio che erano molte le speranze di democrazia degli antifascisti, addirittura sin dal 25 luglio e dalla caduta di Mussolini, ma altrettanto non si può dire del re e del governo di Badoglio che, con la firma dell’armistizio, sicuramente avevano in testa l’idea di salvare un’Italia monarchica e reazionaria, depurata soltanto dalla ormai ingombrante figura di Mussolini. Brindisi quindi dal quel settembre ’43 rappresentò per alcuni la speranza in prospettiva di vedere una nazione democratica, per altri un luogo d’Italia da cui ritessere una strategia per la conservazione del vecchio potere, aldilà delle responsabilità e le compromissioni con il regime fascista antidemocratico che aveva portato alla fame, alle guerre coloniali e allo sciagurato secondo conflitto mondiale. Ci sarebbero dovuti volere altri 20 mesi di Resistenza e  di una guerra di Liberazione affianco degli anglo americani per liberare il Paese.
I brani seguenti hanno lo scopo di raccontare le cose vere attorno a Brindisi, il ’43, l’8 settembre e il Regno del Sud, Antonello Sacchetti spiega in modo sintetico gli eventi di scenario ed i complessi eventi attorno alla data dell’8 settembre,  la guerra sciagurata, l’armistizio firmato in silenzio con gli anglo americani, oltre che la fuga del re da Roma, il generale opportunismo suo e della sua cerchia . Francesca Mandese racconta e descrive “Brindisi capitale a metà” in termini realistici come una città piegata dalla guerra, i bombardamenti, rarefatta per via dei numerosi sfollati, la fame e l’angoscia per i molti cittadini in guerra dispersi sui diversi fronti, in questo scenario, in questa sperduta città di provincia, diventa la sede del Governo dopo l’8 settembre, un Governo si badi bene che è ancora lontano dall’avere contenuti democratici, anche perché realizzato dal regime di occupazione militare; a tale proposito è prezioso lo scritto di Franco Stasi che ricostruisce nello stesso periodo i primi passi del Comitato Provinciale di Liberazione, è significativo, per definire il “tasso di democrazia del periodo” sapere che la prima manifestazione pubblica dei partiti antifascisti in città viene autorizzata per il 19 marzo del ’44. Il punto di vista degli alleati è riportato nelle pagine di David Stafford storico inglese, dove si narra dell’arrivo a Brindisi dell’unità di sabotaggio inglese, ma anche di una singolare presenza inglese, “un giovanotto alto e biondo” a bordo della nave Baionetta.
Brindisi, autunno ’43 hangar dell’idroscalo, Vittorio Emanuele III

8 Settembre 1943: la fuga del Re

Le trattative con gli anglo americani cominciano ad agosto. Vittorio Emanuele III è in contrasto con il proprio stato maggiore, propenso ad accettare la resa incondizionata. Il re la giudica un’esplicita condanna della monarchia e la rifiuta. Pretende garanzie per la dinastia ed arriva addirittura a chiedere il ripristino dell’impero coloniale italiano in Libia, Somalia ed Eritrea. Spera poi che le operazioni militari alleate si concentrino in Francia e nei Balcani, lasciando in pace l’Italia. Si tratta di pretese assurde. Dal punto di vista strategico, gli alleati vogliono costringere Hitler a concentrare truppe in Italia per distoglierle dalla Normandia (dove era già in programma lo sbarco decisivo) e dalla Russia. Gli Alleati non hanno poi motivo di difendere i Savoia. Il Ministro degli esteri inglese Anthony Eden scrive: “Il nostro atteggiamento verso Casa Savoia è improntato a cautela perché è così screditata che non esercita sugli italiani la sua antica attrattiva”. Il re, oltretutto, continua a tergiversare anche sul fronte interno. Permette a Badoglio di abolire il Partito Fascista, ma gli impedisce di arrestare i gerarchi. Rimangono in vigore le leggi razziali e le norme che proibiscono la costituzione di partiti politici. Molti fascisti rimangono in carcere, altri vengono arrestati. Un ministro arriva a dire che il nuovo regime “è più fascista del vecchio”. In un clima di indecisione ed improvvisazione, le trattative proseguono a rilento. Gli Alleati hanno più volte la netta sensazione che il re sia interessato a difendere soltanto le sue prerogative. Il comandante delle forze alleate Dwight Eisenhower avverte gli italiani che lo sbarco nella penisola è imminente e non c’è più tempo per trattare. Il 3 settembre il Quirinale si rende conto che ormai è possibile soltanto la resa incondizionata. Il giorno stesso a Cassibile, in Provincia di Siracusa, il generale Giuseppe Castellano firma per l’Italia l’armistizio con gli Alleati. L’accordo, che prevede la fine dell’alleanza con la Germania e la consegna agli anglo americani della flotta e dei porti del meridione, deve rimanere segreto fino al nuovo sbarco alleato, programmato a Salerno per l’8 settembre. Gli Alleati si aspettano la collaborazione dell’esercito italiano, ma i vertici militari riprendono a tergiversare. Vittorio Emanuele, in preda al panico, l’8 settembre convoca il consiglio della corona. La maggioranza è pronta a non adempiere agli obblighi assunti con Eisenhower. La decisione sta per essere messa a verbale, quando un ufficiale subalterno fa notare che la firma dell’armistizio è stata filmata e fotografata dagli americani. Un dietrofront sarebbe a questo punto letale per la monarchia. Dopo una breve riflessione, Vittorio Emanuele ordina a Badoglio di rendere pubblico l’armistizio. Radio New York ha già trasmesso la notizia ed è cominciato lo sbarco a Salerno. In tarda serata Badoglio si reca negli studi dell’Eiar e legge l’ambiguo comunicato (non prima della fine di una trasmissione di musica leggera): “Ogni atto di ostilità contro le forze anglo americane deve cessare da parte delle forze italiane. Esse però reagiranno ad altri attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Ancora il 9 settembre, i giornali parlano di successi contro il “nemico anglo americano”. La grande fuga La mattina del 9 settembre il re e Badoglio fuggono verso Pescara. Prima di partire distruggono gli archivi del ministero degli Esteri e della Guerra, ma non danno alcuna disposizione ai ministri e ai comandi militari. Alle porte di Roma si registrano i primi scontri tra italiani e tedeschi. In sei settimane il governo non ha preparato alcun piano di emergenza. E’ l’inizio di una tragedia immane. I soldati italiani, rimasti senza superiori e senza ordini, sono facili vittime delle rappresaglie tedesche. Il re fugge verso Brindisi. Durante la traversata, il 10 settembre, invia un telegramma all’ottantunenne maresciallo Enrico Caviglia, con l’ordine di coordinare la difesa di Roma. Il telegramma non arriva a destinazione, ma è stato comunque spedito troppo tardi. Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da paracadutisti tedeschi. Il duce definisce il re “il più grande traditore della storia d’Italia”, colpevole di aver fatto entrare in Italia un esercito di “ottentotti, sudanesi, indiani venduti, negri statunitensi ed altre varietà zoologiche”. Una volta a Brindisi, Vittorio Emanuele diffonde una dichiarazione in cui spiega la fuga come atto necessario per la salvaguardia di un governo libero, dicendosi pronto a morire per la difesa del suo Paese. Il 23 settembre scrive al re d’Inghilterra e al presidente Roosevelt. Si dice fedele al regime parlamentare ed auspica una veloce avanzata degli anglo americani in modo da ritornare presto a Roma. Soltanto il 13 ottobre, dichiara guerra alla Germania. Rimprovera comunque Badoglio per non aver barattato questa decisone con qualche concessione territoriale da parte degli Alleati. Tenta poi di imporre Grandi come ministro degli Esteri, presentandolo come “un simbolo del movimento antifascista”. L’operazione è bloccata dagli anglo americani che ormai non hanno più nessuna fiducia in lui. A corte, in molti suggeriscono al re di abdicare per salvare la monarchia. Vittorio Emanuele rimane però geloso della sua posizione. Vuole essere ancora un re che governa. Intanto il Paese conosce la tragedia della guerra civile. A Salò, Mussolini guida la Repubblica Sociale, stato fantoccio filo nazista. La guerra durerà ancora un anno e mezzo.
(di: Antonello Sacchetti/Grandinotizie.it http://www.storiaxxisecolo.it )

Brindisi capitale a metà – settembre 1943- febbraio 1944

2. Perché proprio Brindisi, questa sperduta città di provincia più vicina all’Oriente che all’Europa? Quali furono i motivi che fecero assurgere la città pugliese all’altissimo ruolo di sede del Governo? Forse la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: Brindisi era, in quei giorni, una delle pochissime città in Italia ad essere completamente libera. I tedeschi, infatti, erano ancora in Puglia, nei pressi di Bari, e a Taranto erano già giunti gli Alleati. Il territorio nazionale senza “invasori” era praticamente ridotto alla zona di Brindisi.
Subito dopo l’armistizio e lo sbarco alleato a Salerno, i tedeschi cominciarono a temere di rimanere completamente accerchiati dalle truppe anglo-americane nel sud dell’Italia e senza alcuna via di uscita. Cominciarono così a risalire la penisola. Anche Brindisi, solo poche ore dopo la divulgazione dell’armistizio, fu abbandonata dai soldati tedeschi.
“Di guarnigioni tedesche ‘alleate’, alla vigilia dell’8 settembre 43, non si notano più le tracce. Ai ‘Caracci’ (una contrada che è ora incorporata nel colosso del Petrolchimico), di fronte ad una masseria semidiroccata (che serviva da rifugio ad alcune famiglie brindisine), c’erano alcuni
capannoni militari con non più di un centinaio di soldati tedeschi. Il giorno dell’armistizio erano svaniti nel nulla.
Dei contadini raccontarono di aver visto quattro-cinque autocarri che nottetempo si dirigevano verso Bari. Nei capannoni non fu trovato quasi nulla: solo dei brandelli di stoffa kaky, barattoli vuoti, una montagnetta di bucce di patate e torsoli di pane nero”-. Così, alla chetichella, gli ex
alleati abbandonarono Brindisi, mentre gli anglo-americani non l’avevano ancora raggiunta. La cosa più importante era, però, che Brindisi aveva un Comando Marina, che poteva fornire al Governo fuggiasco una infrastruttura organizzativa davvero preziosa.
All’arrivo della famiglia reale la situazione a Brindisi non era molto diversa da quella di tutte le altre città italiane. “Una città prostrata per i ripetuti bombardamenti: sulle carni dei suoi abitanti i segni delle ferite … E dei circa 50 mila cittadini, più della metà sono fuori: chi in campagna,
da dove la sera assistono sgomenti ai fuochi divampanti su una città che è zona ‘altamente strategica’; chi nei paesi più vicini, ma almeno sicuri: Mesagne, Oria, Francavilla Fontana, Ceglie Messapico. E intanto si fa una prima conta dei danni materiali: su un totale di 15.160 vani che risultano censiti nel ’40, tremila risultano distrutti dai bombardamenti; 2.095 sono quelli danneggiati o resi inabitabili”.
È in questa città prostrata e distrutta che nasce “il piccolo Quirinale di Brindisi: una reggia per cinque mesi, che ospiterà il Re d’un Regno di quattro province. Brindisi, Bari, Lecce e Taranto. I resti di un impero liquidato in tre anni”.
“Il popolo italiano è tutto stretto attorno al suo Re” scrisse Badoglio, quel 10 settembre, nel telegramma inviato ad Eisenhower. “Il popolo italiano era invece tutto lì: quello disponibile sulla piazza di Brindisi: e non era proprio una gran folla se si considerano i caduti in guerra e
sotto le macerie, gli sfollati, i “separati” e i rivoluzionari che cominciano ad organizzarsi in partiti politici.
Quanto ai soldati, ai marinai, c’è un generale lassismo;perfino le divise sono raccogliticce e a molti mancano le scarpe”.
Ciononostante l’interà città aprì i suoi battenti agli inattesi ospiti, mise a loro completa disposizione mezzi, strutture e ospitalità.
da: Francesca Mandese  Brindisi capitale a metà – settembre 1943- febbraio 1944, Taeanto 1994 Pag 17-21
Brindisi 13 settembre '43, cadetti della R. Marina sbarcano dal Saturnia

9 agosto ’43 nascita formazione e attività del comitato provinciale di liberazione

[..]. La vita politica in quei mesi si presentava incerta e confusa: vi contribuivano in maniera decisiva il permanere dello stato di guerra e l’ambiguo atteggiamento assunto dalla Monarchia dopo l’allontanamento del duce.
Anche a Brindisi è solo nel mese di agosto di quella calda estate del ’43 che i principali esponenti dell’antifascismo locale  si riuniscono per la prima volta ufficialmente nello studio dell’avv. Vittorio Palermo, per formare «un comitato provinciale di concentrazione antifascista» e per costituire « un primo nucleo del Comitato stesso » da allargare poi « con elementi di sicura fede e di condotta patentemente antifascista che, dalla destra alla sinistra, si attengano alle direttive seguite dal Comitato Centrale del Fronte Nazionale ».
Uomo di punta del comitato stesso appare sin dall’inizio l’avv. Vittorio Palermo, militante comunista.
Nell’aprile del ’41, coinvolto nelle indagini condotte sull’attività del gruppo di Tommaso Fiore in Puglia e già in precedenza ripetutamente diffidato egli era stato prelevato nella sua casa di Latiano dal commissario regionale dell’OVRA. In seguito era stato trasferito e trattenuto alcuni giorni nel carcere di Bari. Qui era venuto in contatto con alcuni dei più importanti tra quelli che sarebbero poi diventati i suoi amici antifascisti, con i quali non avrebbe più interrotto i collegamenti allora allacciati. Tra essi l’avv. Michele Cifarelli, l’avv. Domenico Pastina di Trani, gli avv. Vito Mario Stampacchia e Michele De Pietro di Lecce ed altri, tutti arrestati a seguito del ritrovamento da parte della polizia politica di un elenco del prof. Fiore di tutti gli antifascisti nazionali e regionali che si avvicendavano nella sua casa di via Q. Sella a Bari.
Attorno a Palermo, già da questa prima riunione del 9 agosto 1943 ritroviamo altre figure dell’antifascismo brindisino del periodo della clandestinità; tra esse l’ing. Sala, l’avv. Giovanni Stefanelli, Guglielmo Cafiero, che insieme con i vari De Tommaso, Mauro, Prampolini, Ribezzi, Ostuni e Patrono avevano costituito il cuore forte dell’opposizione al regime e il tramite con ambienti antifascisti che operavano al di fuori della provincia ed ai quali alcuni di loro erano legati da rapporti di parentela, di fraterna amicizia o di lavoro e di studio.
Le linee di azione lungo le quali si muovono, immediatamente dopo la caduta di Mussolini, questi primi riorganizzatori del tessuto democratico nella nostra provincia sono comunque già da allora abbastanza chiare ed in linea con le analoghe richieste che il Fronte Nazionale Antifascista e successivamente il Comitato Nazionale di Liberazione portarono avanti sul piano nazionale.
1°) collaborare con il governo Badoglio;
2°) contribuire all’opera di epurazione degli elementi fascisti o compromessi con il fascismo;
3°) lottare contro il nazismo;
4°) fare propaganda in favore di una pace separata.
2. – Attiva sarà la mobilitazione del Comitato provinciale di Brindisi attorno a questi temi.
Già nella quarta seduta, quella del 19 agosto, infatti, si decise « di rivolgere le prime istanze al Governo per la rimozione delle cariche civili, amministrative e sindacali della provincia tenute ancora dalle più note personalità fasciste »7, mentre nella successiva riunione del 24 agosto i componenti del Comitato « dopo ponderata discussione » compilano « l’elenco dei fascisti e profittatori del fascismo indebitamente arricchiti, onde poterlo segnalare alle autorità competenti».
È noto tuttavia che trovava scarsa eco nel re e nel governo Badoglio l’insistenza con cui i partiti antifascisti chiedevano che si procedesse con urgenza ed in modo efficace ad allontanare dai più importanti centri di direzione e di controllo dell’amministrazione pubblica e della vita politica ed economica del Paese i gerarchi fascisti e quanti si erano gravemente compromessi col passato regime.
Per non ricordare che un aspetto soltanto di questa esplicita volontà di mutare il meno possibile gli equilibri politici del Paese si consideri che ben poco mutò, fra il 25 luglio e 1’8 settembre 1943, fra i prefetti che in precedenza erano stati nominati dal governo fascista nelle diverse province.
A Brindisi, ad esempio, il prefetto Pontiglione, già in carica prima del 25 luglio, fu allontanato dal suo posto solo alcuni mesi dopo la « svolta di Salerno » e la costituzione del primo governo di unità nazionale; tra Testate del ’43 e la primavera del ’44 era rimasto al suo posto nonostante le gravi accuse di parzialità e di connivenza con esponenti del passato regime, in vario modo camuffati, rivoltegli unanimemente dalle forze antifasciste.
D’altro canto i limiti imposti dal regime di occupazione militare alleata e dalle autorità di governo al libero dispiegarsi dell’attività politica (a Brindisi bisognerà attendere il 19 marzo 1944 perché possa svolgersi la prima manifestazione pubblica autorizzata dei partiti
antifascisti) oltre ad una diffusa incertezza sul futuro del Paese, impedivano che l’attività del C.P.L. trovasse larga eco nell’opinione pubblica. Non manca, pertanto, tra questi attivi ma numericamente esigui gruppi antifascisti militanti una certa sensazione di isolamento, se è vero che il 9 settembre — proprio cioè all’indomani della firma dell’armistizio e della fuga a Brindisi del governo Badoglio e del re Vittorio Emanuele — ci si riunisce « per discutere sulla opportunità di organizzare una dimostrazione in favore dell’armistizio concluso dall’Italia con le Nazioni Unite; nonché la divulgazione di un manifestino che — espresso il plauso per la realizzazione di uno dei postulati del Fronte Nazionale — inciti la cittadinanza a prendere sempre più netta posizione contro i veri nemici interni ed esterni dell’Italia ».
Le proposte saranno approvate all’unanimità ma non potranno trovare pratica realizzazione per il divieto delle autorità militari e politiche italiane, ben presto notificato all’avv. Palermo.
Primo atto questo di una lunga serie di boicottaggi e difficoltà che il governo Badoglio frapporrà all’attività e alle iniziative del Comitato provinciale di liberazione, aldilà della dichiarata disponibilità a collaborare rimasta sempre e soltanto verbale e nonostante l’ostinazione con cui gli antifascisti brindisini, che nel frattempo andavano aumentando di numero e ramificandosi in tutto il territorio provinciale, si batteranno per la realizzazione dei loro obbiettivi.
Scarso successo ha infatti l’iniziativa presa dall’avv. Felice Assennato, su mandato del C.P.L., per sollecitare la liberazione di elementi antifascisti italiani e stranieri ancora trattenuti nelle carceri di Brindisi mentre l’elenco delle autorità civili, amministrative e sindacali del capoluogo di provincia e dei comuni segnalati al Prefetto di Brindisi in sostituzione dei vecchi elementi fascisti dal Comitato provinciale solo in parte — e per di più molto esigua — sarà tenuto in considerazione dal rappresentante del Governo.
Sicché ben presto l’attività del Comitato di liberazione provinciale rischia di esaurirsi in un lavoro che è prevalentemente di organizzazione interna del fronte antifascista sia nel capoluogo e sia negli altri comuni della provincia, in cui si vanno costituendo analoghi comitati, ovvero di mera propaganda per la costituzione di « Legioni Volontarie » per la lotta al nazifascismo, per il sostegno economico da dare ad esse e per il loro armamento.
Di questo rischio acquistano rapidamente coscienza gli stessi componenti il Comitato, i quali — nella loro tredicesima seduta del 29 settembre — danno mandato ad una loro apposita rappresentanza di « esprimere al Prefetto una protesta formale circa la parziale accettazione della lista concernente le nomine civili e sindacali ».
Si comincia anche a discutere sulla opportunità o meno di consentire che accettassero l’incarico i pochi, fra i tanti indicati dal C.P.L., cui il prefetto aveva affidato responsabilità politiche ed amministrative; in una seduta, alla quale partecipano anche i rappresentanti dei Comitati di liberazione di Lecce e Taranto, il C.P.L. di Brindisi approva in data 5 ottobre un o.d.g. in cui: «si lamenta la sfiducia seguita fino ad ora da parte delle Autorità nei confronti dei Comit.
prov. del Fronte Nazionale; si offre, ancora una volta, la collaborazione sincera ed obbiettiva del Fronte Nazionale nel più alto interesse della Patria; si ripete la richiesta dell’opera di epurazione di tutti gli elementi fascisti; si chiede la revoca delle nomine che non godono
la fiducia dei comitati; il riconoscimento “de facto” dei Comit. Prov. di concentrazione; la facoltà di pubblicare periodici; ed, infine, l’autorizzazione di organizzare le Legioni dei Volontari ».
Proprio a seguito di queste difficoltà, inoltre, cominciano ad insorgere i primi contrasti all’interno dello stesso C.P.L.: mentre, infatti, si invia una seconda lista di persone da sostituire in alcune delicate funzioni civili, amministrative e sindacali del capoluogo e della provincia, si delinea una posizione più intransigente — che fa capo soprattutto all’avv. Palermo — per la quale è opportuno declinare le nomine prefettizie e astenersi « dal continuare a richiedere alle autorità politiche una collaborazione che da queste viene concessa solo di nome ».
da:Franco Stasi  la caduta del fascismo e la ripresa della vita democratica in provincia di Brindisi: nascita formazione e attività del comitato provinciale di liberazione. Fasano 1979 Pag77- 84

le Missioni SOE in Italia 1943-1945

[..] ….gli uomini del Corpo Motorizzato Italiano di stanza a Roma resistettero ai tedeschi sino al omeriggio di venerdì 10 settembre 1943, praticamente proprio nel momento in cui la corvetta Baionetta a entrava nel porto di Brindisi con a bordo il Re e Badoglio.Quanto fosse sicuro il porto di Brindisi non si sapeva ancora, visti i timori avuti in mattinata, quando un bombardiere tedesco li aveva sorvolati senza attaccarli e ….timori che si dissiparono appena sbarcati. Proprio quella mattina un’unità delle meno eterodosse dell’8 armata Britannica , al comando del tenente colonnello Vladimir Peniakoff ( il leggendario Popski) era entrata a Brindisi. Si trattava di un’unità di sabotaggio , costituita da un centinaio di uomini e soprannominata “l’armata speciale Popski”

Il suo comandante aveva discusso i termini dell’armistizio con l’ammiraglio italiano al comando delle forze della città. Il risultato di queste trattative fu che adesso dai balconi e dalle finestre di Brindisi pendeva una miriade di bandiere inglesi , affiancate dal tricolore.

….il giorno dopo arrivarono gli uomini della 1° divisione aerotrasportata inglese[sono quelli sbarcati a Taranto 8 settembre n.d.r.] che presero controllo della città e delle zone limitrofe.

Tra coloro che sbarcarono dalla Baionetta c’era un giovanotto alto, biondo e poco più che ventenne, che non faceva parte né del Regio governo né dell’Alto comando militare. E non era neanche italiano, nonostante lo parlasse perfettamente; quell’uomo era un inglese e si chiamava Cecil Richard Mallaby.

Dick, come lo chiamavano tutti i suoi amici, aveva trascorso in Toscana gli anni formativi della sua vita, nei possedimenti di suo padre (un ex coltivatore di tè in Ceylon che aveva sposato un’italiana), e aveva combattuto nel deserto con i commando. Ma da diciotto mesi a questa parte aveva lavorato per il SOE con mansioni di reclutamento, mentre veniva a sua volta addestrato in tutta la gamma di attività connesse con il servizio, dal sabotaggio al paracadutismo; ed eraappena entrato a far parte del corpo di ufficiali dell’Esercito inglese, col grado di sottotenente. L’aspetto più importante del suo reclutamento consisteva nel fatto che. oltre a essere fluentissimo sia in italiano che in inglese, Dick era un abilissimo radiotelegrafista. Inaspettatamente e imprevedibilmente, questo aspetto del suo addestramento aveva fatto di lui un elemento chiave nelle recenti trattative per l’armistizio.

Non più tardi di un mese prima Dick era stato paracadutato nel lago di Como con un piccolo gommone, con il quale si sarebbe dovuto recare a riva e raggiungere un indirizzo sicuro, una casa nella quale ad attenderlo ci sarebbero state una ricetrasmittente e una lista di nomi e indirizzi da contattare, in modo da stabilire un collegamento tra il SOE e i gruppi locali
della Resistenza. Sfortunatamente, la sera prima la Royal Air Force aveva sottoposto Milano a un pesante bombardamento e tanti sfollati avevano lasciato la città dirigendosi a nord, appunto verso Como. Per agevolare il cammino di queste persone le rive del lago erano rimaste brillantemente illuminate; di conseguenza, anziché calare dall’alto nell’oscurità, il suo
paracadute era stato visto e Mallaby era stato catturato dagli uomini del SIM, il Servizio Informazioni Militari, senza neanche essere riuscito a gonfiare il suo piccolo gommone.

Ma come fortuna volle, questo inaspettato inconveniente accadde proprio all’avvio delle trattative segrete per l’armistizio. Inaspettatamente, Mallaby e la sua radio avevano fornito un elemento cruciale all’operazione, mettendo in atto un validissimo collegamento radio tra gli inglesi e gli italiani.
Dall’ultimo piano del quartier generale dell’Alto comando delle Forze Armate Italiane a Roma, Mallaby, assistito da un abile radiotelegrafista italiano, aveva codificato e decodificato le dozzine di messaggi che erano stati trasmessi e ricevuti, usando un cifrario dal nome in codice «Monkey» (scimmia).
A conclusione di tutto questo si era arrivati alla firma dell’armistizio dell’8 settembre. Gli italiani avevano immaginato (e il SOE si era guardato bene dal contrariare queste loro
supposizioni) che l’arrivo di Mallaby nel lago di Como fosse stato programmato come un’astuta mossa «da parte di quei furbacchioni della British Intelligence» per l’apertura di un
possibile dialogo tra le parti.

Mallaby arrivò a Brindisi portando con sé la sua radio e tutti i codici e cifrari del piano «Monkey», che gli avrebberoconsentito sia di mantenersi in contatto diretto con il SOE che di fornire una comunicazione diretta tra l’Alto comandoalleato e il governo italiano. Gli eventi si muovevano molto rapidamente e la situazione generale era ancora molto confusa. Infatti Mallaby ricevette un messaggio (mentre era ancora in navigazione) da Massingham: «Cerca di stabilire immediatamente contatti con tutte le parti d’Italia. Questa è una cosa
urgente e della massima importanza». Ebbene, entro ore dal loro arrivo a Brindisi, Mallaby e la sua radio si erano installati in una torre del castello di Brindisi, dove solo poche ore prima Popski aveva incontrato un ammiraglio italiano.

Due giorni dopo, quattro uomini che indossavano un’uniforme tropicale arrivarono da Taranto, la base navale italiana, e si insediarono nell’Hotel Internazionale. Anche loro facevano parte del SOE, e avevano con loro un’altra radio e un altro set di codici e cifrari che avevano portato posati su un mucchio di paglia, con dei fiammiferi a portata di mano,
se per caso fossero stati fermati da elementi nemici.



David Stafford: le Missioni SOE in Italia 1943-1945- Mursia editrice 2011, pag 32-33- 34

 

Nel sito con la novità di una pagina dedicata alla Resistenza nel Sud

 

Napoli 1943 barricate

 

Una storia organica della Resistenza nel Mezzogiorno non è stata mai scritta. Si ricordano soltanto le quattro giornate di Napoli della fine di settembre e poco più. Eppure nel breve periodo dell’occupazione tedesca, in Campania, in Puglia, in Lucania e negli Abruzzi si verificarono numerosi episodi spontanei di resistenza militare e civile ai tedeschi. Persino in Sicilia ancor prima dell’armistizio, il 2 agosto del ’43 era esplosa la rabbia popolare contro la guerra e contro i tedeschi.

E ancora prima, nell’agosto del ’42, in Puglia a Monteleone, le donne erano scese in piazza, in modo spontaneo contro la guerra, la manifestazione fu soffocata e provocò un centinaio di arresti.

Infine molti luoghi del Mezzogiorno sono avvenute stragi naziste contro civili italiani, stragi spesso sottovalutate o addirittura dimenticate, stragi che hanno sconvolto il Sud dalla Calabria all’Abruzzo.

L’ANPI di Brindisi raccoglie nel sito con la novità di una pagina dedicata a la Resistenza nel Sud, la pagina contiene documenti e testimonianze accaduti in vari luoghi del Mezzogiorno, pezzi e frammenti di storie di Resistenza al Sud, raccontate da autori diversi, per non dimenticare i sacrifici meridionali di sangue, e di eroismo, nella speranza che qualcuno continui a ricercare.

 

 

 

 

Già l’ANPI nel 2012 si era fatta promotrice di una Mostra documentaria e fotografica “VENTO DA SUD”, che partiva dallo sbarco degli alleati in Sicilia e arriva alla liberazione di Roma, con lo sguardo volto al Sud del nostro Paese, gli oltre 300 documenti selezionati raccontano la guerra, le condizioni difficili delle popolazioni meridionali, le atroci rappresaglie e l’orrore delle stragi di civili, commesse dai tedeschi ,in ritirata, ma anche i momenti di lotta e di diffusa attività anti tedesca e antifascista, a partire dalla vittoriosa insurrezione popolare delle “quattro giornate “di Napoli che liberò la città dai tedeschi, a fine settembre del 1943 o alla rivolta della popolazione di Matera del 21 settembre 1943.“VENTO DA SUD” quindi, con i suoi tredici pannelli, densi di immagini storiche, aveva sviluppato un viaggio meridionale di scoperta e di ricerca della nostra memoria, anche locale, delle radici di libertà, pace, dignità, uguaglianza, solidarietà, da cui nasce la nostra Costituzione democratica, che proprio in questo momento presente è più che mai necessario compiere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inoltre nella pagina Indice della Memoria l’ANPI di Brindisi raccoglie da tempo note biografiche degli antifascisti e dei partigiani della terra di Brindisi.

Adesso nel sito con la pagina dedicata a la Resistenza nel Sud, si intende rendere pubblici frammenti di storie di Resistenza del Mezzogiorno.

Il 25 APRILE 2013 A BRINDISI

Il 25 aprile a Brindisi è iniziato il 24 pomeriggio con l’incontro con Miuccia Gigante

Miuccia Gigante

il 24 aprile alle ore 17.30 presso palazzo Granafei- Nervegna , è avvenuto  l’incontro con Miuccia Gigante e la presentazione , a cura del prof Vito Antonio Leuzzi, del catalogo della mostra su Gigante , prodotta dall’Archivio di Stato , nel 2012.
Miuccia Gigante al tavolo della presidenza
il 24 aprile alle ore 17.30 presso palazzo Granafei- Nervegna , c’è stato l’incontro con Miuccia Gigante poi anche la presentazione , a cura del prof Vito Antonio Leuzzi, del catalogo della mostra su Gigante , prodotta dall’Archivio di Stato , nel 2012.

il pubblico presente all'incontro
Il 25 aprile:

1l 25 aprile alle ore 10 l’ANPI era presente con una propria rappresentanza alla cerimonia istituzionale presso Piazza Santa Teresa per il 68° della Liberazione.
Poi alle ore 11.15 in Piazzetta Sottile, De Falco è avvenuto lo scoprimento della lapide a Vincenzo Gigante , alla presenza delle massime autorità il Prefetto e il sindaco Consales

Verso il 25 Aprile nella città di Brindisi

Il Comune di Brindisi, in collaborazione con la Prefettura, il Comando Marina militare, il comitato provinciale dell’ANPI e l’Archivio di Stato di Brindisi, si fa promotore di un programma di iniziative per celebrare il 25 aprile 2013.

Programma

24 Aprile :

– ore 17.30 – Palazzo Nervegna – Incontro con Miuccia Gigante e presentazione a cura del prof. Vito Antonio Leuzzi del catalogo della mostra “Antonio Vincenzo Gigante nelle carte dell’Archivio di Stato di Brindisi”, realizzata nel 2012 .

A seguire, inaugurazione della mostra documentaria “il militante e il dirigente: Umberto Chionna e Antonio Vincenzo

Gigante” allestita a Palazzo Nervegna (piano terreno) dall’Archivio di Stato di Brindisi con l’ANPI.
25 Aprile :
ore 10.00 – Piazza Santa Teresa Cerimonia provinciale del 68° anniversario della Liberazione, alla presenza del Prefetto e della massime autorità cittadine.

– ore 11.15 – Piazzetta Sottile De Falco  Cerimonia di scoprimento della lapide in memoria di Antonio Vincenzo Gigante, alla presenza del sindaco Mimmo Consales e delle massime autorità.

mobilitiamoci tutti

 

Mostra documentaria  palazzo Granafei –Nervegna 24 aprile 12 maggio 2013 :

“Il militante e il dirigente: Umberto Chionna ed Antonio Vincenzo Gigante”

Antonio Vincenzo Gigante, nato a Brindisi il 5 febbraio 1901, cementista, comunista.

Umberto Chionna, nato a Brindisi il 28 gennaio 1911, falegname, comunista.
Perché mettere insieme un personaggio di spessore, medaglia d’oro della resistenza, ampiamente studiato, con uno  sconosciuto?

Cosa hanno in comune questi uomini, oltre alla città natale e alla militanza nello stesso partito durante la dittatura fascista?

Più cose sembrano dividerli di quante li uniscano.

Di certo in comune hanno lo stesso ambiente di formazione e quei legami con i più anziani antifascisti, socialisti o ex socialisti brindisini, come Beniamino Andriani, Arturo Sardelli, Giuseppe Prapolini, che emergono a tratti dai rapporti di polizia che li riguardano.

Ma a dividerli  ci sono i dieci anni di differenza, pesantissimi quando si è ragazzi, per i quali, nonostante amici in comune, anzi compagni, forse non si sono mai incontrati.
Per il primo, lasciata Brindisi a vent’anni, una carriera da dirigente, una vita avventurosa e pericolosa, trascorsa in buona parte a fare, per il partito, la spola dalla Svizzera o dalla Francia, a portare istruzioni, aiutare compagni alla fuga e organizzare i comitati nelle città del nord Italia. Super ricercato dalla polizia fascista, subisce il carcere a trentadue anni, poi il confino, la fuga, la lotta partigiana in Dalmazia.
Il secondo è un semplice militante, arrestato la prima volta a soli 15 anni, tre anni in carcere minorile – nessun pentimento, a vent’anni il confino, poi via da Brindisi a cercare lavoro a Milano, senbra aver messo la testa a posto- ora ha famiglia. Ma in fabbrica, alla Pirelli
Bicocca, continua l’attività clandestina di militante comunista e partigiano, organizza gli scioperi di marzo 1944.
L’accettazione di ogni rischio nel nome della fede nei propri ideali. La morte per la ferocia nazista. Questo accomuna i due brindisini, da tanti anni lontani da casa: destinazione finale la Risiera di San Saba per Vincenzo, il campo di Mauthausen per Umberto.

Ed ecco perché oggi vogliamo ricordare accanto al  “gigante” Vincenzo anche il falegname sconosciuto Umberto.

 

 

E’ con soddisfazione che il comitato provinciale dell’ANPI saluta le iniziative promosse dal comune di Brindisi per il 25 aprile

Il Comune di Brindisi, in  collaborazione con la Prefettura, il Comando Marina militare, il comitato provinciale dell’ANPI e l’Archivio di Stato di Brindisi, si fa promotore di un programma di iniziative per celebrare il 25 aprile 2013.

L’ANPI  inoltre esprime il proprio gradimento sulla decisione assunta dall’Amministrazione comunale, che con apposita delibera di Giunta,  trasferirà la targa marmorea di Antonio Vincenzo Gigante dalla Scuola Media “Virgilio” alla piazzetta Sottile – De Falco, in tal modo accogliendo il desiderio della cittadinanza democratica ed antifascista.

Il 25 aprile tutti in piazza per l’Antifascismo e la Costituzione appello nazionale

Il 25 aprile cade in un momento di gravissima crisi per il Paese: pesante instabilità economica, un livello occupazionale mai così basso, una situazione che costringe molte famiglie addirittura al livello della disperazione, uno scenario politico segnato da una devastante confusione, da una forte caduta di valori e infine da una diffusa rabbia sociale – derivante da una pesante incertezza del futuro – che spesso si traduce in atti e linguaggi di preoccupante violenza.

Il 25 aprile cade, quindi, a dettare un sentiero di profonda inversione di rotta e solida ricostruzione: diritti, partecipazione. Il sentiero della Costituzione – ancor’oggi disapplicata e ignorata quando non avversata – unica garanzia di un Paese libero, civile e cosciente, un Paese, è il caso di dirlo e sottolinearlo, normale. La festa della Liberazione cade a liberarci dalla tentazione di tirarsi fuori, affidare il timone delle scelte e della guida pubblica alla casualità; a liberare il futuro da interessi personali e tentativi di riedizioni di pratiche e culture politiche che hanno mortificato, diviso e gettato nella disgregazione l’Italia. E’ soprattutto un monito contro ogni forma di degenerazione morale e politica e contro ogni rischio di populismo e autoritarismo.

L’Italia ha bisogno di un governo democratico e stabile, di un Parlamento che funzioni nella serietà e nella trasparenza, di una politica “buona”, di organi di garanzia che fondino la loro autorevolezza sul richiamo ai valori della Costituzione nata dalla Resistenza.

Il 25 aprile è un grande richiamo alle cittadine e ai cittadini a tornare ad incontrarsi, riflettere insieme: in una parola a partecipare e ridare ossigeno a una democrazia sempre più calpestata. E un monito a chi ha il dovere costituzionale di amministrare e di garantire diritti: non sono più tollerabili condotte che non siano trasparenti e responsabili; non è più sostenibile una situazione di disuguaglianza, di incertezza e di recarietà.

Auspichiamo una Festa grande, celebrata in tutti i Comuni, un’infinita Piazza che rimetta in moto la speranza e ridisegni il volto del Paese nel solco delle sue radici autentiche: antifascismo e Resistenza.

L’ANPI sarà in campo, e lavorerà a fianco delle cittadine e dei cittadini, per compiere questo decisivo percorso, con passione e rinnovata  energia: l’ANPI è la forza dei suoi giovani, della sua nuova stagione per la democrazia.

Una stagione di piena e straordinaria Liberazione.

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA – ANPI

 

Per un nuovo impegno e una nuova cultura antifascista

Documento elaborato da ANPI nazionale e Istituto Alcide Cervi – presentato il 25 luglio, base della campagna che verrà lanciata in settembre per rilanciare l’antifascismo e contrastare il neofascismo.

Per un nuovo impegno e una nuova cultura antifascista

1) Benché in Italia esista un gruppo consistente, diffuso e coerente di veri, sinceri e impegnati antifascisti, non c’è dubbio che il Paese avrebbe bisogno di una forte iniezione di antifascismo, capace di diffonderlo fra i cittadini e di farlo penetrare nella cittadella delle istituzioni, come condizione essenziale per il consolidamento della democrazia.

Ciò a maggior ragione perché ci troviamo in una fase in cui in tutta Europa spirano venti di conservazione, di populismo e addirittura, in alcuni casi, di autoritarismo: donde la crescita e la diffusione di movimenti dichiaratamente neonazisti.
In Italia, quelli che apparivano semplici rigurgiti di nostalgia, si stanno manifestando con rinnovato impegno, con rinnovata ampiezza e con crescente diffusione. Si aprono nuove sedi di movimenti neofascisti, si assumono iniziative, spesso ardite, da parte di Forza Nuova, di “Fiamma Tricolore”, di “Casa Pound”, con un vero e proprio crescendo e spesso con la protezione e l’incoraggiamento anche da parte di pubblici amministratori.

Cresce anche la violenza delle manifestazioni [..], anche da parte di coloro che – storicamente – risorgono in occasione delle crisi cercando di approfittarne e finiscono sempre per porre in essere vere e proprie spinte verso destra, i cui sbocchi – sempre sotto il profilo storico – sono sempre stati nefasti.

[..]Si aggiungono anche i tentativi di collegamento, addirittura a livello europeo, di cui è manifesta dimostrazione il convegno neofascista e neonazista di Milano, con un forte afflusso di esponenti della destra “nera” da tutta Europa.

In questa situazione complessiva, la linea di difesa di coloro che credono nei valori della democrazia e dell’antifascismo è ancora troppo debole e spesso incerta tra la reazione immediata e la riflessione più ampia e il tentativo di coinvolgere nella resistenza e nel contrattacco, molti cittadini e le stesse istituzioni.

Colpisce il fatto che l’esposizione di simboli fascisti e le manifestazioni aperte di fascismo e nazismo lascino indifferente tanta parte dei cittadini, che non ne considera la gravità e la pericolosità, e trovino un clima troppo tiepido anche nelle istituzioni che dovrebbero garantire il rispetto della Costituzione. Istituzioni che, al più, possono prendere in considerazione il problema sotto il profilo dell’ordine pubblico, senza avvedersi che il problema è molto più serio e coinvolge princìpi e tematiche riferibili ai valori costituzionali.

Tutto questo trova le sue radici nel fatto che il nostro Paese non ha mai fatto i conti con il proprio passato, non ha mai analizzato e fatto conoscere a fondo il fascismo, ha trascurato non di rado le pagine più belle della nostra storia, come la Liberazione dai tedeschi e dai fascisti, ed infine è stato troppo tiepido di fronte ai continui attacchi di negazionismo e di revisionismo.

Si è diffusa la falsa idea di un fascismo “buono” e “mite”, contro la verità e la realtà, a fronte dei tremila morti del primo periodo del fascismo, delle leggi razziali, delle persecuzioni di chi non era fascista e della guerra in cui sono stati mandate al massacro decine di migliaia di giovani e si è rovinato e distrutto il Paese.

Revisionismo e negazionismo favoriscono la sottovalutazione dei fenomeni, producono diseducazione e disinformazione, non aiutano la diffusione di un antifascismo di fondo, che dovrebbe essere il connotato comune di tutte le generazioni.

Ancora più grave il fatto che le stesse Istituzioni, mai liberate del tutto dalle incrostazioni fasciste, facciano così poco per trasformarsi in quegli organismi democratici che disegna la Costituzione, con fondamentali disposizioni come l’art. 54 e l’art. 97, ma poi con tutto il quadro dei princìpi che ne costituiscono l’ossatura, il fondamento e la base. Eppure dovrebbe essere chiaro che ogni spazio che si lascia aperto e ogni ostacolo che oggettivamente si frappone allo sviluppo della democrazia, rappresentano un’occasione di crescita dei movimenti fascisti e nazisti; e dunque dev’essere evitata ogni possibile concessione, volontaria o meno, ai nemici della democrazia.

Il fatto che un Comune come quello di Roma possa mostrare aperta simpatia verso i movimenti neofascisti, così come il fatto che troppi prefetti e questori restino inerti (oppure si attestino, come si è detto, sull’ordine pubblico) a fronte di manifestazioni che dovrebbero ripugnare alla coscienza civile di tutti, sono rivelatori di una permeabilità assai pericolosa per istituzioni che – per definizione – dovrebbero essere democratiche.

Ma c’è di più: è una singolare “dimenticanza” quella di un Governo (quello attuale) che, ripartendo i contributi annuali in favore di Associazioni combattentistiche, li assegna (e in misura ridotta) soltanto alle Associazioni d’arma, ma nulla prevede, per il 2012, per le altre Associazioni e in particolare per quelle partigiane, con provvedimenti che sanno di vera e autentica discriminazione.

Ma c’è dell’altro. Noi siamo convinti che gran parte degli appartenenti alle forze dell’ordine sia rispettosa delle norme costituzionali e dei doveri connessi alla loro funzione; ma non possiamo non constatare che ancora troppi sono gli episodi di violenza ingiustificata e arbitraria, da quelli collettivi (per tutti, l’esempio del G8 di Genova) a quelli individuali (episodi anche recenti, di cui si è diffusamente occupata la stampa, come i pestaggi di cittadini inermi e gli “anomali” trattamenti riservati ad alcuni arrestati). Questo dimostra che è ancora insufficiente il livello di democratizzazione e di formazione all’interno di Corpi che dovrebbero essere sempre e concretamente impegnati nella difesa della democrazia e della convivenza civile, nel profondo rispetto dei diritti del cittadino.

Infine, la scuola. Davvero questa scuola è in grado di educare i cittadini alla cultura della legalità, al culto della democrazia, ad una seria e consistente formazione antifascista? E’ appena il caso di ricordare che perfino nella legge “Scelba (n.645/1952), all’art. 9, si dettava una norma (peraltro mai applicata fino ad oggi) che disponeva che fosse diffusa nelle scuole e fra i giovani la conoscenza di ciò che è stato il fascismo.

Se, infine, si passa alle istituzioni più decentrate, il problema è altrettanto evidente; ci sono Regioni che non hanno mai adottato alcun provvedimento a favore della ricerca storica sugli eventi più recenti e della formazione di una cultura democratica; altre hanno adottato provvedimenti del genere, che applicano – peraltro – con criteri discutibili, oppure non li rendono – di fatto – operanti in termini concreti.
Generale e diffusa è poi la sottovalutazione dei fenomeni europei, dei pericoli che derivano dalle esperienze populistiche e autoritarie in atto e di quelli che nascono dai collegamenti che si vanno istituendo tra le organizzazioni, comprese quelle italiane, che si ispirano al neofascismo e al neonazismo.

2. Insomma, un quadro davvero insoddisfacente e per alcuni versi addirittura preoccupante, contro il quale occorre reagire non solo episodicamente, ma in modo coordinato e diffuso, che riguardi i cittadini, le associazioni, i partiti, i movimenti, ma si riferisca anche alle istituzioni.

Occorre, cioè, delineare un programma non solo di difesa democratica, ma anche di sviluppo dell’antifascismo e della cultura dei valori e dei principi costituzionali. Un programma – politico e culturale – che riguardi tutti, senza esclusioni e senza eccezioni, e che sia fortemente impegnato e partecipato. Un programma che sia fondato su questi essenziali elementi:

a) A fronte delle manifestazioni di neofascismo, per le quali la contrapposizione violenta non serve e talvolta è addirittura dannosa, occorrono prese di posizione delle associazioni e delle istituzioni, dichiarazioni di non gradimento da parte di pubbliche autorità, elettive e non, interventi degli organi preposti all’ordine pubblico soprattutto sotto il profilo della non compatibilità di tali manifestazioni con i principi costituzionali visti nel loro complesso (non è solo la dodicesima disposizione transitoria a mostrare una linea antifascista, ma è l’intero complesso dei principi e delle disposizioni normative ad assumere tale carattere). Occorrono, quando sia ritenuto opportuno, presidi delle forze democratiche, ovviamente pacifici, ma idonei a dimostrare e a contrapporre una forte presenza antifascista;

b) Le associazioni democratiche e antifasciste devono assumere in posizione centrale nei loro programmi di lavoro, la formazione dei propri iscritti e anche quella dei cittadini, per una compiuta conoscenza di ciò che è stato il fascismo e di ciò che rappresentano certi simboli di morte e di guerra e per una corretta informazione anche sul contributo dei fascisti alla persecuzione degli ebrei, degli antifascisti, dei partigiani e perfino delle popolazioni civili, soprattutto negli anni dal ‘43 al ‘45, quando i fascisti non furono da meno i tutti i casi in cui si scatenò la barbarie nazista;
c) Le stesse Associazioni devono impegnarsi a fondo per contribuire a creare una cultura della legalità e della cittadinanza, un culto della convivenza civile, della tolleranza e della coesione, contro ogni forma di discriminazione e dei fondamenti e dei contenuti della Carta Costituzionale;
d) Regioni e Comuni devono considerare, nei loro programmi di attività, il contributo della ricerca storica per la conoscenza del fascismo e della Resistenza, il rispetto delle festività più significative sul piano dei valori (come il 25 aprile e il 2 giugno) e scendere in campo in prima persona contro ogni tentativo di negare o svalorizzare i significati ad esse collegati, garantendo la più ampia partecipazione dei cittadini e contrastando, in ogni forma, tutte le manifestazioni contrarie allo spirito che pervade la Costituzione italiana;

e) Le istituzioni centrali devono fare quanto occorre per rendere il “corpo” dello Stato il più possibile democratico e vicino alle esigenze ed alle attese dei cittadini, e per garantirne l’impermeabilità rispetto ad ogni intrusione da parte di chi non si richiama ai valori costituzionali; devono altresì procedere alla formazione, al loro interno, del personale perché si ispiri alle regole dettate dalla Costituzione, non lasciando alcuno spazio all’autoritarismo, al sopruso, alla corruzione, al burocraticismo esasperato, alla mancanza di rispetto per i diritti dei cittadini;

f) Il Governo, nel suo complesso, e in particolare i Ministeri dell’istruzione e della coesione sociale, debbono adottare misure adeguate perché si insegni nelle scuole non solo la nostra storia più recente e le sue pagine migliori (dal Risorgimento alla Resistenza) ma la stessa concezione della democrazia, Debbono altresì essere adottate misure adeguate per la formazione del cittadino alla convivenza civile ed ai valori di fondo del nostro sistema democratico; favorendo, al tempo stesso, l’integrazione e la coesione sociale e fornendo agli stranieri che si inseriscono stabilmente sul nostro territorio, gli strumenti necessari per l’acquisizione di un vero senso di appartenenza;

g) Alla Magistratura, si richiede di essere attenta ai fenomeni più volte descritti ed al loro significato, e di essere pronta a intervenire contro ogni eccesso, tenendo presente che vi sono alcune leggi (come la cosiddetta legge Scelba) ormai di difficile applicazione ed altre invece (come la legge n. 205 del 1993, cosiddetta “Mancino”), che offrono potenzialità di intervento veramente notevoli anche a fronte di manifestazioni apertamente fasciste (potenzialità esattamente colte dalla stessa Corte di Cassazione con due sentenze che meritano di essere ricordate, fra le altre per la loro esplicita chiarezza nell’individuare lo stretto collegamento tra fascismo e razzismo: la sentenza n. 12026/2007 del 10 luglio 2007 e la sentenza 235/09 del 4.3.09).

Certo, non è solo con la repressione che si contrastano i fenomeni più volte ricordati; tuttavia – quando ne ricorrono i presupposti – le leggi vanno applicate e fatte rispettare con convinzione, se non altro perché anche questo costituisce un significativo segnale dell’indirizzo a cui lo Stato intende attenersi; d’altro lato, l’esistenza di un procedimento penale può fungere anche come deterrente e come occasione, per le Associazioni che svolgono un’attività antifascista, per sollevare apertamente il problema e far conoscere la realtà, insomma in qualche modo creare fra i cittadini quell’interesse e quella “cultura” antifascista di cui più volte abbiamo parlato, superando ogni forma di agnosticismo, ed ogni tipo di sottovalutazione.

3. Si apre, dunque, una grande battaglia, che richiede un impegno diffuso, da parte di tutti i cittadini e delle Istituzioni.
Uno studioso ha scritto di recente un libro con un titolo significativo: “Italia: una nazione senza Stato”, osservando che se si è ormai costruita l’anima (la Nazione) manca, tuttavia, un “corpo” che a quella corrisponda (cioè una Costituzione non solo bella ma applicata concretamente e rispettata, Governi duraturi, Parlamento che funziona, leggi comprensibili e ispirate a interessi generali, strutture organizzative efficienti e imparziali, burocrazia non arcigna ma fatta per il cittadino, e così via).

Noi siamo d’accordo, in linea di principio, ma pensiamo che in materia di democrazia e di antifascismo ci sia bisogno di uno slancio salutare e innovativo sia per l’anima che per il corpo; ed a questo vogliamo contribuire con una grande campagna di massa per creare una vera cultura dell’antifascismo e della democrazia, per disperdere ogni vocazione autoritaria e populistica, per ricreare la fiducia reciproca fra cittadini e istituzioni. Una Repubblica, dunque, in cui non ci sia più spazio per un passato tragico e doloroso che mai più deve poter tornare in nessuna forma, in questo Paese.

Per quanto riguarda le Associazioni firmatarie del presente documento, deve essere chiaro che esse intendono collocarsi in prima linea, nel quadro dell’impegno e della campagna di informazione e formazione, e dunque politica e culturale, con tutte le forze e gli strumenti di cui le rispettive organizzazioni dispongono, facendo in modo che la questione dell’antifascismo e della democrazia diventi veramente una questione nazionale e si avvii verso sbocchi ampiamente e concretamente positivi per l’intera collettività.

Su Brindisi sta calando il silenzio – Proposta:un Memorial per Melissa

Su Brindisi sta calando il silenzio, ma confidiamo nel fatto che la giustizia farà il suo corso. Siamo vicini a quei ragazzi e a quei docenti che in quella scuola hanno vissuto direttamente una tragedia che non potranno dimenticare. Aiutiamoli a resistere, a recuperare, a ritrovare serenità e fiducia

Sta calando il silenzio, ma spero non l’attenzione su questa gravissima vicenda, che non dobbiamo archiviare o dimenticare. La giustizia faccia il suo corso e spero proprio che riesca a trovare le matrici, il movente, i colpevoli. Smettiamo con le ipotesi e lasciamo lavorare chi di dovere. Restano i problemi umani. Una ragazza non c’è più e possiamo immaginare il dolore dei suoi, inestinguibile. Un’altra sta lottando contro il male e siamo angosciati per lei, sperando non solo che ne esca ma anche che ne esca bene, viste le gravi ustioni che ha subito. Siamo vicini anche a tutti quelli, ragazzi e docenti, che in quella scuola hanno vissuto direttamente una tragedia che non potranno dimenticare. Aiutiamoli a resistere, a recuperare, a ritrovare serenità e fiducia.

Presidente nazionale ANPI Carlo Smuraglia

fiaccolata del 23 maggio
Brindisi fiaccolata del 23 maggio23 maggio

 

fiaccolata del 23

 

studenti manifestazione 26 maggio

 

 

 

studenti a Brindisi il 26 maggio

 

26 maggio studenti

 

manifestazione di studenti a Brindisi 26 maggio

 

26 maggio Brindisi studenti

Proposta di un Memorial per Melissa e le vittime della strage di Brindisi.

Concorso Internazionale di idee per erigere un Memorial dedicato a Melissa Bassi, alla strage di Brindisi del 19 maggio 2012 e a tutte le indifese vittime della violenza.

L’ANPI lancia la proposta per la costituzione di un comitato promotore per la campagna di raccolta fondi da attivare con un conto corrente apposito.

L’ANPI BRINDISI propone alla città ed il territorio di erigere un Memorial dedicato a Melissa Bassi, alla strage di Brindisi del 19 maggio 2012 e a tutte le inermi vittime della violenza (o delle barbarie).

A seguito dell’efferato attentato alla scuola di Brindisi l ‘ANPI suggerisce la realizzazione di un segno culturale e artistico duraturo nel tempo che sia da monito alle future generazioni e pertanto rivolge un appello al mondo della scuola e agli studenti, alle associazioni, al mondo sindacale e alle forze politiche, ai cittadini affinché il tributo di sangue pagato innanzitutto dalla povera Melissa Bassi e le cicatrici indelebili lasciate nel corpo e nella mente delle giovani sue compagne siano ricordate nelle idee e nelle forme per una crescita civile del territorio.

Luoghi appropriati ad ospitare un Memorial .

A) Innanzi alla stessa scuola

B) il parco Di Giulio che l’amministrazione civica vorrebbe intitolare a Melissa Bassi:

il primo perché intimamente legato al luttuoso evento; il secondo perché prevalentemente frequentato da centinaia di giovani.

Nella scelta della realizzazione di un tale monumento dovrà imporsi una valutazione rigorosa e competente, fuori d’ogni retorica, che sia altamente rappresentativa della strage di Brindisi del 19 maggio 2012 e di tutte le vittime della violenza bruta; un Memorial che sia adeguato nei linguaggi artistici della contemporaneità a comunicare tanto alle attuali quanto alle future generazioni il valore della vita e i desideri dei giovani, i sensi della solidarietà, della legalità e dei principi democratici e che sia, in ugual modo, d’insegnamento e d’esortazione a condannare senza se e senza ma l’odio, la follia criminale, le logiche mafiose, il sopruso ideologico, la discriminazione di genere ed il razzismo.

Se il Memorial dedicato a Melissa Bassi, alla strage di Brindisi del 19 maggio 2012 e a tutte le inermi vittime della violenza (o delle barbarie) sarà, dovrà essere innanzitutto il monumento di tutti, non solo e innanzitutto della comunità scolastica, della comunità e del territorio ma di tutti i territori del Mediterraneo, d’Europa , del Mondo.

L’ANPI BRINDISI auspica che la collettività accolga e condivida questa proposta, che partendo da un terribile fatto di cronaca diverrà Storia e perciò motivo di alta espressione pedagogica. Pertanto, per non prestarsi a improvvisazioni e pressappochismi e affinché il Memorial dedicato a Melissa Bassi, alla strage di Brindisi del 19 maggio 2012 e a tutte le inermi vittime della violenza (o delle barbarie) sia un momento di elevata rappresentatività e civiltà, ha nelle scorse giornate avviato contatti con strutture di ricerca universitaria qualificate che possono con dedizione offrire tutte le competenze del caso per individuare punti di sintesi e concretezza della proposta.

Un Memorial dedicato a Melissa Bassi, alla strage di Brindisi del 19 maggio 2012 e a tutte le inermi vittime della violenza (o delle barbarie) potrà essere progettato attraverso un concorso per idee internazionale aperto in grado di selezionare tra molteplici idee sia dei ragazzi delle scuole, sia agli artisti di professione .

il comitato provinciale dell’ANPI di Brindisi