Ostuni 10 aprile 2015 gli studenti e il partigiano “Brindisi”



 

Ostuni 10 aprile 2015

300 studenti e professori del Liceo Classico Antonio Calamo,in assemblea, hanno incontrato il partigiano-maratoneta della Valle d’Itria Pietro Parisi (nome di battaglia BRINDISI) e una delegazione del comitato provinciale dell’ANPI di Brindisi, nell’aula dedicata al martire della Resistenza, medaglia d’argento, maggiore Antonio Ayroldi, trucidato alle fosse Ardeatine .

 

 

 

 

 

Nell’ incontro, l’artista Massimo Zaccaria si è esibito, tra i ragazzi, in un coinvolgente monologo, lo spettacolo è ispirato alla figura di Pietro Parisi (nato a Cisternino nel 1924), contadino, partigiano con il nome di battaglia Brindisi, al fianco della brigata Garibaldi dal 1° novembre 1943 al 7 giugno 1945, l’artista recita descrivendo l’itinerario di un patriota in marcia contro il fascismo e il nemico tedesco che attraversa i drammi della Seconda Guerra Mondiale. Giustino (questo è il nome del protagonista del monologo) è un uomo semplice, arruolato a Torino come soldato, divenuto poi partigiano perché si ribella ai nazisti che gli hanno ucciso un amico. “Il ritorno” cui si allude nel titolo altro non è che il rientro a casa dei soldati stremati e straziati dalla barbarie della guerra.

I giovani hanno inoltre presentato in assemblea alcuni lavori audio e video sulla figura di Antonio Ayroldi e letto alcune delle sue lettere ai parenti.

 

IL 23 MARZO DEL ’44, L’ECCIDIO DI 335 ITALIANI MARTIRI DELLA LIBERTÀ

TRA LE VITTIME I PUGLIESI TRUCIDATI ALLE FOSSE ARDEATINE

AYROLDI ANTONIO, Ostuni,

ALBANESE TEODATO, Cerignola,

AZZARITA MANFREDI, Venezia ( famiglia di Molfetta)

BAGLIVI UGO, Alessano

BUCCI BRUNO, Roma (famiglia Lucera)

BUCCI UMBERTO, Lucera,

CAPUTO FERRUCCIO, Melissano

CARACCIOLO EMANUELE, Tripoli ( famiglia di Gallipoli)

CAROLA FEDERIGO, Lecce

CAROLA MARIO, Gaeta (fratello di Federigo)

DE CAROLIS UGO, Galvano,( famiglia di Taranto)

DI MICCO COSIMO, Porto Said, (famiglia di Triggiano)

GESMUNDO GIOACCHINO, Terlizzi

LA VECCHIA GAETANO, Barletta

LOTTI GIUSEPPE, Andria

PAPPAGALLO PIETRO, Terlizzi

PISINO ANTONIO, Maglie

SACCOTTELLI VINCENZO, Andria

STAME NICOLA, Foggia

 

“L’eccidio delle Ardeatine va collegato a quel vasto e decisivo movimento ideale che ha preso il nome di Resistenza e del quale ci accingiamo a cogliere gli aspetti più significativi ed i motivi profondi anche per rendere omaggio nel modo più proprio a quanti hanno combattuto la battaglia per la libertà”.

Con queste significative parole Aldo Moro, Presidente del Consiglio dei ministri nel ventesimo anniversario della strage (1964), indicava uno dei punti di riferimento più alti e significativi della lotta di liberazione in Italia.

La strage nazista compiuta a Roma, il 24 marzo 1944, cuore della nazione e centro della Cristianità, come rappresaglia dell’attentato gappista di via Rasella avvenuta il giorno prima, scaturiva da una ben precisa strategia del terrore e da logiche razziste ed antisemite che avevano sconvolto l’intera Europa. Quest’ultimo aspetto è stato ribadito con forza dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che subito dopo la sua elezione alla massima carica dello Stato, il 31 gennaio di quest’anno, si è recato al mausoleo delle Ardeatine.

Quell’orrendo misfatto, compiuto , sotto gli occhi del papa, non cessa di suscitare l’indignazione unanime della coscienza civile italiana, nonostante il tempo trascordo . I 335 italiani trucidati dai nazisti rappresentavano l’insieme della società nazionale per credo religioso ( 75 erano ebrei), per condizione sociale e professionale (militari, insegnanti, operai, artisti, commercianti. artigiani, studenti e due sacerdoti un cattolico ed un pentacostale) e per scelte politico-ideali (socialisti, azionisti, liberali, comunisti, monarchici ). Per molti anni la vicenda dei crimini di guerra del nazismo in Italia ha trovato giustificazioni in Germania ( il governo di Bonn ha assistito nel dopoguerra i cittadini tedeschi detenuti all’estero nei processi in cui erano imputati) e atteggiamenti di estrema indulgenza in Italia come si evidenzia dalle conclusioni della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle <<stragi naziste impunite>> che chiuse i suoi lavori nel 2006.

Le Fosse Ardeatine rappresentano uno dei luoghi più importanti della memoria nazionale, per la provenienza delle vittime da quasi tutte le regioni italiane, tra cui Piemonte, Veneto, Abruzzo, Campania, Calabria e Puglia. Tra i molti pugliesi alcuni erano nati fuori d’Italia: Emanuele Carcciolo, sceneggiatore e regista era nato a Tripoli. ma la sua famiglia era originaria di Gallipoli; Cosimo Di Micco, un sottoufficiale dell’esercito. nato a Porto Said da genitori originari di Trani. Dopo il suo trasferimento in Italia per prestare il servizio militare, Di Micco sposò nel 1942 c Serafina De Caro di Triggiano. Dopo l’8 settembre 1943 Di Micco – assieme a diversi altri militari pugliesi, tra cui Ayroldi, Azzarita, Pisino ed i fratelli Carola- partecipò alla difesa di Roma opponendosi all’occupazione nazista ed in seguito fu denunciato ed arrestato. La vicenda di Di Micco appare tra le più drammatiche per le difficoltà del processo di identificazione; la sua famiglia, infatti, fu avvisata con molto ritardo. Dopo alcuni anni la moglie e suo figlio Matteo, nato nel corso della prigionia, lasciarono la Puglia ed emigrarono in Australia.( il nucleo speciale dei carabinieri del Ris ha avviato, da tempo, le complesse procedure per la sua identificazione attraverso l’esame del Dna). .

Per l’intera comunità pugliese quella strage assume un significato particolare perché ha visto sparire i suoi figli migliori, quasi tutti emigrati tra le due guerre dalla Capitanata, dal Salento e dalla Terra di Bari. Diversi sono i riconoscimenti ( medaglie d’oro e d’argento al valore militare ed al merito civile) conferiti alla memoria di questi nostri corregionali, vittime di un eccidio che non ha eguali nella realtà europea delle grandi metropoli. Molti di essi erano noti per il grande impegno etico, civile ed umano nel corso della guerra e per l’opera umanitaria, svolta a favore di ebrei perseguitati, soldati sbandati, in cui si distinse, tra gli altri, il sacerdote terlizzese Pieto Pappagallo

Il filosofo Giacchino Gesmundo, l’artigiano Gaetano La Vecchia con la sua bottega ritrovo di antifascisti, il cantante lirico Ugo Stame, assieme a militari, operai, artisti, studenti – tutti provenienti dal mondo dell’emigrazione della nostra regione- furono innocenti vittime di un barbaro assassinio. I casuti pugliesi delle Fosse Ardeatine incarnano i valori più alti della Llotta di Liberazione nazionale ed esprimono, come sostenne il teorico della pace, Aldo Capitini, “un bisogno di ricostruzione dalle fondamenta anzitutto morale”. In questa direzione balza all’attenzione una drammatica lettera scritta dal giurista Ugo Baglivo alla moglie all’indomani del suo arresto, nella quale si legge: “ Vi sono anche dei doveri nazionali ed umani che bisogna rispettare. Per questo ti prego di volermi compatire e comprendere”.

[Prof. Vito Antonio Leuzzi]

LEGGE ELETTORALE E RIFORMA DEL SENATO: ERA (ED E’) UNA QUESTIONE DEMOCRATICA

Il 21 febbraio a Torino incontro pubblico promosso dall’ANPI Nazionale. Interverranno Carlo Smuraglia, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti e Antonio Caputo. Adesioni di ARCI e Libertà e Giustizia. La partecipazione della CGIL

Una legge elettorale che consente di formare una Camera con quasi i due terzi di “nominati”, non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali. Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività. Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza, sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione (in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della governabilità).

Sabato 21 febbraio a Torino, in un incontro pubblico a più voci, verrà ribadito con forza che i provvedimenti in questione costituiscono un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico.

In un momento di particolare importanza, come questo, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, affrontando i problemi nella loro reale consistenza e togliendo di mezzo, una volta per tutte, la questione del preteso risparmio con la riduzione del numero dei Senatori, perché uguale risultato potrebbe essere raggiunto riducendo il numero complessivo dei parlamentari.

Ai parlamentari, adesso, spetta il coraggio delle decisioni anche scomode; ai partiti, se davvero vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed alla politica, compete di adottare misure e proporre iniziative legislative di taglio riformatore idonee a rafforzare la democrazia, la rappresentanza e la partecipazioneanziché ridurne gli spazi. Ai cittadini ed alle cittadine compete di uscire dal rassegnato silenzio, dal conformismo, dalla indifferenza e far sentire la propria voce per sostenere e difendere i connotati essenziali della democrazia, a partire dalla partecipazione e per rendere il posto che loro spetta ai valori fondamentali, nati dall’esperienza resistenziale e recepiti dalla Costituzione.

L’Italia può farcela ad uscire dalla crisi economica, morale e politica, solo rimettendo in primo piano i valori costituzionali e le ragioni etiche e di buona politica che hanno rappresentato il sogno, le speranze e l’impegno della Resistenza.

 

ADERISCONO ALL’INIZIATIVA ARCI Nazionale e Libertà e Giustizia

 

“Parteciperemo con interesse alle iniziative di confronto e approfondimento che saranno promosse sul processo di riforma istituzionale in atto, a cominciare da quelle messe in campo dall’ANPI, nel rispetto delle differenti valutazioni di merito sui singoli temi”.

 


27 gennaio “Giorno della Memoria”

Riproduciamo, a beneficio di tutti, il testo integrale della legge che ha istituito il Giorno della Memoria Legge n. 211 del 20 luglio 2000

Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.

Art. 1

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetti i perseguitati.

Art. 2

In occasione del “Giorno della memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

23.826 sono gli italiani deportati (22.204 uomini e 1.514 donne) che furono deportati nei lager nazisti per motivi politici. Di questi 10.129 non tornarono.

I dati sono in una ricerca promossa dall’Aned, Associazione Nazionale Ex Deportati, e svolta dai ricercatori del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino che hanno lavorato sugli archivi ufficiali dei campi di concentramento, dei ministeri dell’Interno di Austria e Germania e della Croce Rossa incrociando le informazioni con gli elenchi dei deportati che in questi decenni sono stati ricostruiti e conservati sia da singoli deportati e dalle loro associazioni, sia da istituti storici locali.

Antifascisti della prima ora, partigiani, prigionieri di guerra ma anche criminali abituali detenuti nelle carceri italiane e consegnati dalla Repubblica di Salò ai tedeschi, asociali, politici ebrei, lavoratori civili emigrati in Germania, cattolici: per ciascuna di queste categorie nei campi di sterminio c’era una sigla di identificazione.

11.432 furono designati come ‘Schutzhaftling’ (deportati per motivi di sicurezza), 3.723 come ‘Politisch’ (in buona parte già presenti nel Casellario politico centrale dell’Italia fascista), 801 erano AZR, abbreviazione di “Arbeitszwang Reich”, ovvero ‘asociali’, categoria di solito attribuita ai criminali comuni e in alcuni casi a soldati imprigionati dopo l’8 settembre. KGF, “Kriegsgefangene” erano i prigionieri di guerra; BV, “Berufsverbrecher”, criminali comuni; altri ZA, “Zivilarbeit”, lavoratori civili; “Geistlicher”, religiosi; “Pol Jude” o “Schutz Jude” erano gli ebrei considerati anche oppositori politici.

Diversa la classificazione ma uguale il destino: schiavi del Terzo Reich, manodopera per le esigenze della macchina bellica di Hitler. Le morti furono, sul totale, 10.129, una percentuale vicina al 50%, che arrivò al 55% nel lager di Mauthausen. Fu tuttavia Dachau, con 9.311 persone, il luogo con il maggior numero di deportati politici; a seguire, Mauthausen con 6.615, Buchenwald con 2.123, Flossenburg con 1.798, Auschwitz con 847 e via via gli altri campi. Dall’incrocio dei dati, balza evidente il fatto che oltre il 25% dei deportati fu catturato in operazioni di rastrellamento: in 716 di queste – di cui si conosce la composizione dei reparti – ben 224 (il 31,3%) furono condotte unità militari o di polizia di Salò.

Giorgio Rochat storico che si è occupato degli aspetti “statistici” scrive:

Ebrei.

Le lunghe, accurate ricerche di Liliana Picciotto Fargion per il Centro di documentazione ebraica contemporanea danno un totale di 5916 morti dei 6746 ebrei italiani deportati in Germania e nominativamente accertati, cui sono da aggiungere 305 ebrei uccisi in Italia e un migliaio di deportati per i quali le notizie sono incomplete. Sono gli italiani uccisi perché ebrei; altri ebrei italiani, che caddero come partigiani, sotto i bombardamenti o per altre cause, sono logicamente compresi in queste voci.

Deportati politici nei lager nazisti.

Gli italiani deportati nei campi di sterminio furono 45 / 46 000, i sopravvissuti il 10 per cento. Sono cifre abbastanza sicure. Da questi 40/41 000 morti bisogna detrarre circa 7000 ebrei già contati sopra e un certo numero di partigiani mandati a morire in Germania. Non abbiamo però alcun elemento per sapere quanti fossero costoro per evitare di conteggiarli due volte, come caduti partigiani e come caduti nei campi di sterminio. Operiamo quindi una forzatura e diamo l’unica cifra “inventata” di queste nostre pagine (perché calcolata senza riferimenti almeno parziali), ossia diciamo che dei circa 34 000 morti in Germania (abbiamo già tolto gli ebrei)

10 000 sono da contare tra i caduti partigiani e 24 000 come deportati politici.


Le iniziative sul  territorio di Brindisi:

Giornata della Memoria nei saloni della Prefettura il 27 gennaio alle ore 11 si ricorda una delle pagine più tragiche della storia europea del ‘900, ci sarà una delegazione di studenti, il Prefetto consegnerà le medaglie d’onore a cittadini che hanno vissuto l’esperienza dell’internamento.

 

Giornata della Memoria: alla scuola Pertini incontro con militare deportato e “La Vita è bella”

In occasione della giornata della memoria, in data 27/01/2015, alle ore 9.00, nell’Aula Magna “Sandro Pertini” della Scuola Secondaria di primo grado, al quartiere Sant’Elia, le classi 2A-2B-2C-3A-3B incontreranno il sig. Ambrogio Colombo, militare durante la Seconda Guerra Mondiale.Il sig. Ambrogio, per ventuno mesi, fu prigioniero nel campo di concentramento di Dachao e verrà a raccontare agli alunni dell’I.C. Sant’Elia-Commenda le sue dolorose vicende, perché nessuno dimentichi.

Gli alunni rivolgeranno al sig. Colombo alcune domande, per meglio comprendere le condizioni di vita in cui versavano i prigionieri in quel campo di concentramento.

Dopo l’incontro, che avverrà alle ore 9.00, gli alunni vedranno il film “ La vita è bella” sulle cui tematiche i docenti apriranno alla fine un dibattito. All’evento saranno presenti anche i genitori.

 

San Pancrazio l’assessorato alla cultura organizza nell’aula consiliare alle 17,30 la proiezione di documentari sulla deportazione, poi ci sarà la declamazione di poesie di Primo Levi e di Joyce Lussu oltre che l’ascolto di canzoni di Francesco Guccini.

 

Comune di Erchie con ANPI Brindisi 27 gennaio 1945 – 27 gennaio 2015-01-26

ore 17,30 auditorium scuola media G.Pascoli Erchie iniziativa Voci della memoria

con la proiezione di un documentario film “prima di tutto l’uomo” di Elio Scarciglia, ci sarà poi la testimonianza del sig. Nicola Santoro internato n.159534; i Cantacunti faranno un“il bosco di betulle”; infine ci sarà il cortometraggio “una voce lontana” a cura dei ragazzi della scuola media; mora Giuseppe Morleo .

 

 

Francavilla Fontana il liceo classico “Lilla” e l’ANPI organizzano per il 28 gennaio presso il cinema teatro Italia alle ore 9 la giornata della memoria nell’occasione incontreranno il sig. Ambrogio Colombo, militare durante la Seconda Guerra Mondiale, internato prima a Peschiera poi preso in carico dalle truppe SS deportato al campo di Dachau successivamente fui trasferito nel campo di Kottern.

Poi ci sarà la proiezione di un documentario film “prima di tutto l’uomo” di Elio Scarciglia il documentario inizia un viaggio a ritroso nel tempo, si indaga sui diritti negati all’uomo nell’imminente passato, varie testimonianze raccontano di fatti e misfatti del secolo scorso. Si parte dalla Casa Rossa di Alberobello e si approda alla Risiera di San Sabba di Trieste. Il sud e il nord legati da una bellissima figura di uomo libero, Vincenzo Antonio Gigante, nato a Brindisi, che, pronto a sacrificare anche la vita per i propri ideali, viene arrestato e infine deportato nell’unico campo di concentramento italiano con forno crematorio, la Risiera di San Sabba appunto, dove fu torturato e ammazzato dai nazisti, senza però rivelare i nomi dei suoi compagni.

Sulla deportazione, nei locali del liceo classico da giorni è esposta la mostra dell’ANED:

 

Intervento di Ambrogio Colombo al teatro Italia di Francavilla Fontana, giorno 28 gennaio.

 


[..]Avrete notato che ho una medaglia: è quella che l’ex- Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto donarmi e che mi è stata consegnata il 27 gennaio 2011, in prefettura dall’allora sindaco di Brindisi Onorevole Mennitti.

Venendo al nostro incontro, vi dirò che, malgrado i miei quasi 95 anni, ricordo quel periodo come fosse ieri, anche se sono trascorsi quasi settant’anni dai tragici avvenimenti che coinvolsero il nostro paese dal 1943 al 1945 e penso, con una punta di sofferenza, che oramai siamo rimasti in pochi a testimoniare quelle vicende dolorose che vanno ricordate “perché nessuno dimentichi”.

Per voi giovani le parole “deportazione, internamento, prigionia, lager, sterminio, reduci” sono termini appresi leggendo i libri; a me rievocano luoghi, persone e fatti drammatici vissuti da giovane: avevo 23 anni.

Con l’entrata dei Tedeschi in Italia, dopo l’8 settembre del 1943, fui fatto prigioniero e, avendo rifiutato di collaborare con i fascisti, fui rinchiuso nel Castello di Peschiera sul Garda con centinaia di altri militari.

Il18 settembre venimmo caricati su carri bestiame militari, senza ricevere né acqua, né cibo per tutto il tragitto. Iniziò, così, il viaggio verso la Germania e ricordo che non ci era nemmeno permesso di soddisfare i bisogni più elementari. Per quattro giorni vivemmo tra fame, sporcizia e paura, ignari del nostro destino.

Finalmente il 22 settembre arrivammo a destinazione e stanchi, sporchi e impauriti venimmo caricati come bestie su camion e internati nel lager di Dachau. (Dachau si trova nella regione tedesca della Baviera, a 12 Km a nord-ovest di Monaco ed è, ancor oggi, tristemente famosa per la presenza di un campo di concentramento di prigionieri politici, istituito all’avvento del regime hitleriano nel 1933.)

Dal 30-01-1933 al 1945 vi morirono più di 300.000 persone (avversari politici del nazismo).

A tale proposito, non posso ignorare i 3.000.000 di esseri umani dei campi di concentramento di Auschwitz- Birkenau, in Polonia, sterminati anche nei “forni crematori” e, per la maggior parte, Ebrei.

A Dachau fummo consegnati alle S. S. (servizi di sicurezza di Hitler), denudati, rasati a zero, privati di tutto, vestiti di grigio come carcerati, con due zoccoli di legno ai piedi, tipo olandese e con a disposizione soltanto una gavetta e un cucchiaio di alluminio. Venimmo accatastati in capannoni, su letti a castello di legno. Il vitto giornaliero consisteva in un pezzo di pane nero di circa 165 grammi e una scodella di brodaglia a base di rape, crauti e bucce di patate.

Da quel momento non ero più un uomo, ma solo un numero: il 54007.

Il 28 settembre 1943, con un altro centinaio di prigionieri, venni trasferito nel lager di Kempten, sempre nella bassa Baviera. Si viveva un vero e proprio inferno tra fame, malattie, maltrattamenti, bombardamenti e morti.

Intanto, la città di Monaco subiva pesanti bombardamenti da parte degli Alleati a causa della presenza della vicina fabbrica di aerei: la Messersshmitt che cominciò a costruire nuovi tipi di bombe.

Pur debilitati dagli stenti e dai maltrattamenti, venimmo usati per ogni tipo di lavoro nei campi e nelle strade per l’intera giornata. Sotto i bombardamenti e controllati a vista, rientravamo sfiniti nel campo per riprendere, il giorno dopo, gli stessi pesanti lavori. Intanto l’avanzata delle truppe russe, da Oriente e di quelle degli Alleati (Inglesi e Americani) da Occidente, provocò la perdita di militari

tedeschi e sollevò il problema della mancanza di manodopera nelle industrie. Ciò ci permise di essere utilizzati per lavori all’esterno del campo, di godere di maggiore libertà personale, di poter recuperare un po’ più di forze, potendo reperire, di nascosto, del cibo per alimentarci. Questa la mia vita per 21 mesi dei quali, a conclusione, voglio ricordare due soli episodi.

Il primo: approfittando di un momento di disattenzione delle S.S., tentai di fuggire, nascondendomi di giorno e cercando di allontanarmi, di notte La mia fuga, però, durò solo 48 ore. Avevo dimenticato che vestito da prigioniero, con la testa rasata e gli zoccoli non mi sarebbe stato possibile non essere riconosciuto. Ripreso e portato nel piazzale del campo, in presenza degli altri internati, mi furono inflitte 15 frustate; fui lasciato lì per l’intera giornata con un cartello appeso al collo su cui era scritto: “ICH BIN ZURUCK”- “IO SONO TORNATO”. Ricordo che due prigionieri si presero cura di me per oltre 20 giorni, mi curarono con impacchi di acqua fredda

e fette di patate sulle piaghe. Piano piano, giorno dopo giorno, le ferite guarirono; mi fu così possibile riprendere la vita di campo, impegnato in lavori all’interno del lager.

 

L’altro episodio attiene la mia liberazione. Mentre gli Americani avanzavano verso Berlino da una parte e i Russi dall’altra, incolonnati, venimmo spostati per la ricerca di altri campi di prigionia. Il 5 maggio 1945, all’ingresso di un paesino, sentimmo che da un balcone una donna gridava: “American panzer!”- “Carri armati americani!”. Si verificò un grande scompiglio tra le S.S. che non tardarono a darsi alla fuga; la guardia al mio fianco estrasse la pistola, sparò al suo cane e fuggì anche lui.

Fummo così salvati. Aspettammo gli Americani che ci dettero subito assistenza, ci ripulirono, ci sfamarono e ci visitarono. Finalmente ero libero! Trattenuto per farmi recuperare un po’ le forze, dopo oltre 20 giorni, e precisamente il primo giugno 1945, accompagnato dalla Croce Rossa Internazionale, arrivai a Bolzano accolto dal Comitato di Liberazione Nazionale “Alto Adige”. Un volontario del Comitato stesso mi accompagnò con la sua auto a Milano dove trovai la mia casa distrutta dai bombardamenti. Tramite il Centro Reduci, fui messo in contatto con quello di Castelnuovo nei Monti di Reggio Emilia; lì seppi che mia moglie Annita che aveva lavorato come tranviera a Milano si era rifugiata presso la madre a Vetto (RE) dove mi recai e potei abbracciarla insieme con mia figlia Marisa.

Iniziò qui la mia rinascita fisica e morale, dopo 21 mesi di “schiavitù” che mi avevano ridotto ad una larva umana.

Oggi sono qui non solo perché invitato, ma perché questa mia testimonianza serva a tutti per ricordare una pagina delle più tristi della seconda guerra mondiale e perché “i giovani sappiano e gli anziani ricordino” l’orrore della guerra.

Come vedete, dopo tante sofferenze, si può rinascere e il mio impegno, dopo la liberazione, è continuato nell’ambito dell’attività sindacale, civile e sociale che cerco ancora di portare avanti, perché voi giovani non siate costretti a vivere i periodi bui vissuti da me e perché mai più vengano calpestati i diritti dell’uomo.

 

Grazie Ambrogio Colombo

 

 

Napoli convegno:“il contributo del Mezzogiorno alla Liberazione italiana (1943-1945)”

Il convegno è l’esito del progetto di ricerca nazionale: “il contributo del Mezzogiorno alla Liberazione italiana (1943-1945)” promosso dall’Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI) e finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per il 70° anniversario del 1943-1945. La ricerca ha costituito un importante avanzamento delle conoscenze storiche sul tema e nei lavori del convegno si offre al dibattito tra storici e alla pubblica coscienza civile. Il gruppo di lavoro, costituito da storici di rilievo nazionale, ha lavorato su base territoriale, in stretta collaborazione con il presidente nazionale ANPI Carlo Smuraglia. Coordinato da Enzo Fimiani, si è avvalso di Isabella Insolvibile e Guido D’Agostino per il Sud; Chiara Donati e Gabriella Gribaudi per il Centro; Toni Rovatti e Luca Baldissara per il Nord. Nel convegno, sono poi stati coinvolti studiosi in rappresentanza di molte realtà di ricerca italiane. La questione storica della partecipazione attiva dei meridionali alle varie forme di Resistenza appare ancora un nodo irrisolto, anche sul piano della memoria civile. I lavori del gruppo di ricerca dell’ANPI si sono inseriti sulla scia di un rinnovamento degli studi sull’argomento, dopo decenni di sottovalutazione, segnando concreti passi in avanti soprattutto per quanto riguarda i numerosi episodi resistenziali nel sud, intesi nell’accezione più larga; l’arricchimento documentario; la conoscenza del diretto coinvolgimento di meridionali in eventi e formazioni partigiane nel centro-nord; l’attenzione verso percorsi biografici esemplari; l’approccio al momento del “ritorno”, con i fenomeni di riconoscimento/disconoscimento dell’esperienza partigiana nell’Italia della ricostruzione postbellica.

 

Giovedì 22 gennaio

ore 15.00

Apertura dei lavori e indirizzo introduttivo

Carlo Smuraglia (presidente nazionale ANPI)

Saluti

Luigi De Magistris (sindaco di Napoli)

Renata De Lorenzo (presidente Società Napoletana di Storia Patria)

Antonio Amoretti (presidente Comitato provinciale ANPI Napoli)

Presiede

Guido D’Agostino

(presidente Istituto campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea “V. Lombardi”, Napoli – INSMLI)

Il progetto di ricerca dell’ANPI:

ricerca storica e impegno civile

Enzo Fimiani (coordinatore della ricerca) Meridionali e Resistenza nell’Italia del Sud

Isabella Insolvibile

Discussant:

Giuseppe Aragno, Vito A. Leuzzi,

Giuseppe C. Marino

 

Venerdì 23 gennaio

ore 9.00

Meridionali e Resistenza nell’Italia del Centro Chiara Donati

Discussant

Giovanni Cerchia, Felicio Corvese

pausa caffè

Meridionali e Resistenza nell’Italia del Nord

Toni Rovatti

Discussant

Carmelo Albanese, Rocco Lentini

Il fondo archivistico dell’Ufficio per il servizio riconoscimento  qualifiche e ricompense ai partigiani (Ricompart)

Carlo M. Fiorentino (Archivio Centrale dello Stato, Roma)

buffet

Venerdì 23 gennaio

ore 14.30

Il contributo dei meridionali alla Resistenza in Piemonte

Claudio Dellavalle (presidente Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “G. Agosti”, Torino)

Discussant

Aldo Borghesi, Rosario Mangiameli,

Pantaleone Sergi

Tavola rotonda conclusiva

Carlo Smuraglia (presidente nazionale ANPI)

Luca Baldissara (Università di Pisa)

Alberto De Bernardi (vicepresidente nazionale INSMLI, Milano)

Gabriella Gribaudi (Università di Napoli Federico II


Il 22 e 23 gennaio si è svolto, a Napoli, l’annunciato Convegno dell’ANPI nazionale sul “Il contributo del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia”. Il Convegno è pienamente riuscito, per l’elevatezza delle relazioni e dei contributi (in particolare, quello della tavola rotonda conclusiva), con una larga presenza, costante, assidua e fortemente interessata. In seguito, si pubblicheranno gli atti e si potrà constatare quali siano stati in concreto, i risultati delle ricerche storiche compiute, su un fronte molto vasto, che non riguardava solo il “contributo” dei meridionali che si sono trovati a combattere nel nord, ma intendeva valutare l’apporto complessivo del Sud alla liberazione del Paese, nelle tante forme che esso ha assunto. Si trattava cioè, di prendere in considerazione anche l’insieme degli atti di protesta,

di reazione, di rivolta, compiuti non solo in Campania, ma in tutte le regioni del mezzogiorno, comprese le isole maggiori. E si trattava di considerare, accanto alla resistenza armata, anche il fenomeno enorme e grandioso della Resistenza non armata, che si risolse nell’aiuto ai rivoltosi, nell’assistenza ai prigionieri, ai fuggiaschi ed ai feriti. Un complesso di atti e di vicende estremamente significative e complesse, di cui si è cercato di operare una completa ricostruzione storica, nei limiti di quanto il tempo ed i mezzi consentissero e con la riserva di ulteriori approfondimenti. Il Convegno non aveva la pretesa di essere esaustivo, ma di segnare qualche punto fermo, su cui fondare le future riflessioni e indagini. E su questo piano, esso è apparso veramente riuscito. Ripeto: pubblicheremo gli atti e tutti potranno giovarsi di questo contributo alla ricostruzione di una verità storica, che si imponeva; intanto, il Convegno ci ha fornito due punti fermi, di cui ognuno dovrà tener conto in futuro: che è giusto parlare di “partecipazione” più che di “contributo” del mezzogiorno alla liberazione dell’Italia; e che la Resistenza ha avuto un inequivocabile connotazione nazionale, per la semplice ragione che in essa fu coinvolto l’intero Paese, sia pure con forme e modalità diverse, ma con assoluta unitarietà di obiettivi. Di questi risultati siamo fieri. Li dobbiamo soprattutto all’opera delle tre ricercatrici che così bene hanno lavorato (Isabella Insolvibile, Chiara Donati e Toni Rovatti), all’apporto volontario e disponibile dei tre “tutors” (Prof. Luca Baldissara, Prof.ssa Gabriella Gribaudi e il Dott. Guido D’Agostino, Direttore dell’Istituto campano per la storia della Resistenza); ma li dobbiamo anche ai contributi che sono venuti dai discussants e alla partecipazione alla tavola rotonda conclusiva del Prof. Alberto De Bernardi, Vicepresidente dell’INSMLI. Dobbiamo anche ringraziare tutta l’ANPI di Napoli, che a partire dal suo Presidente, si è prodigata per la riuscita del Convegno, lo staff dell’ANPI nazionale, che ha lavorato con impegno ed alacrità, a partire dal responsabile dell’area del Mezzogiorno, Vincenzo Calò fino ai membri della Segreteria nazionale e a tanti altri. Un grazie di cuore anche al Sindaco, Luigi De Magistris, che ha voluto assistere all’inizio dei lavori, ci ha onorati con un discorso che era assai di più di un semplice saluto e ci ha fornito anche piacevoli esempi della tradizionale ospitalità napoletana; infine un grazie alla Società napoletana di storia patria ed alla sua Presidente Prof.ssa De Lorenzo, che hanno ospitato il Convegno con cordialità e amicizia. Insomma, una nuova pagina della storia della Resistenza che in qualche modo stiamo scrivendo e ricostruendo in questi anni difficili. Faremo in modo che essa diventi parte essenziale delle comuni coscienze sul tema; sarà così compiuto, finalmente, anche un atto di giustizia nei confronti del Mezzogiorno.

 

 

 

 

Riforme: era (ed è) una questione democratica


Riforme: era (ed è)una questione democratica

Appello dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ai parlamentari, ai partiti, alle cittadine e ai cittadini

Il 29 aprile 2014 l’ANPI Nazionale promosse una manifestazione al teatro Eliseo di Roma col titolo “Una questione democratica”, riferendosi al progetto di riforma del Senato ed alla legge elettorale da poco approvata dalla Camera.

Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti; ma adesso che si vorrebbe arrivare ad un ipotetico “ultimo atto” (l’approvazione da parte del Senato della legge elettorale in una versione modificata rispetto al testo precedente, ma senza eliminare i difetti e le criticità; e l’approvazione, in seconda lettura, alla Camera della riforma del Senato approvata l’8 agosto scorso, senza avere eliminato i problemi di fondo) è necessario ribadire con forza che se passeranno i provvedimenti in questione (pur non in via definitiva) si  realizzerà un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico.

Non è più tempo di inascoltate argomentazioni e bisogna fermarsi all’essenziale, prima che sia troppo tardi.

Una legge elettorale che consente di formare una Camera (la più importante sul piano politico, nelle intenzioni dei sostenitori della riforma costituzionale) con quasi i due terzi di “nominati”, non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali. Una legge elettorale, oltretutto, che dovrebbe contenere un differimento dell’entrata in vigore a circa un anno, contrariamente a qualunque regola o principio (le leggi elettorali si fanno per l’eventualità che ci siano elezioni e non dovrebbero essere soggette ad accordi particolari, al di là di ogni interesse collettivo).

Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività. Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza, sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione (in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della governabilità).

Un sistema parlamentare non deve essere necessariamente bicamerale. Ma se si mantiene il bicameralismo, pur differenziando (come ormai è necessario) le funzioni, occorre che i due rami abbiano la stessa dignità, lo stesso prestigio, ed analoga elevatezza di compiti e che vengano create le condizioni perche l’eletto, anche al Senato, possa svolgere le sue funzioni “con disciplina e onore” come vuole l’articolo 54 della Costituzione.

Siamo dunque di fronte ad un bivio importante, i cui nodi non possono essere affidati alla celerità ed a tempi contingentati.

In un momento di particolare importanza, come questo, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, affrontando i problemi nella loro reale consistenza e togliendo di mezzo, una volta per tutte, la questione del preteso risparmio con la riduzione del numero dei Senatori, perché uguale risultato potrebbe essere raggiunto riducendo il numero complessivo dei parlamentari.

Ai parlamentari, adesso, spetta il coraggio delle decisioni anche scomode; ed è superfluo ricordare che essi rappresentano la Nazione ed esercitano le loro funzione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione) e dunque in piena libertà di coscienza.

Ai partiti, se davvero vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed alla politica, compete di adottare misure e proporre iniziative legislative di taglio riformatore idonee a rafforzare la democrazia, la rappresentanza e la partecipazione anziché ridurne gli spazi. Ai cittadini ed alle cittadine compete di uscire dal rassegnato silenzio, dal conformismo, dalla indifferenza e far sentire la propria voce per sostenere e difendere i connotati essenziali della democrazia, a partire dalla partecipazione e per rendere il posto che loro spetta ai valori fondamentali, nati dall’esperienza resistenziale e recepiti dalla Costituzione.

L’Italia può farcela ad uscire dalla crisi economica, morale e politica, solo rimettendo in primo piano i valori costituzionali e le ragioni etiche e di buona politica che hanno rappresentato il sogno, le speranze e l’impegno della Resistenza.

Dipende da tutti noi.

L’ANPI resterà comunque in campo dando vita ad una grande mobilitazione per informare i cittadini e realizzare la più ampia partecipazione democratica ad un impegno che mira al bene ed al progresso del Paese.

La Segreteria Nazionale ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)

 

 

i tragici fatti di Parigi

L’ANPI si unisce al cordoglio, allo sdegno, alla protesta e all’impegno per la libertà di tante nazioni europee ed extraeuropee dopo i tragici fatti di Parigi. C’è troppa violenza nel mondo e dobbiamo essere pronti a reagire con forza e tempestività a tutti gli attentati alla vita e alla convivenza civile.



 

A Brindisi manifestazione la sera dell’8 gennaio in piazza Sottile De Falco


 

 

Il 9 dicembre, Francavilla F. ricorda la morte eroica del partigiano Donato Della Porta

L’Amministrazione Comunale di Francavilla Fontana, in occasione del settantesimo anniversario della morte eroica del partigiano Donato Della Porta, organizza, per martedì 9 dicembre 2014 alle ore 9.00 presso il cinema-teatro Italia, una conferenza per commemorare e farlo conoscere attraverso la pubblicazione Sulle ali della memoria di Alessandro Rodia.

 

A settanta anni dalla Liberazione ricordiamo Donato Della Porta.

Il Comitato Provinciale dell’ANPI di Brindisi con la commemorazione dell’anniversario della morte eroica del partigiano Donato Della Porta, caduto a ventidue anni, gloriosamente in combattimento contro le forze nazifasciste il 9 dicembre 1944 in località Baulè a Valle di Saviore in provincia di Brescia, intende aprire il ciclo di iniziative in ricordo dei settanta anni della Liberazione che il Comitato Provinciale ha intenzione di sviluppare, con l’appoggio delle istituzioni locali, l’Archivio do Stato e IPSAIC (Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea.

In particolare con il ricordo dell’eroismo di Donato Della Porta, si vogliono ricordare le centinaia di brindisini e le migliaia di meridionali che hanno combattuto per la Libertà nelle formazioni partigiane della Resistenza nazionale e d’oltremare.

In più, con il ricordo di Donato Della Porta, si vuole offrire alle giovani generazioni una riflessione sulla scelta di un giovane meridionale di sacrificare la propria vita per assicurare a noi tutti libertà, giustizia e democrazia.

L’ANPI è grata ai familiari e parenti di Donato Della Porta per avere mantenuto vivo il ricordo, ad Alessandro Rodia che ha svolto le ricerche storiche e pubblicato la biografia in:Sulle ali della memoria, al sindaco di Francavilla che, con l’iniziativa, restituisce memoria ed onore ad un suo eroico cittadino, a sua eccellenza il Prefetto per la sua presenza, ed al professore Vitantonio Leuzzi dell’IPSAIC.

Il Comitato Provinciale dell’ANPI di Brindisi

 

Alcune foto dell’iniziativa del 9 dicembre al cinema teatro Italia di Francavilla F.


 

 

 

 

 

Intervento di Alessandro Rodia al cinema teatro Italia, giorno 9 dicembre.

Settant’anni fa. La mattina del 9 dicembre 1944, nella baita di Baulè, in una località tra Ponte e Valle di Saviore, in provincia di Brescia, un gruppo di sei partigiani fu circondato da una cinquantina di militi della Guardia Nazionale Repubblicana.

I sei garibaldini si trovarono in trappola senza vie d’uscita: la baita poco si prestava alla difesa ma i partigiani decisero di respingere le intimazioni di resa e s’ingaggiò una furibonda sparatoria durata circa quattro ore. I fascisti richiesero rinforzi e poi, strisciando da un lato, che i difensori non riuscivano a controllare bene, data la mancanza di finestre, diedero fuoco alla cascina.

Donato Della Porta, con l’idea di salvare gli altri partigiani, uscì fuori gridando di essere il comandante del gruppo. Fu subito colpito a morte accasciandosi nella neve alta mezzo metro.

Costretti dall’incendio tre partigiani si arresero. A resistere nel casolare in fiamme restarono Mekertich Dashetojan e Zimmerwald Martinelli che scelsero di suicidarsi per non cadere in mano nemica.

Il parroco don Francesco Sisti, con l’aiuto coraggioso di quattro ragazzi del luogo, tentò di soccorrere Donato Della Porta che rantolante fu trasportato nella canonica di Valle. Dopo atroci ore di patimenti, verso sera dello stesso giorno il garibaldino spirò sul tavolo della cucina.

Donato Della Porta è l’unico partigiano figlio di questa città che cadde da eroe per costruire la democrazia di cui noi tutti, ogni giorno, godiamo i frutti.

Oggi, possiamo confrontarci ed anche scontrarci duramente, per esprimere le nostre opinioni, grazie alla libertà che ragazzi, divenuti in fretta uomini, come Donato Della Porta conquistarono.

Ragazzi, quasi della vostra età, come gli “scugnizzi” – protagonisti della “4 giornate di Napoli”,il film che vedremo fra poco, che scelsero di combattere ed anche morire per la nostra libertà.

Oggi l’iniziativa di organizzare questa conferenza “Sulle Ali della Memoria”, voluta dall’Amministrazione Comunale, dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Brindisi, con l’intervento del prof. Vito Antonio Leuzzi e le conclusioni del Signor Prefetto di Brindisi, dott.Nicola Prete assume un significato di notevole rilevanza.

Dopo settant’anni ricostruire la straordinaria e quasi ignorata vicenda umana di Donato Della Porta ha avuto l’obiettivo di far finalmente conoscere e commemorare la figura di un nostro eroe che, mandato a combattere una guerra voluta dal regime fascista, scelse di fare “il partigiano sulle montagne”.

Oggi più che mai, abbiamo il dovere del ricordo nella convinzione che vicende importanti che lastricano il percorso della nostra storia non possono cadere nell’oblio.

E’ indispensabile dedicarsi al recupero e alla ricomposizione di frammenti del nostro passato per raccontarli non come reperti da celebrare ma per condividere l’attualità dei valori e degli ideali che hanno animato le gesta eroiche di migliaia di giovani che offrirono la loro unica vita per un’ Italia nuova e democratica.

Valori e ideali che sono le basi fondamentali, indiscutibili e irrinunciabili della nostra Costituzione.

Donato Della Porta è uno di quei ragazzi meridionali e pugliesi che hanno combattuto la lotta di Liberazione che si è svolta geograficamente lontana da noi ma non ci è stata estranea perché ha segnato il destino di migliaia di nostre famiglie.

Ogni comunità ha il diritto di conoscere i propri eroi e ha il dovere di esprimere gratitudine per chi ha scelto di immolare la vita contro il nazifascismo per la libertà di tutti e non di una parte.

Nel primo passo della ricerca ho incontrato alcuni nipoti (Franco e Mimmo Della Porta e Gaetano Calò) per informarli e condividere questa intenzione. Il loro consenso e il sostegno di altri nipoti qui presenti e della sorella di Donato, Angela, mi hanno incoraggiato.

Donato Della Porta, appena diciannovenne, fu dichiarato “abile e arruolato” e nel 1942 chiamato alle armi.

L’8 settembre 1943, alla dichiarazione dell’armistizio con gli alleati, nelle caserme e nell’esercito, seguì una totale confusione. Gli ufficiali erano tutti scomparsi ed i soldati abbandonati a se stessi. Il 18 settembre nacque la Repubblica di Salò sotto la protezione e il comando dei nazisti.

Tanti giovanissimi soldati, impediti dalla linea del fronte a far ritorno a casa, furono costretti a scegliere tra l’adesione alla Repubblica di Salò e la partecipazione alla lotta partigiana per liberare l’Italia.

 

In quel clima di estrema incertezza e drammatico sbandamento per centinaia di migliaia di militari italiani, preda della reazione tedesca, Donato, appena ventenne, decise di essere ribelle e di non arruolarsi nelle file fasciste.

Già l’8 settembre compì una scelta di campo chiara e coraggiosa: andò a fare “il partigiano sulle montagne”. Fu tra coloro che iniziarono subito a costituire i nuclei delle prime formazioni partigiane per combattere il nazifascismo.

Donato aveva imparato a muoversi tra le vallate, gli strapiombi, i laghi e le fredde pinete come se fosse cresciuto in quei luoghi molto diversi dal clima e dalla terra aspra e secca del suo paese, segnata da masserie e distese di ulivi.

Fu tra gli uomini più fidati del leggendario comandante della 54^ Brigata Garibaldi, Antonino Parisi, e nel periodo ottobre-novembre del 1943, mesi molto difficili, operava nei gruppi di partigiani che erano isolati e poco in contatto tra di loro.

Donato costruì forti legami di amicizia con molti giovani del posto che ancora oggi, dopo settant’anni, conservano un commovente ricordo di lui.

Combatteva col nome di battaglia “Il brindisino” sul quale i nazifascisti avevano messo una taglia.

 

La determinazione e il coraggio mostrati nelle attività militari e nelle azioni di pattuglia e le sue capacità organizzative a guidare squadre di partigiani portarono i comandi della 54^ Brigata Garibaldi ad assegnargli il grado di comandante militare del Battaglione di Prà di Prà con sede in Valle di Saviore.

I partigiani, per non essere catturati, dovevano essere molto attenti e spostarsi continuamente. Dovevano applicare la rigida norma di sicurezza che prevedeva di non sostare troppo a lungo in un medesimo luogo per ridurre i rischi di spiate e rastrellamenti. La cattura significava essere sottoposti a incredibili e indicibili torture per strappare loro informazioni necessarie per l’arresto dell’intera rete dei ribelli. Famiglie indifese venivano crudelmente trucidate nelle loro case. Molti, furono deportati a Mauthausen e non tornarono mai più.

Nella prima decade di dicembre 1944 i partigiani subirono un duro colpo. Un ragazzo, Lodovico Tosini, in servizio nei reparti delle SS italiane, recatosi sui monti di Cevo per scrutare i ribelli, era stato catturato dai garibaldini. La posizione del prigioniero era grave, ma in suo favore giocò la giovane età: non aveva compiuto i 16 anni. Decisero di non fucilare a sangue freddo un ragazzino.

Lo congedarono intimandogli di rigare dritto. Era il tardo pomeriggio dell’8 dicembre e invece di ringraziare la sorte benigna, il giovane milite corse subito al presidio della Guardia Nazionale Repubblicana di Capo di Ponte, raccontando di essere appena sfuggito ai fuorilegge e di conoscere il rifugio.

Alle ore 7 del 9 dicembre la baita fu circondata dalle forze nazifasciste e quel gesto di generosità fu pagato a caro prezzo.

Qualche anno dopo, il ragazzo che li aveva traditi, pentito e distrutto dal rimorso, deciderà di entrare in convento.

Nel testo autografo del parroco don Francesco Sisti è riportato: “Della Porta Donato, rimasto orrendamente ferito venne trasportato nella Casa Parrocchiale e amorevolmente curato e assistito. Morì verso sera dopo aver ricevuto i Sacramenti della Confessione, Viatico ed Estrema Unzione con edificante pietà”.

In quei lunghi istanti di straziante agonia, Donato ebbe la piena consapevolezza di aver immolato la propria vita per grandi ideali. Lo confortò la profonda speranza d’aver contribuito a edificare un futuro di libertà, di giustizia e di democrazia.

Il sangue di un giovane del Sud seminò libertà sulle montagne bresciane. Nei suoi sogni non sorrisero più i volti amati.

Una compagna gli dedicò parole toccanti che, ancora oggi, sembrano fermare il tempo. Suscitano emozioni così vivide da portare ognuno di noi a sentirsi parte viva di quanto accadde tra le valli di Valsaviore.

Il comandante della 54^ Brigata Garibaldi, Antonino Parisi, il 1° ottobre 1945 da Edolo, comunicò al sindaco di Francavilla, Cesare Teofilato, che Donato Della Porta era “caduto gloriosamente il 9 dicembre ’44 in Valle di Saviore in combattimento contro forze nazifasciste”.

Il padre Arcangelo, il fratello Pasquale ed il cognato Carmelo Calò si recarono a Valsaviore per riportarlo a casa.

La strada del ritorno fu un lungo pellegrinaggio. La salma, accompagnata da due carabinieri e sei rappresentanti della 54^ Brigata Garibaldi, durante tutto il percorso, di oltre mille chilometri, veniva accolta in ogni luogo con manifestazioni di addio e solidarietà.

A Francavilla giunse il 16 novembre 1945. I funerali si svolsero con la partecipazione di una moltitudine di persone, giunte anche dai paesi vicini, mutilati e reduci di guerra con le bandiere che accompagnavano il feretro, portato a spalla dai quattro militari venuti da Brescia.

Dal 1945 Francavilla lo ha ignorato.

Nel 2012, il comune di Saviore ha trasformato la baita di Baulè in museo, in memoria di Donato Della Porta, Mekertich Dashetojan e Zimmerwald Martinelli.

La conferenza di oggi e la numerosa partecipazione soprattutto dei giovani, colma una lacuna e dà dignità all’unico partigiano figlio di questa città, caduto da eroe.

Dopo settant’anni, Francavilla accoglie un figlio martire nel grembo della propria memoria storica e scrive una pagina che era rimasta bianca. Noi siamo stati le “Ali della Memoria” che lo hanno ripo rtato a casa.

 

 

BIOGRAFIA DEL PARTIGIANO DONATO DELLA PORTA

 

Donato Della Porta di Arcangelo e di Castellaneta Maddalena, nasce a Turi (Ba) il 17 marzo 1922. Abita a Francavilla, città d’origine paterna, e lavora, come quasi tutti i ragazzi della sua età in quel periodo, come contadino.

Presta il servizio militare, come soldato semplice, in una postazione di fanteria della zona di Grevo in Valsaviore – provincia di Brescia.

Nel clima di estrema confusione e sbandamento per centinaia di migliaia di militari italiani, provocato dall’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani dell’8 settembre 1943, Donato compie subito la sua scelta di campo.

La lettera firmata da Antonino Parisi, Comandante della 54^ Brigata Garibaldi, ed inviata l’1 ottobre del 1945 al Sindaco di Francavilla, attesta che Donato Della Porta già l’8 settembre 1943 è tra gli organizzatori dei primi gruppi partigiani.

La determinazione e il coraggio mostrati nelle azioni di combattimento e le sue capacità organizzative portano i comandi della 54^ Brigata Garibaldi ad affidargli la guida di squadre partigiane.

L’estratto storico della organizzazione e dell’attività militare della 54^ Brigata d’assalto Garibaldi “Bortolo Belotti” – Valle Camonica, dal settembre 1943 all’aprile 1945, documenta che Donato Della Porta è Comandante Militare del Battaglione di Prà di Prà con sede in Valle di Saviore.

Nel gelido dicembre 1944 la polizia fascista procede a pesanti azioni di rastrellamento nei centri abitati senza dare tregua nelle zone di montagna.

Donato Della Porta muore, combattendo da eroe fino all’estremo sacrificio della vita, la mattina del 9 dicembre 1944 nella baita in località Baulé.

Nel rapporto della Guardia Nazionale Repubblicana redatto l’11 dicembre 1944 è riportato:

“Il mattino del 9 dicembre 1944 una squadra di militi della G.N.R. in forza al presidio di Capo di Ponte in un’azione di rastrellamento riusciva a circondare nella zona di Ponte di Valsaviore una cascina nella quale era asserragliato un gruppo di terroristi particolarmente pericolosi appartenenti alla 54^ Brigata comunista “Garibaldi”.

Nel duro combattimento che ne seguiva, durato circa 4 ore, venivano uccisi 2 russi ed un italiano (tale Donato – Vice capo di una squadra della Garibaldi) mentre solo, perché costretti dall’incendio della baita ove si trovavano, i tre ribelli superstiti finalmente si arrendevano e consegnavano le armi.”

Altre notizie relative al combattimento avvenuto nella cascina in località Baulè del Comune di Valsaviore, ricostruiscono le ultime ore di vita di Donato Della Porta:

<<(…) Un ragazzo di Grevo, Lodovico Tosini, in servizio nei reparti della SS italiana, recatosi sui monti di Cevo per scrutare i ribelli, era stato catturato dai garibaldini. La posizione del prigioniero appariva grave, ma in suo favore giocò la giovane età: non aveva ancora compiuto i 16 anni. Mentre alcuni patrioti propendevano per la fucilazione, ad altri ripugnava uccidere a sangue freddo un ragazzino. La questione fu decisa dal russo Michele Dostojan: congedato con un calcio nel sedere, l’adolescente venne sollecitato a rigare diritto. Era il tardo pomeriggio dell’8 dicembre e, invece di ringraziare la sorte benigna, il giovane milite corse difilato al presidio della Gnr di Capodimonte, raccontando di essere appena sfuggito ai fuorilegge e di conoscerne il rifugio. In nottata il maggiore Spadini e il comandante del presidio germanico di Breno allestirono un rastrellamento, guidato dal Tosini.

Alle ore 7 del 9 dicembre la baita fu circondata da una cinquantina di militi. I sei garibaldini si trovarono in trappola senza vie d’uscita: la baita poco si prestava alla difesa, ma i partigiani decisero di respingere le intimazioni di resa e s’ingaggiò una furibonda sparatoria. I fascisti richiesero rinforzi e poi, strisciando dal lato a monte (che i difensori non riuscivano bene a controllare data la mancanza di finestre: avevano scostato alcune tegole), diedero fuoco alla cascina. Donato Della Porta, con l’idea di salvare gli altri partigiani, uscì fuori gridando di essere il comandante del gruppo. Fu subito colpito a morte accasciandosi nella neve alta mezzo metro. Costretti dall’incendio i partigiani Andrè Jarani, Franco Ricchiulli e Bruno Trini si arresero, A resistere nel casolare in fiamme restarono Mekertich Dashetojan e Zimmerwald Martinelli. Dopo essersi battuti sino allo stremo delle forze i due capirono che non potevano fare più nulla e scelsero di suicidarsi per non cadere in mano nemica.

Della Porta, ancora rantolante dalla baita in fiamme, venne trasportato nella canonica di Valle e spirò sul tavolo della cucina, sotto gli occhi attoniti del parroco don Francesco Sisti.”

Il parroco Francesco Sisti riporta sul Registro dei Morti della Parrocchia “San Bernardino” di Valle di Saviore << Della Porta Donato, da Francavilla (Brindisi). Rimasto orrendamente ferito nel medesimo giorno e nella medesima vicenda venne trasportato nella Casa Parrocchiale e amorevolmente curato e assistito. Morì verso sera dello stesso giorno dopo aver ricevuto i Sacramenti della Confessione, Viatico e Estrema Unzione con edificante pietà. Venne caritatevolmente funerato il 15-XII-44 e sepolto il 22-XII-44 in questo cimitero>>.

Il 10 maggio 1946, la Commissione per il riconoscimento qualifiche di partigiani in Lombardia decretò il <<diritto alla qualifica di Partigiano caduto, appartenente alla 54^ “Brigata Garibaldi” dall’1 novembre 1943 al 9 dicembre 1944>>.

Il 24 settembre 1965, il Comandante del Distretto Militare di Lecce, in modo apprezzabile, conferì a Donato Della Porta, per l’attività partigiana, la Croce al merito di guerra.

In occasione del 25 Aprile 2013 il Comune di Saviore dell’Adamello in provincia di Brescia ha ristrutturato la baita in località Baulè, luogo dove tre giovani immolarono le loro vite, realizzando un museo ed apponendo una lapide a perenne ricordo del gesto eroico.

La salma di Donato Della Porta viene riportata a Francavilla il 16 novembre 1945 e collocata nel campo dei caduti in guerra. Oggi riposa nella cappella di famiglia.

(note di Alessandro Rodia)


 

 

70° anniversario della fondazione dell’ANPI

Il 6 e 7 giugno p.v. l’ ANPI celebrerà a Roma il 70° anniversario della sua fondazione, che avvenne appunto il 6 giugno 1944, in Campidoglio, a soli due giorni dalla liberazione della città Roma. I promotori, partigiani delle formazioni cittadine e delle brigate che avevano operato a ridosso dei due fronti, di Cassino e Anzio, nel deporre le armi e dedicarsi all’avvio della democrazia nella città ritornata capitale d’Italia, vollero creare un sodalizio che riunisse i reduci, fosse di sostegno ai familiari dei caduti, promuovesse gli ideali patriottici, di libertà e solidarietà umana che avevano animato la Resistenza e spinto molti di loro ad unirsi ai combattenti del rinnovato esercito italiano integrato nelle forze armate alleate. A tali propositi l’ANPI è stata coerentemente fedele in questi 70 anni di vita repubblicana, perseguendo il bene comune, nel nome dei valori democratici che la Costituzione ha recepito dagli oppositori al regime fascista e dal popolo italiano che nella grande maggioranza ha espresso e sostenuto la lotta partigiana contro occupanti nazisti e collaborazionisti subendo anche innumerevoli stragi, persecuzioni di innocenti ed atti di vera barbarie.

A partire dal 2006, l’ANPI si è poi arricchita della presenza e partecipazione attiva di molti “antifascisti” che si riconoscevano nelle sue finalità statutarie e di tantissimi giovani. Ciò ne fa oggi una prestigiosa garante del rispetto, difesa ed attuazione della Costituzione e dei valori che in essa sono espressi. Una garanzia che nasce non solo dalla presenza di più di 130.000 iscritti, ma anche dalla autorevolezza di un’Associazione che è stata definita, in un importante documento giudiziario, come “erede e successore” dei valori resistenziali. Insomma, un’Associazione fortemente radicata nel migliore passato del nostro Paese, ma che guarda costantemente al futuro, nella speranza che si realizzino al meglio i sogni, le attese e le speranze dei combattenti per la libertà.

Nel pomeriggio di venerdì 6 giugno a partire dalle ore 17 avvieremo solennemente la celebrazione nella Sala Protomoteca del Campidoglio a Roma, Città medaglia d’oro al valor militare del Risorgimento e della Guerra di Liberazione. Qui alla presenza di Istituzioni, Autorità, associazioni, cittadine e cittadini, e dirigenti dell’Associazione, l’ANPI rinnoverà l’impegno di servizio alla comunità con l’apporto delle nuove generazioni che ne assicurano e assicureranno la continuità.