Arpino, Rocco
Arpino Rocco. Nato il 16 marzo 1923, a San Vito dei Normanni. Partigiano. Con il nome di battaglia – Ciccio. Combatte i nazifascisti nella Div. R. Cattaneo, dal 1° ottobre 1944 al 5 maggio 1945.
[..]Un altro militare sanvitese che combatté nelle formazioni partigiane fu il Fante Rocco Arpino, nato il 20 aprile 1923; è doveroso rendergli onore e merito attraverso le pagine di questo volume.
Era il terzo di tre fratelli sotto le armi: il primo, Cosimo, Maresciallo dei Bersaglieri fu ferito e fatto prigioniero degli inglesi in Africa Settentrionale; il secondo, Giovanni, venne fatto prigioniero al primo attacco sferrato alla Grecia.
Arpino fu chiamato alle armi il 1° settembre 1940 ed incorporato nel 38° Rgt. di Fanteria della 3a Div. “Ravenna” di stanza a Tortona (AL).
Con questo reparto, dopo appena 15 giorni, fu inviato in Albania per prendere parte alla campagna di Grecia. Tuttavia, pochi giorni dopo l’attacco, poiché quasi tutto il suo reparto era stato annientato o fatto prigioniero, venne fatto rientrare in Italia per essere aggregato agli Alpini ed assegnato ad un Distaccamento Quadrupedi dislocato nei pressi di Alessandria. Vi rimase fino all’estate del 1943. Dopo qualche mese dalla dichiarazione dell’Armistizio, poiché non condivideva gli scopi della neo Repubblica Sociale Italiana, alla quale non voleva in nessun modo aderire, si dette alla
macchia sulle montagne piemontesi nei pressi di Tortona, non prima però di aver liberato nei boschi i due cavalli ed il mulo che aveva in consegna.
Saggia precauzione, adottata per evitare di essere identificato, nonostante fosse in abiti civili, anche attraverso il marchio del Regio Esercito che gli animali avevano impresso sulla loro pelle!
Dopo circa tre mesi, trascorsi in una fattoria nella quale aiutava il proprietario nei lavori dei campi, ricevendone in cambio protezione, cibo ed assistenza, accadde un fatto che avrebbe portato grandi cambiamenti alla sua posizione di disertore.
Nel mese di luglio 1944 transitò dalla fattoria un gruppo di partigiani che, notandolo, lo sottopose ad un breve interrogatorio, nel corso del quale emerse tutta l’onestà e la buona fede di Arpino.
Al termine della chiacchierata il capo dei partigiani riuscì a convincerlo ad arruolarsi nelle loro fila anche perché, così facendo, poteva sottrarsi ai rastrellamenti messi in atto dalle SS e dai repubblichini ed evitare al suo benefattore di incorrere nei gravi rischi di rappresaglie alle quali erano soggetti tutti quelli che proteggevano i “disertori”.
Decise quindi di arruolarsi nei partigiani del C.V.L. – struttura che riuniva tutte le componenti militari della Resistenza – e precisamente in una Brigata della formazione “Matteotti”. Gli fu assegnato il nome in codice di “Cicconi”.
Prese parte così a numerosi scontri con i fascisti, a diverse battaglie combattute sulle montagne dell’Alessandrino e svolse anche numerosi compiti di carattere logistico. Uno di questi incarichi era quello dell’approvvigionamento dei viveri occorrenti alla sua formazione.
Un giorno, dopo circa sei mesi di lotta partigiana, nel momento in cui era intento al prelievo di pane da un forno nella borgata di Prolormo – frazione di Moncalieri – fu scoperto da un drappello di nazifascisti che lo catturarono all’interno del locale con un sacco colmo di pane. Fu subito sottoposto ad interrogatorio, durante il quale Rocco cercò di convincere (invano) i tedeschi che il pane acquistato doveva essere distribuito tra i contadini nelle campagne.
Fu quindi portato a Tortona dove, legato ad una cancellata di una chiesa, fu malmenato e torturato nella speranza di carpirgli i nomi dei compagni partigiani ed il luogo dove questi erano rifugiati.
Arpino riuscì per lungo tempo a tener testa agli aguzzini e resistere alle torture senza tradire i compagni. Ma, quando con una tenaglia gli spezzarono e strapparono tutti i denti, vistosi perduto, fece capire di essere disposto a parlare. Aveva deciso di fare un tentativo molto rischioso per la sua vita, svelare cioè il luogo dove erano accampate le formazioni partigiane, rilevando, però, non la vera località bensì un’altra situata molto più lontano, ad oltre quaranta chilometri di distanza. Il tentativo riuscì, i tedeschi smisero di torturarlo lasciandolo, ormai sfinito e sanguinante, legato alla cancellata e con un tedesco di guardia.
Una donna del posto, che aveva osservato tutto, decise di prestargli un minimo di aiuto per dargli la possibilità di fuggire. Con movenze accattivanti ed ammiccamenti vari riuscì a distogliere l’attenzione della vogliosa SS, distogliendola dalla sorveglianza e facendola allontanare dal prigioniero. A questo punto intervenne anche il parroco della chiesetta che, di soppiatto, con un coltello recise la grossa fune che teneva legato il malcapitato alla grata.
Arpino, nonostante fosse ferito, sanguinante e spossato dai maltrattamenti subiti, riuscì repentinamente e furtivamente ad impossessarsi del fucile del tedesco e lo uccise.
“Cicconi”, ricevute alcune cure, ormai libero, si diresse immediatamente verso Pinerolo (TO), sede del Comando Partigiano per portare la notizia della sua disavventura e per dar modo di tendere un’imboscata al reparto nazifascista.
I nazisti, resisi conto della beffa, ritornarono a Tortona e per ritorsione misero a soqquadro l’intero paese, distruggendolo quasi completamente ed uccidendo numerosi civili indifesi.
L’imboscata, organizzata dal Comando del Corpo Volontari della Libertà, avvenne regolarmente quando i tedeschi ed i fascisti abbandonarono Tortona dopo la rappresaglia: durante la sanguinosa battaglia che ne scaturì caddero numerosi soldati anche tra le fila degli italiani. Al termine dello scontro armato, Arpino ebbe ancora modo di distinguersi ulteriormente per aver protetto ed aiutato un altro giovane combattente. Tra i numerosi feriti ancora sul campo, infatti, egli notò un viso conosciuto: era un altro sanvitese gravemente ferito da schegge al volto che riconobbe immediatamente.
Consapevole delle tremende conseguenze a cui il concittadino ferito sarebbe andato incontro (sarebbe stato fucilato proprio perché schierato con i repubblichini) non esitò a nasconderlo alla vista degli altri partigiani ed a prestargli le prime cure. Non ancora soddisfatto, Arpino condusse il ferito nell’abitazione della sua fidanzata a Tortona, presso la quale rimase nascosto per 18 mesi. A guerra finita Rocco incontrò ancora il nemico di un tempo che ebbe modo di dimostrargli, tra le lacrime, la sua immensa gratitudine.
Un’altra grossa operazione partigiana alla quale Arpino prese parte successivamente fu la liberazione della città di Torino avvenuta nel luglio 1944.
Al termine del conflitto rientrò a S. Vito dove, ultraottantenne, vive tuttora.
Per la sua partecipazione alla lotta partigiana nella liberazione dell’Italia ricevette, come unico riconoscimento, un brevetto a firma, tra gli altri, del Gen. Raffaele Cadorna, di Ferruccio Parri.[..]
(Da Nuccio Carriero: San Vito in guerra – la partecipazione ed i contributo dei Sanvitesi al secondo conflitto mondiale. Ed. Arcobaleno S.Vito dei N. 2012)